Sempre più studenti abbandonano precocemente la scuola, senza completare il proprio percorso di studi. È quanto emerge dai rapporti di autovalutazione (Rav) pubblicati dal MIUR e riferiti agli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015.
Un problema strutturale che si dimostra in rapida crescita a tutti i livelli, a partire dalle scuole medie: sono 7.700 i giovanissimi che le lasciano, concentrati soprattutto al Sud e nelle aree più disagiate.
Ma è alle scuole superiori che i numeri lievitano esponenzialmente. 45.000 studenti, soprattutto degli istituti tecnici e professionali, hanno lasciato gli studi a metà anno o dopo poche settimane. Una dinamica in forte aumento anche nei licei: stando ai dati estratti dal MIUR in un solo anno si è vista una crescita di 12 punti percentuali (dai 9.500 del 2013/2014 ai quasi 10.300 del 2014/2015).
Non è un caso inoltre che il fenomeno assuma proporzioni preoccupanti soprattutto nelle periferie e nei quartieri popolari delle grandi metropoli. Qui ad “accogliere” i ragazzi che interrompono gli studi è il vortice del lavoro nero senza tutele o persino della criminalità, una soluzione apparentemente facile per intere fasce di giovani senza alcuna prospettiva stabile. È una realtà spesso taciuta, che travolge migliaia di giovani ogni anno condizionandone pesantemente il futuro.
Sarebbe riduttivo e fuorviante ascrivere le cause dell’abbandono scolastico alla “poca voglia di studiare” di alcuni giovani, come spesso molti fanno. Si tratta piuttosto di un problema strettamente legato alla condizione economica di partenza; non un problema individuale, ma una questione sociale, di classe, amplificata dal sistema d’istruzione italiano.
Gli innumerevoli costi che le famiglie devono sostenere, infatti, influiscono pesantemente sull’abbandono scolastico. I libri di testo costano ogni anno di più, al punto che uno studente del primo anno delle superiori può arrivare a spendere quasi 600 euro tra testi e vocabolari, senza contare il restante materiale scolastico. Anche i trasporti diventano sempre più inaccessibili, con una spesa superiore a 200 euro per gli abbonamenti annuali in quasi tutte le grandi città e le agevolazioni per studenti diventate sempre più un miraggio[1]. Come se non bastasse, a queste spese si aggiunge il ricatto del contributo “volontario”, una vera e propria tassa lievitata del 200% dalla sua introduzione, imposta agli studenti per sopperire alla mancanza di fondi per l’istruzione da parte dello Stato.
A queste barriere di carattere economico va ad aggiungersi l’incapacità degli istituti scolastici di intervenire sulle situazioni sociali che portano gli studenti ad abbandonare gli studi. La funzione d’integrazione sociale dell’istruzione è pressoché nulla: nelle scuole di periferia scarseggiano progetti sportivi e culturali che potrebbero coinvolgere i ragazzi e avvicinarli all’istituzione scolastica, e quei pochi progetti presenti sono troppo spesso vincolati a contributi di carattere economico, che li rendono inaccessibili agli studenti delle classi popolari. Anche la carenza di insegnanti contribuisce all’esclusione degli studenti, costretti in molti casi a studiare in classi pollaio che non permettono ai docenti di seguire gli alunni a sufficienza. Questa mancanza pesa in particolar modo sugli studenti con difficoltà in alcune materie, ai quali sempre più raramente vengono offerti corsi di recupero dalla scuola e che quindi ricevono un aiuto solo con lezioni private. Nel frattempo però accade che nelle scuole “migliori” vengano offerti progetti di qualità per gli studenti che possono permetterseli (IMUN, corsi d’Inglese British School, Teatro…), incrementando le differenze di classe tra gli studenti.
È evidente che il sistema d’istruzione italiano, sempre più conforme al modello europeo, va in una direzione ben precisa: una scuola sempre più esclusiva, che in nome della competitività diventa buona solo per gli studenti delle famiglie più agiate.
Dopo la diffusione dei dati relativi alla dispersione scolastica sono arrivate le dichiarazioni del Fronte della Gioventù Comunista: «Di fronte a tutto questo il comportamento del Ministero dell’Istruzione è a dir poco imbarazzante» ha Alessandro Fiorucci, responsabile scuola del FGC «È inutile ripetere come pappagalli la favola della “lotta alla dispersione scolastica”, quando per anni si è tagliato sul diritto allo studio smantellando l’istruzione pubblica italiana. La responsabilità di questa situazione è delle politiche scellerate sulla scuola, che hanno prodotto una sempre maggiore esclusione, favorendo una differenziazione tra istituti: le scuole di periferia sono abbandonate a loro stesse sotto ogni aspetto, mentre le scuole più prestigiose e ambite vengono portate sul piedistallo come “esempi virtuosi”. È questa la scuola di classe, dove chi può permetterselo va avanti e chi non ce la fa viene lasciato indietro.»
[1] http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2014/10/28/caro-trasporti-fino-a-300-euro-per-andare-a-scuola_fc30bb00-0691-4c2b-b103-e79bcdec2d5e.html