Abbiamo ricevuto da una cellula estera del Partito Comunista questa intervista a un giovane ragazzo italiano, originario di Caserta e oggi residente a Londra, che ci ha raccontato la condizione dei giovani emigrati dall’Italia. La crisi di quasi dieci anni fa e le sue conseguenze hanno determinato, come sappiamo, una grandissima immigrazione extracomunitaria, ma anche una grande emigrazione di italiani all’estero. Dai racconti di chi emigra per lavoro, emerge tutta l’attualità delle parole di Marx quando parlava dell’“esercito industriale di riserva”. A.M., queste le iniziali del ragazzo, è laureato da poco e si è trasferito inizialmente in provincia di Londra, per poi spostarsi nella capitale inglese dopo ben due cambi di lavoro, trovando qualcosa di meglio… forse.
D: “Ciao, da quanto sei qui?
R: “Da poco più di un mese”
“Ci puoi raccontare le ragioni per cui hai deciso di emigrare?”
“Dopo la laurea ho provato a inserirmi nell’ambito dell’insegnamento e della cultura: ho gestito un blog, scritto libri e partecipato a conferenze per cercare di portare un contributo contro una certa politica nella mia regione. Ho fatto colloqui, soprattutto in scuole private religiose e le risposte sono sempre state equanimi: o non mi pagavano per niente oppure mi davano un piccolo contributo spese che, a mala pena, poteva coprirmi le spese di viaggio. Non parliamo poi degli orari da schiavitù! Così ho deciso di seguire questa avventura nel Regno Unito.
“Come hai trovato lavoro, e cosa fai?”
“Su internet. Il primo lavoro è stato con un’impresa di consegna pacchi. Ho dovuto comprarmi uno scooter. Per trovare una stanza mi sono affidato a internet e ho trovato, per 400 sterline al mese, un posto da un Italiano sposato con un’inglese. Alla fine, per andarmene ho dovuto discutere col proprietario per farmi ridare la caparra. Il termosifone non funzionava e mi proibivano quasi di accendere la stufetta elettrica per scaldarmi. Ho lasciato il lavoro dopo poche settimane perché, essendo il manager brasiliano, le consegne più lontane erano le mie. Dovevo anche percorrere pezzi di superstrada, sono stato anche coinvolto in un incidente che, per fortuna, non ha avuto conseguenze gravi per la mia persona. Per fortuna prenderò qualche migliaio di euro dall’assicurazione.
Il secondo lavoro è stato in un Burger King, dove lavoravo dodici ore al giorno e mi hanno fatto firmare un contratto dove, non conoscendo bene ancora la lingua, sostanzialmente sono rimasto fregato. Ora, mi trasferirò a Londra dove comincerò un lavoro, sempre di consegne ma con un camioncino, il manager è un italiano, speriamo bene.”
“La paga sarà maggiore? Anche l’orario?”
“Dovrei prendere 1600 sterline mensili, lavorando otto ore al giorno per cinque giorni. Tolte le spese dell’affitto dovrei riuscire a tenermene 700/800 al mese.”
“Come hai trovato l’ambiente dei lavoratori stranieri, anche se ti manca ancora l’esperienza della metropoli sul Tamigi? Comunque cosa ci puoi dire di quelle che sono le tue sensazioni?”
“Indubbiamente i ragazzi che vengono qui appartenenti a famiglie più agiate e che hanno frequentato Università prestigiose, con Master anglosassoni o comunque di economia e finanza, lavorano nella City guadagnando stipendi altissimi e facendo una bella vita. Quelli come me, figli di proletari o comunque di famiglie operaie, sono destinati a percorrere altre strade. La maggioranza lavora nei servizi e nella ristorazione. Forse, una volta imparata bene la lingua, si riesce a scalare qualche posizione, ma la vita è dura comunque per noi di questo settore.