Quando accadono tragedie come quella che ha colpito due giorni fa la Grenfell Tower, nella parte occidentale della capitale inglese, si ricercano subito colpevoli o alibi; talvolta si prende semplicemente atto della cosa, certo con la rabbia e commemorando nel lutto gli scomparsi. Non di rado eventi del genere sono considerati imprevedibili, salvo aprire polemiche solo a fatto già avvenuto, con le promesse d’ufficio di politici e governi.
Anche in questo caso è andata così, e dinanzi a più di cento fra morti e dispersi pochi si azzardano a parlare dei risultati di un sistema urbanistico e residenziale, così come è anche in Italia, dove i quartieri popolari soffrono dell’incuria, del degrado e del più grande isolamento, dove criminalità e disoccupazione si uniscono per condannare ancora di più le famiglie del proletariato urbano che cercano di tirare avanti.
A dirlo sono stati proprio gli abitanti di Londra, che oggi hanno manifestato in centinaia davanti al Municipio di Kensington, il quartiere teatro dell’incendio, denunciando l’assenza di misure di sicurezza antincendio. Alcuni manifestanti hanno fatto irruzione nel municipio, provocando l’intervento della polizia. Un’altra manifestazione è prevista questa sera a Westminster, di fronte al Parlamento, con lo slogan “giustizia per Grenfell”.
In effetti, la colpa di chi abitava nella Grenfell Tower era proprio quella di essere povero. La Grenfell Tower era un gigantesco conglomerato di appartamenti popolari in 24 piani, con un’alta percentuale di inquilini immigrati dal sud del mondo, collocato paradossalmente nel mezzo di uno dei quartieri più ricchi di Londra, quello di Kensington. Il risultato di una politica pluridecennale dei governi britannici che da sempre dislocano l’edilizia popolare in modo apparentemente disordinato nelle città. Una politica che potrà limitare la nascita di “ghetti”, ma evidentemente non elimina le differenze di classe e tutto ciò che comportano. Perché non è un caso se un incendio ha causato decine di vittime in un palazzo per “poveri”, privo delle più basilari misure di emergenza, senza estintori, con un impianto elettrico ampiamente datato così come quello del gas.
Quando l’edificio popolare della Grenfell Tower, nel Nord Kensigton, venne costruito nel 1974, l’area in questione non era ancora soggetta a progetti di “riqualificazione”, con investimenti immobiliari rispondenti alle esigenze di gruppi sociali ad altro reddito. Tali progetti si sono concretizzati qualche anno fa con la creazione di un nuovo rivestimento esterno, che andava a coprire quello vecchio con mattoni a vista, e che a detta dei testimoni prese fuoco in un tempo brevissimo, andando subito a coprire tutto l’edificio e non lasciando scampo a chi viveva ai piani alti, in alcuni casi anziani o persone disabili incapaci di muoversi. Il rivestimento venne creato per la zona residenziale circostante, fatta in alcuni casi di abitazioni costose.
In un report pubblicato nel 2014 il dirigente esecutivo della pianificazione dello sviluppo dell’area della municipalità di Kensington e Chelsea spiegava che uno dei propositi dell’installazione del rivestimento, fatto da una ditta appaltatrice, era quello di “migliorare l’apparenza della torre agli occhi dei quartieri limitrofi”. Quello stesso rivestimento che secondo quanto dicono gli esperti non era infiammabile e che venne costruito con le adeguate misure di sicurezza. Le vittime potrebbero essere tali, quindi, per un semplice fattore “estetico” dovuto ai capricci del ricco vicinato, troppo altolocato per accettare ogni giorno di alzarsi la mattina e vedere quel brutto palazzo abitato da poveri, rinchiusi in quel condominio abbandonato come animali.
Il leader dei laburisti, Corbyn, che nelle recenti elezioni ha guidato un’imprevista avanzata a danno dei conservatori, ha cavalcato l’onda proponendo come soluzione immediata per gli sfollati l’utilizzo degli alloggi circostanti lasciati sfitti dai palazzinari e dai grandi proprietari. Una proposta certo facile da avanzare nel pieno di un’emergenza, ben consapevoli del fatto che non sarà applicata. Molto più difficile averla nel proprio programma politico, una proposta così avanzata, come ha fatto alle elezioni dello scorso anno il Partito Comunista (PC), proponendo a Roma e Torino l’esproprio degli immobili sfitti di proprietà di banche e palazzinari. Perché l’emergenza abitativa esiste anche quando i palazzi non prendono fuoco per ricordarcelo.