di Lorenzo Vagni
È in corso in questi giorni la visita ufficiale in Argentina di Sergio Mattarella, che è stato ricevuto dal presidente Mauricio Macri. La delegazione italiana, oltre che da Mattarella, era composta dal ministro degli Esteri Alfano e da oltre 40 imprenditori italiani intenzionati ad investire in Sud America. Tra le dichiarazioni che il presidente della Repubblica ha rilasciato durante una conferenza stampa congiunta con Macri, spicca la seguente dichiarazione: «Abbiamo anche parlato dell’importanza della prospettiva di collaborazione tra Mercosur e UE, che proprio qui a Buenos Aires ha impostato in maniera positiva e quasi risolutiva il riprendere dei colloqui. Si tratterebbe di un mercato di quasi 700 milioni di persone. È una prospettiva importante per noi e per gli equilibri in ambito internazionale. Si tratta di un altro segnale di apertura commerciale che è nell’interesse di tutti».
A quale collaborazione tra Unione Europea e Mercosur si riferisce Mattarella? Istituito dal Trattato di Asunción nel 1991 e confermato dal Protocollo di Ouro Preto nel 1994, il Mercosur (letteralmente Mercato Comune del Sud) è una zona di mercato comune che comprende attualmente Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, essendone stato il Venezuela recentemente espulso, e ha tra i propri associati buona parte delle nazioni sudamericane, di cui varie potrebbero diventarne presto membri a pieno titolo.
Non molti sanno che già dal 2000 è in corso il tentativo di creare un’area di libero scambio tra UE e Mercosur. Le trattative per questa unificazione dei mercati hanno subito a fasi alterne battute di arresto e riprese dei negoziati, ma le recenti posizioni assunte dai governi Rousseff e Temer in Brasile (stato che svolge un ruolo da protagonista nell’area, avendo nel 2014 oltre il 73% del PIL dei paesi aderenti ed esportando ingenti capitali verso gli altri stati del Mercosur, ad esempio attraverso l’Itaú Unibanco e il Banco do Brasil, rispettivamente la prima e la seconda banca dell’America Latina) lasciano presagire la reale possibilità che tale operazione possa andare in porto. La discussione è stata infatti riaperta ufficialmente nell’ottobre 2016, e rappresentanti diplomatici di ambo le parti affermano che un termine plausibile per il raggiungimento dell’accordo potrebbe essere la fine del 2017 o i primi mesi del 2018. Tra l’altro questo processo ha visto un’accelerazione a seguito dell’avvio di politiche protezionistiche da parte degli USA, tra cui l’apparente accantonamento del TTIP, che hanno portato l’UE a cercare nuove vie per espandere i proprio mercati, e della crisi dei governi progressisti nella regione.
Cosa comporterebbe la creazione di un mercato comune tra Europa e Sud America? Per prima cosa bisogna considerare come l’Unione Europea sia il primo esportatore di capitale al mondo nel Mercosur (gli investimenti europei sono pari ad un terzo di quelli stranieri complessivi): nel 2014 gli investimenti europei nei paesi aderenti ammontavano a 387 miliardi di euro; al contempo gli stati del Mercosur investivano in UE nello stesso anno 115 miliardi. È dunque evidente come un trattato di libero scambio tra i due blocchi garantirebbe alle imprese una maggiore convenienza: si stima infatti che l’eliminazione dei dazi garantirebbe agli investitori europei un guadagno ulteriore di 4,4 miliardi di euro l’anno, e in cinque anni le esportazioni europee nella regione raddoppierebbero. Per fare un esempio esplicativo, la stipula di un accordo garantirebbe alle imprese europee un mercato di 30 miliardi di dollari di acquisti governativi nel solo Brasile. Inoltre le imprese europee vedrebbero una facilitazione del commercio di materie prime a scapito della Cina, che attualmente prevede imposte doganali verso il Mercosur, e che quindi si troverebbe sfavorita da un trattato tra questo e l’UE. A riprova della volontà dei monopoli europei di stipulare trattati in Sud America nel tentativo di scalzare la Cina, è chiarissima una dichiarazione congiunta di Antonio Tajani, presidente del parlamento europeo, e Luis de Grandes Pascual, presidente della delegazione per le relazioni con i paesi della Comunità Andina:
«Il mese scorso, il presidente cinese Xi Jinping ha fatto la sua terza visita in America Latina da quando è arrivato al potere tre anni fa. Ha visitato l’Ecuador, il Perù e il Cile per firmare accordi di cooperazione culturale ed economica in settori come quello dell’energia, minerario o delle infrastrutture. Ha anche inaugurato la centrale idroelettrica “Coca Codo Sinclair” in Ecuador, finanziata con denaro cinese, affiancato dal presidente Correa. Ci sarebbe dovuto essere un Presidente europeo lì e non il Presidente cinese! Non possiamo lasciare l’America Latina e i Caraibi ai cinesi e ai nord americani. Dobbiamo essere presenti nella regione. Dobbiamo sfruttare le opportunità offerte dai cambiamenti della parte nord del continente!».
Bisogna poi considerare come l’omogeneizzazione delle norme provocherebbe l’importazione massiccia di generi alimentari dal Sud America, che danneggerebbe gravemente i piccoli produttori europei e favorirebbe processi di contraffazione dei prodotti tipici locali in Europa, nonché della nascita o dello sviluppo ancora maggiore di grandi catene di distribuzione internazionali. Sono emblematiche a tale proposito le parole di Macri:
«Vogliamo smettere di essere il granaio del mondo per diventare il supermercato del mondo».
Fatte queste considerazioni, bisogna tenere presente come la creazione di aree di libero scambio vada a vantaggio esclusivo delle grandi imprese internazionali, e che i popoli europei e sudamericani hanno lo stesso nemico da combattere, ovvero il capitale internazionale. Per citare ancora le parole di Mattarella, non è vero che questa operazione sarebbe nell’interesse di tutti, ma solo dei padroni, che siano europei o sudamericani.