Intervento del FGC al seminario organizzato a Salonicco (Grecia) dalla KNE il 10/04/2017 con la partecipazione dei compagni di Germania (SDAJ), Spagna (CJC), Serbia (SKOJ), Turchia (TKG).
Cari compagni,
prima di tutto vi ringraziamo per l’invito a questo seminario. L’importanza della discussione politica in questa fase di crisi del movimento comunista internazionale è chiara a tutti noi. Solo attraverso una reale discussione e scambio di pareri, sarà possibile lottare contro l’opportunismo, ricondurre il movimento comunista internazionale su corrette posizioni marxiste-leniniste, rafforzare e dare direzione rivoluzionaria alla lotta delle nostre organizzazioni e dei nostri partiti. In questo senso – non è una formalità per rispetto ai nostri ospiti, ma una reale costatazione – i seminari organizzati dalla KNE e il contributo che KKE e KNE stanno dando, in termini di analisi, e nella discussione collettiva, sono un elemento di avanzamento reale e importante. Se la nostra organizzazione, ha potuto, nonostante difficoltà e mancanze, emanciparsi da tanti residui dell’opportunismo che in Italia ha dilagato per anni, bruciando le tappe nella sua costruzione, è anche grazie al costante apporto teorico e al contributo della KNE e del KKE e delle discussioni collettive delle organizzazioni giovanili comuniste e dei partiti come questa di oggi. Veniamo al tema: “L’azione dei comunisti nella Guerra imperialista”.
Abbiamo letto sulla questione, le tesi del documento del recente congresso del vostro partito, che troviamo pienamente condivisibili. La guerra imperialista è una realtà che abbiamo di fronte a noi, ed è una delle caratteristiche della nostra fase. È da tempo una realtà in relazione a conflitti locali, che assumono sempre una scala maggiore. Ma oggi più che mai è attuale la possibilità di una guerra imperialista su scala generale nei prossimi anni, ed è pertanto importante discutere della questione. Parlare dell’atteggiamento dei compiti dei comunisti di fronte alla guerra imperialista è questione dirimente oggi, come un secolo fa. Si può dire senza dubbio che è una questione costituiva per i comunisti. Non è un mistero d’altronde che nel movimento comunista internazionale, largamente su posizioni non rivoluzionarie, si pongono oggi questioni molto simili a quelle che determinarono la divisione tra comunisti e social-democratici e la nascita della terza internazionale. Noi concordiamo con la vostra analisi la situazione attuale. Riteniamo che l’attuale equilibro sia fondato sull’instabilità propria dello scontro tra potenze e alleanze imperialistiche, che il cosiddetto “mondo multipolare” non è un fattore di per sé progressivo, ma semplicemente la condizione di scontro interno alla piramide imperialista. Uno scontro che avviene per assicurare ai settori monopolistici dell’uno o dell’altro schieramento nuove fette di mercato, e si basa su logiche capitalistiche.
Purtroppo una parte del movimento comunista internazionale dà una lettura errata della fase attuale, restando legata a categorie che non sono più valide nella situazione attuale. Recentemente nel documento politico del congresso del Partito Comunista, abbiamo ribadito come sia errato parlare di “oriente” e “occidente”. Molti partiti e organizzazioni continuano ad utilizzare tali espressioni, che potevano avere un senso quando erano di fatto sinonimi di capitalismo e socialismo, indicando geograficamente i luoghi di stati e sistemi contrapposti. Oggi non ha senso parlare di “occidente” dal momento che non esiste un “oriente”, intendendo con questo termine un blocco socialista, cardine del movimento antimperialista come era nel secondo dopoguerra. Ricercare dei surrogati di quel blocco socialista nella politica degli stati capitalistici oggi presenti è un errore.
L’equilibrio attuale, in continuo mutamento, con differenti posizioni, si fonda quindi sul contrasto tra potenze e alleanze imperialiste: un equilibrio che non è in grado di assicurare la pace a livello regionale (come dimostrano i casi della Siria, e dell’Ucraina oggi), e che solo temporaneamente può garantire un equilibrio di pace generale. La crisi economica, il contrasto tra settori imperialistici per gli interessi dei rispettivi monopoli, consegnano oggi una situazione in rapido mutamento. Sia nel vostro documento, come nel nostro, si sottolinea il segnale di ripiegamento della fase attuale, da una piena libera circolazione di capitale, servizi, merci, nel mercato globalizzato, ad alcune prime, ma significative tendenze protezionistiche.
La nuova politica degli USA rappresenta la reazione dei monopoli americani alla concorrenza economica principalmente con la Cina, ma non solo. La Brexit è stato un segnale di insofferenza di settori del capitale britannico, dietro cui si sono legate anche le insoddisfazioni delle masse popolari, e la conseguente richiesta di più margini di difesa e di azione per quei settori del capitale britannico. In tutta Europa si riacutizzano tensioni, mai spente, tra i diversi stati, gli interessi dei rispettivi monopoli, le visioni differenti sul ruolo della UE, e sulle relazioni dei rispettivi paesi con le altre potenze imperialiste.
Tutti questi sono segnali di crisi del precario equilibrio, e dimostrano l’inasprirsi della competizione tra settori monopolistici, stati e rispettive alleanze imperialiste. Sono segnali che preannunciano un peggioramento di questa condizione, con conseguente possibilità di scivolare verso conflitti maggiori e anche verso una guerra su scala generale. Già sulla base di questi segnali possiamo tracciare alcuni compiti immediati:
- 1) Innanzitutto i comunisti devono operare per diffondere tra i lavoratori e le masse popolari la consapevolezza del collegamento tra le politiche antipopolari, la crescita della polarizzazione sociale, il potere dei monopoli e le responsabilità nelle guerre imperialiste in atto e nella possibilità di una guerra su vasta scala. Sono compiti immediati come legare la condizione delle scuole, della sanità, i tagli alle politiche sociali alla crescita delle spese militari. In Italia abbiamo condotto con relativo successo una campagna su questi temi proprio durante lo scorso autunno. La denuncia delle spese militari, legata ai tagli alle spese sociali, è immediatamente percepita a livello popolare, e consente di conquistare consenso sulla parola d’ordine dell’uscita del proprio paese dalle alleanze imperialiste, come la NATO. La lotta contro la guerra imperialista non può essere separata dalla lotta contro l’ineguaglianza sociale, la disoccupazione, le condizioni di lavoro ecc. Le forze che conducono gli attacchi antipopolari sono le stese che sono responsabili della guerra. La guerra è la prosecuzione delle stesse politiche capitalistiche ed imperialistiche in altro modo. Ha gli stessi responsabili, e quindi anche la lotta deve essere la stessa;
- 2) Rifiutare ogni forma di “unità nazionale” con le forze borghesi in nome degli interessi comuni della nazione, che non esistono e che sono da sempre una trappola per portare parte delle masse popolari alla coda degli interessi della borghesia. Imperialismo e terrorismo sono due facce della stessa medaglia. I settori imperialistici usano il terrorismo come pretesto ed alleato nel perseguimento dei propri interessi. E’ assolutamente errato che i comunisti, successivamente ad un attentato, sostengano politiche comuni, con i governi borghesi dei paesi interessati. E’ errato accettare idee di solidarietà nazionale, come fatto ad esempio dal Partito Comunista Francese successivamente agli attentati di Parigi. La retorica dell’unità nazionale è una legittimazione degli interessi dei governi borghesi e delle loro politiche imperialiste. I comunisti nel momento stesso del verificarsi di tali eventi devono denunciare le responsabilità dei governi imperialistici di fronte ai popoli, senza appello, e senza attendere un minuto, che equivarrebbe alla loro compromissione;
- 3) I comunisti devono essere chiari nel ritenere che nessuna delle fazioni imperialistiche in lotta ha un ruolo progressista e può in qualche modo rappresentare gli interessi e le aspirazioni dei lavoratori e delle masse popolari. Si tratta di un punto cruciale. Noi condividiamo con voi il giudizio chiaro su questo punto. Gran parte del movimento comunista internazionale cerca argomenti a sostegno della posizione della Russia, dei BRICS. Si va dal ruolo delle borghesie progressiste, alla teoria del “nemico principale” che diviene gli USA e non più il capitale, all’idea della distinzione tra “aggressori ed aggrediti” fino ad errate analogie con la seconda guerra mondiale. Fin dalla fase attuale al contrario i comunisti devono affermare chiaramente che il loro punto di vista, l’interesse dell’emancipazione della classe operaia e delle masse popolari oppresse dal capitalismo, non può identificarsi con nessuno dei campi in lotta. Devono dire che l’avversione alla guerra imperialista è totale, indipendentemente dalla fazione con la quale il proprio paese potrebbe schierarsi. È un punto dirimente.
Nei primi anni del secolo scorso, una delle ragioni dell’incapacità dei socialisti di rispondere adeguatamente in Italia agli eventi della prima guerra mondiale fu proprio questa non chiarezza. Sebbene il PSI come noto assunse la posizione della neutralità, essa non fu una posizione chiara fino in fondo e orientata in senso rivoluzionario. La posizione della neutralità era molto più forte quanto si pensava che l’Italia sarebbe scesa in guerra al fianco di Germania e Austria, ma si indebolì all’interno di molti settori del partito quando vi fu un capovolgimento delle alleanze. Allora non solo vi fu la frattura dei settori interventisti che diede origine al fascismo, da subito foraggiato dai settori del capitale interessati, ma il psi egemonizzato da riformisti e massimalisti iniziò a formulare teorie come “non aderire e non sabotare”, non attaccò il governo con forza, non trasformò le disfatte della guerra, ed il malessere popolare, in elementi per una strategia rivoluzionaria, preferendo attuare una politica di sostanziale solidarietà nazionale. Questi errori sono all’origine della mancata rivoluzione in Italia. Sono quelli che con tutta probabilità hanno pesato di più. E sono la causa della svolta reazionaria che sarà attuata con il fascismo.
Il fatto che oggi i nostri paesi siano inseriti in modo apparentemente stabile nel quadro di alleanze imperialistiche come la NATO e la UE non deve farci illudere sul carattere definitivo di queste scelte strategiche. La possibilità di maggiore indipendenza e riallineamento su altri settori è già presente. In Italia ad esempio non è un mistero che il governo Berlusconi sia caduto per nutrire un giudizio più equilibrato sulle relazioni con la Russia. Oggi sullo stesso terreno si pongono forze come la Lega Nord, e lo stesso Movimento 5 Stelle. Ma soprattutto esistono settori del capitale italiano, sia del grande capitale che della media borghesia, che guardano di buon occhio ad una diversa strategia internazionale del Paese. Ci sono settori, come quelli petroliferi, e in particolare l’ENI che da sempre vogliono maggiore libertà di investimento. Questo vale anche per la Francia, per la stessa Germania. In ogni paese europeo esistono forze politiche che rispondono alle esigenze di questi settori della borghesia. E spesso sono le stesse forze politiche che prospettano una svolta in termini reazionari, protezionistici, che incarnano l’altro volto del capitale.
Si potrebbe tendere a pensare che fare chiarezza fin da ora sia prematuro, ma non è così. Gli eventi possono cambiare con relativa velocità, maggiore di quanta serva a conquistare solidità e fermezza ideologica, specialmente in una fase di grande difficoltà del movimento comunista internazionale, come quella che viviamo. Chiarire fin da ora che i comunisti non parteggiano per nessuno dei campi capitalistici in lotta, quale sia la loro composizione finale, che essi non baderanno alla distinzione – da sempre utilizzata – tra “aggrediti ed aggressori” di fronte allo scontro tra fazioni imperialistiche, sono oggi come cento anni fa elementi costitutivi per i comunisti e gli unici in grado di garantire la necessaria solidità alle organizzazioni che saranno chiamate ad opporsi alla guerra imperialista.
- 4) Oggi opporsi alla guerra imperialista significa lottare per impedire al proprio paese la partecipazione a guerre, lottare per la rottura delle alleanze imperialiste a partire dalla richiesta di uscita unilaterale dei propri paesi. Tutti i nostri paesi sono già in questa condizione. Significa ostacolare la crescita dei movimenti reazionari, senza che ciò comporti alcuna forma di alleanza e compromissione dei comunisti con le forze borghesi cd “progressiste” che sono responsabili della condizione attuale.
Qualora si avvicinasse lo scenario di un conflitto su più vasta scala, l’esempio della Rivoluzione Socialista d’Ottobre ci indica la strada da percorrere. Una guerra del genere muterebbe lo scenario e la fase, creerebbe nelle terribili condizioni che verrebbero a verificarsi, una maggiore propensione alla lotta e attivismo delle masse. Si passerebbe cioè per dirla con Gramsci, da una fase di “guerra di posizione”, ossia una fase non rivoluzionaria in cui il fine primario è l’accumulazione di forze, la resistenza e la conquista del rafforzamento dell’organizzazione e del suo intervento a livello di massa (( e sul punto condividiamo le osservazioni circa il significato di una fase non rivoluzionaria, che sono contenute nel vostro, come nel nostro documento)) ad una fase di “guerra manovrata” nella quale opporsi alla guerra imperialista significherebbe lavorare concretamente per trasformare una condizione di guerra nel presupposto per il rovesciamento rivoluzionario di questo sistema. In tal caso come comunisti dovremmo rifuggire da ogni confusione con le forme di pacifismo borghese e opporci ad ogni politica che miri al semplice ritorno alle condizioni pre-guerra che hanno portato al conflitto. Dovremmo essere capaci di operare concretamente in una condizione difficile, preparando un adeguato intervento dei nostri partiti in tutte le contraddizioni che da tale fase potrebbero derivare.
Intanto – e per concludere – l’unità, la discussione comune, lo scambio e la crescita politica delle organizzazioni giovanili comuniste e dei partiti comunisti, su posizioni marxiste-leniniste è la via da percorrere. È lo strumento che ci permette di avanzare. È la risposta che i settori più avanzati della classe operaia mettono in campo, rispetto all’attacco internazionale del capitale.
Per concludere compagni noi pensiamo che l’esperienza della nostra storia, del patrimonio teorico accumulato dal movimento comunista internazionale con vittorie e anche sconfitte, ci dia gli elementi utili per affrontare questa fase e le possibili evoluzioni che ci saranno. Sotto la parola d’ordine di “non ripetere gli errori” con una capacità di cogliere le caratteristiche e le contraddizioni nuove e proprie di ciascuna fase e condizione, saremo in grado di affrontare le sfide future. Impariamo dalla nostra storia e in primo luogo dalla lezione della rivoluzione socialista d’ottobre, e dagli errori che in diverse fasi non hanno consentito al movimento operaio di ottenere nel resto d’Europa le stesse vittorie.