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Sulla “ricchezza meritata” dei comunisti col Rolex

*di Lorenzo Vagni

Comunisti col Rolex” è il titolo del disco che J-Ax e Fedez hanno recentemente pubblicato. Disco che è stato oggetto di critiche e giudizi discordanti. Ci si potrebbe chiedere da cosa derivi un titolo così bizzarro: come chiarito dagli stessi artisti, si voleva rispondere ad una critica che gli era stata mossa, ovvero quella di pretendere di parlare di tematiche sociali pur essendo ormai imborghesiti e arricchiti dal successo, in poche parole di avere “cuore a sinistra e portafoglio a destra“. Con questo album J-Ax e Fedez affermano di voler sfatare i pregiudizi, tipicamente italiani, nei confronti della ricchezza, sostenendo che essere ricchi è segno di merito, che arricchirsi onestamente è motivo di vanto, che non c’è bisogno di nascondere la propria agiatezza e che il disco rappresenta un tentativo di sfruttare a loro vantaggio l’etichetta negativa che gli era stata assegnata.

Il 29 gennaio i due artisti hanno concesso un’intervista nella trasmissione “Che tempo che fa“, durante la quale anche il servilissimo conduttore Fazio concorda con loro riguardo al fatto che in Italia, nonostante la “caduta delle ideologie”, la ricchezza non sia ancora considerata da tutti un concetto meritocratico, ma spesso addirittura motivo di demerito. Tre milionari seduti al tavolo di una trasmissione tra le più seguite su scala nazionale che con grande disinvoltura, sfacciataggine e autoreferenzialità, discutono di quanto sia meritocratica la ricchezza, rappresentano già di per sé un quadro piuttosto grottesco. Come se non bastasse, a completamento di tutto questo, rispondendo alle domande di Fazio, Fedez afferma che il non riconoscere nella ricchezza il merito sarebbe un retaggio culturale retrogrado e vintage del passato.

Tutto ciò merita una riflessione. Sostenere che la ricchezza coincida con il merito significa, di fatto, riabilitare le classi più abbienti, i cui interessi sono diametralmente opposti a quelli delle classi subalterne, trascurando colpevolmente questa realtà. Un giovane proletario appassionato di Fedez o J-Ax potrebbe far proprio il loro punto di vista e provare perfino ammirazione nei confronti di privilegiati che navigano nell’oro grazie al loro “merito”, nonostante a lui siano negati una scuola pubblica, un lavoro stabile, proprio per garantire a queste classi dominanti di mantenere i propri privilegi.

È del tutto evidente quanto possa essere nocivo il messaggio trasmesso dai due artisti, specialmente in un ambito giovanile, essendo la loro musica diffusa prevalentemente tra gli adolescenti. Precisare che Fedez e J-Ax si riferiscano a chi si è arricchito onestamente non cambia il risultato dell’analisi. Infatti, per fare un esempio, anche il proprietario di una grande azienda potrebbe “onestamente” arricchirsi pur sfruttando e licenziando i propri dipendenti, ma questi ultimi dovrebbero riconoscerne il merito per essere arrivato alla posizione che occupa e prenderlo a modello?

Detto questo, merita un’ulteriore riflessione il legame tra meritocrazia e ricchezza nella società in cui viviamo. Ad esempio, riguardo allo studio si sente spesso dire che chi merita va avanti, ma in fin dei conti se si è ricchi basta comprarsi un diploma in una scuola privata per poter andare avanti. Gli studenti delle classi popolari non possono decidere il proprio percorso in base alle proprie potenzialità e aspirazioni, ma solo in funzione della condizione economica, e devono arrancare in una scuola pubblica che nella realtà non è più gratuita né di qualità, che subisce sempre più i tagli del governo e la subordinazione agli interessi dei privati, che promuove ed effettua sempre più una selezione di classe, e che quindi non valorizza il merito.

Cosa c’è inoltre di meritocratico in un sistema in cui ricchi ereditieri, magari privi di alcuna capacità, si ritrovano tra le mani imperi economici solo grazie alla fortuna di essere nati in un contesto a loro favorevole? Casi, questi, molto comuni, specialmente in un periodo di crisi come quello presente, in cui l’affermazione sociale, se anche fosse considerata un concetto apprezzabile, è nei fatti resa molto difficile. Nel sistema capitalistico la meritocrazia non esiste, ma allo stesso tempo ne contribuisce all’apologia. Nel capitalismo la meritocrazia è infatti un mito utile alla borghesia, favorendo l’esaltazione dell’individualismo e dell’atomismo borghesi, e la loro assimilazione da parte delle classi subalterne.

L’equivalenza tra ricchezza e merito nel sistema capitalistico, oltre ad essere un insulto nei confronti dei proletari e di tutti coloro che ogni giorno vengono oppressi da tale sistema, potrebbe altresì degenerare nell’ancor più pericolosa e falsa equivalenza tra la povertà e il demerito, con quella che sarebbe un’ulteriore beffa per i lavoratori operata da coloro che dal capitalismo sono stati ingiustamente beneficati.

Si deve inoltre riflettere sull’arte e sul suo stato attuale. L’artista non è nella condizione di esprimere liberamente il proprio pensiero, essendo preclusa, di fatto, la via del successo a chi non sottostà a determinati canoni. L’artista deve seguire i criteri del mercato se vuole avere qualche chance di affermazione, tra cui vincoli con gli editori e gli sponsor (basta guardare il video di presentazione del brano Piccole cose, in cui appaiono continuamente i marchi di una società di logistica, di una casa di moda e di una azienda che produce caffè). Tra l’altro nel capitalismo la scelta dei musicisti che hanno il diritto di produrre e di diffondere la propria musica non è affidata a una platea di critici musicali o di esperti musicisti, atti a giudicare la raffinatezza dell’espressione musicale di un artista. Questa selezione è affidata ai padroni delle case discografiche e ai loro manager, ossia ai professionisti dei profitti dell’industria musicale. Costoro al contempo conoscono e indirizzano i gusti degli ascoltatori. Il loro fine non è produrre musica di qualità, ma smerciare sul mercato. Non è necessario dunque che l’artista abbia particolari “meriti” musicali per sfondare, ma che faccia di sé stesso un personaggio gradito a direttori di grandi imprese musicali e al mercato. Come è evidente anche in questo caso la meritocrazia passa in secondo piano.

Fatte queste dovute riflessioni, bisogna ricordare ai giovani e a chiunque si trovi ad ascoltare una canzone di J-Ax o Fedez che questi personaggi non possono e non devono in alcun modo essere confusi con dei comunisti, sia per le loro idee, sia per la loro condotta di vita. Essere comunisti infatti non significa essere genericamente interessati ai problemi sociali in un’ottica vagamente egualitaria. Oltretutto il fatto che i due si autoattribuiscano l’appellativo di “comunisti col Rolex”, e che un disco così intitolato sia in cima alle classifiche, oltre a generare confusione nei giovani ancora non politicizzati che li ascoltano si tramuta inevitabilmente in un colpo inferto alla credibilità dei comunisti agli occhi delle nuove generazioni, assuefatte da un retorica apparentemente ribelle e radicale, ma che in realtà non ha nulla a che fare con le lotte che queste generazioni devono portare avanti. Il ribellismo e l’essere scomodi, che gli autori professano, altro non è che un elemento accessorio, un fregio che questi personaggi utilizzano per arricchire il loro “personaggio” e vendere meglio il loro prodotto. Nulla a che vedere insomma con la necessità dei giovani proletari di affermare e conquistare i propri diritti.

Va rispedita al mittente ogni etichetta o luogo comune che releghi l’azione e la visione del mondo del comunismo ad un semplice pauperismo o rifiuto del benessere in quanto tale, che tra l’altro non sussiste. I comunisti non sono per la povertà, ma sono contro il lusso di cui le classi dominanti godono a scapito della stragrande maggioranza della popolazione, vergogna dinanzi alla quale non c’è “merito” che tenga. I comunisti sono per un mondo in cui il benessere sia veramente diffuso, come la scienza e la tecnologia potrebbero permettere, e sanno che ciò non avviene proprio a causa della concentrazione della ricchezza nella mani di poche persone, che portano Rolex al polso.

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