*di Federico Bongiovì
Si torna a parlare di uno dei cavalli di battaglia della “Buona Scuola” approvata nell’estate 2015, lo “School Bonus”. Grazie alla recente approvazione da parte dell’Agenzia delle Entrate del codice tributo (6873), imprese e privati cittadini potranno effettivamente stanziare finanziamenti per le scuole pubbliche godendo di un credito di imposta. Si potrà donare per un totale di tre tranches all’anno al massimo 100.000 euro a volta. Da possibilità, l’opportunità che enti privati finanzino le scuole diventa dunque una vera e propria realtà.
Il Ministero utilizza la solita vecchia scusa per giustificare questa misura: lo Stato non ha soldi per poter finanziare l’istruzione pubblica e deve ricorrere all’aiuto dei cittadini, che sfocia nell’assunto che i soldi pubblici in ogni caso non basteranno mai per la scuola. Già ai tempi in cui prendeva piede il contributo “volontario” si parlava di mancanza di fondi, ma per quanto si possa negarlo la realtà è che i soldi da usare perché la scuola possa funzionare adeguatamente ci sono, semmai vengono usati per altro. In Italia si spendono decine di miliardi per le spese militari, per il salvataggio delle banche o per pagare gli interessi sul debito pubblico. È alla luce di questo dato che si può comprendere la funzione dello School Bonus: addossare sui privati, e in particolare sulle imprese più che sulle famiglie (che invece sostengono ogni anno la scuola pagando i salati contributi sempre meno “volontari”), la responsabilità del sostentamento della scuola pubblica.
I governi (Renzi prima, Gentiloni poi) puntano a far intendere questo progetto come “un’opportunità data alle famiglie di ringraziare la Scuola”. Realisticamente, però, la maggior parte dei soldi “donati” giungeranno dalle imprese, formalmente dagli imprenditori, che dispongono di molto più denaro da investire e soprattutto di una “buona” ragione per farlo. Lo School Bonus comporterà infatti la crescita del potere decisionale delle varie aziende nella gestione delle scuole che da esse ricevono finanziamenti. La donazione, infatti, non è all’istruzione in generale, ma alle singole scuole, e solo il 10% della donazione sarà ridistribuita attraverso un fondo destinato alle scuole che ricevono donazioni sotto la media nazionale.
Le implicazioni che tutto ciò ha con gli studenti sono enormi. Considerata la ristrutturazione della Scuola sul modello della Scuola-azienda, in cui è il “preside-manager” che stipula gli accordi di alternanza scuola-lavoro, è facile capire quanto saranno privilegiate nella trattativa le aziende donatrici. Una volta donato qualche migliaio di euro, le varie imprese potranno quindi servirsi di centinaia di migliaia di studenti, impiegati come lavoratori a costo zero o inquadrati, sempre a costo zero e in prospettiva di medio periodo, nella formazione professionale aziendale. Inoltre la crescente influenza dell’azienda all’interno delle scuole andrà a influenzare sempre più la didattica e la formazione degli studenti. Cosa imparerà mai il ragazzo che fa alternanza nell’impresa che ha finanziato la sua scuola? Semplice: ciò che serve in quel momento (o a medio termine) all’azienda “benefattrice”, pena il ritiro dei finanziamenti annuali da parte dell’azienda. I peggiori timori riguardo alla “Buona Scuola” si dimostrano sempre più fondati: sempre più evidente è il progressivo assoggettamento delle scuole agli interessi delle imprese private, per le quali le scuole dovranno limitarsi a sfornare lavoratori dequalificati.
Il messaggio propagandato dal Governo a riguardo dello School Bonus è semplicemente falso. Questa misura si inserisce nel quadro di una grande riforma della scuola che fin dai primi anni ’90 va nella direzione della riduzione del ruolo dello Stato nella gestione della scuola, della dequalificazione complessiva dell’istruzione, voluta dai grandi monopoli e dall’Unione Europea come risposta alla crisi economica, come tassello del più ampio processo di dequalificazione del lavoro. Lo School Bonus, lungi dall’essere una misura a favore delle scuole, dimostra come la Buona Scuola sia un attacco alla scuola pubblica; una riforma attuata non negli interessi degli studenti e del mondo della scuola, ma di quelli delle aziende, delle grandi multinazionali e dei padroni che oggi chiedono nuovi lavoratori dequalificati e ricattabili.