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194 nel Lazio: quando garantire un diritto diventa una misura straordinaria.

Dal negare il problema dell’obiezione di coscienza si è passati al contentino dei medici adibiti solo alle interruzioni volontarie di gravidanza. L’ospedale San Camillo di Roma era in disservizio da molto tempo, file interminabili per aver appuntamento con un medico per interrompere la gravidanza, essere costrette ad andare in altro ospedale anche fuori regione per riuscire ad abortire. E per questo la regione Lazio ha preso una misura “straordinaria”.

Il problema di fondo lo conosciamo: la legge 194 racchiude nel suo articolo 9 un compromesso con le forze politiche cattoliche, che fu necessario affinché la legge venisse approvata. Non sono stati previsti limiti né controlli e l’ambiguità contenuta nella legge è ricaduta sulle donne che pagano le pene di un servizio sanitario diverso da regione a regione,da città a città, che è ormai da tempo e in molte forme minato da discriminazione enormi per accedervi.

Eppure la stessa legge prevede che: « Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure» (…) « La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale». (…) « l’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvaguardare la vita della donna in imminente pericolo».

Il bando di concorso per personale non obiettore al San Camillo non fa altro che cercare di permettere l’applicazione di una legge in un ospedale dove i medici obiettori hanno raggiunto anche il 100%, per cercare di sopperire alle richieste di interruzione volontaria di gravidanza, per le quali non vi è personale sufficiente, cercando di garantire la vera libertà di scelta della donna o della coppia.

Dopo trentanove anni dall’approvazione della legge, l’obiezione di coscienza primeggia sul territorio nazionale tra i medici per il 70%, con picchi del novanta percento in alcune zone e regioni. Percentuali superiori all’80% si registrano, sulla base delle ultime relazioni al Parlamento, tra i ginecologi nel Lazio (85,6%), in Basilicata (84,1%), in Campania (83,9%), in Sicilia (83,5%) e in Molise (82,8%). Per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di oltre il 77% in Molise e Campania) e i più bassi in Toscana (29%) e a Trento (31,6%). Per il personale medico i valori sono quasi più bassi, con un massimo di 82,5% in Sicilia e 82% in Molise.

La soluzione a questo problema, con buona pace dei moralisti cattolici e dei loro rappresentanti politici, è l’abolizione totale dell’obiezione di coscienza. La fruizione di un diritto non può essere legata a misure straordinarie. Sopratutto in un contesto come quello descritto dalle percentuali di obiettori che abbiamo visto, che si ripercuote con conseguenze maggiori su quelle donne che non sono nelle condizioni economiche per peregrinare in cerca di un ospedale in grado di interrompere la gravidanza entro i tempi previsti o in cliniche private dove basta pagare, magari quello stesso medico che si dichiara obiettore negli ospedali pubblici.

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