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Disfatta del PD, ma davvero il problema è rifare la “sinistra”?

A questo giro di elezioni amministrative la destra, o meglio la triplice alleanza fra Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia, torna alla ribalta infliggendo sonore batoste al PD, fra le quali spicca la città di Genova, che per la prima volta dal 1945 avrà un sindaco di destra. A fare da spettatore il Movimento 5 Stelle escluso dalla maggior parte dei ballottaggi, un dato in realtà interpretabile come il risultato della mancanza di una stabile organizzazione territoriale, più che come il “ritorno” a una dinamica bipolare fra centro-destra e centro-sinistra con un ridimensionamento dei grillini, come si è affrettata a scrivere una parte della stampa.

A sinistra ci si strappa i capelli, si invoca il pericolo della destra in agguato, o viceversa si brinda (magari di nascosto) convinti che il risultato gioverà alle formazioni minori, da Articolo 1 a Sinistra Italiana, che sperano di sostituirsi al PD come nuova forza di (centro) sinistra. Ma le affermazioni di chi dice che “serve una vera sinistra per vincere contro la destra”, o di chi afferma che “il PD perde perché la gente ha capito che non è più di sinistra”, che pure appaiono ragionevoli a molti, celano in realtà una pericolosa illusione: l’idea che possa esistere oggi una “sinistra” migliore della destra, o che viceversa la destra di oggi sia peggiore della sinistra. Riflessioni che infine portano a ragionamenti sulla necessità di optare per il “meno peggio”, la stessa concezione che per anni ha invocato il voto al PD contro Berlusconi, finché non è arrivato Renzi a fare ciò che neanche Berlusconi era riuscito a fare.

Ha senso parlare di una sinistra che “nonostante tutto” argini la destra e recuperi i voti andati perduti, dinanzi a un PD che ha votato il Jobs Act condannando una generazione alla precarietà? Arrivati a questo punto, dove sta la differenza fra la “sinistra” e la “destra”, se non in un elemento che a conti fatti risulta essere più culturale che politico? Oggi i partiti di centro-destra e centro-sinistra sono ugualmente esecutori delle politiche volute dai grandi monopoli finanziari, da UE, BCE e FMI, e dietro l’illusione dell’alternanza fra queste forze non si cela nessuna alternativa; tantomeno l’alternativa sta nelle forze elettorali che, nonostante le grandi retoriche, non si pongono nessun obiettivo di rottura con questo sistema. Un analisi che vale tanto per il Movimento 5 Stelle quanto per la cosiddetta “sinistra radicale”, per la verità ben poco fortunata in Italia rispetto ad altri paesi europei. Si tratta di forze politiche che vendono, o cercano di vendere, l’illusione che il cambiamento possa passare unicamente per via elettorale, per di più in assenza di un programma di vera rottura, e soprattutto senza porsi la questione dell’organizzazione. Sono eloquenti, a tal proposito, i sondaggi in Grecia che mostrano come la reazione alle politiche antipopolari di Syriza, la sinistra radicale andata al governo con Tsipras nel 2015, si traducano perlopiù in un ritorno dei voti verso Nea Dimokratia, il partito di centro-destra, nella perfetta logica dell’alternanza fra “destra” e “sinistra”.

Oggi le masse popolari sono disorganizzate, con livelli di coscienza ai minimi storici, e per questo sono trascinate alla coda di questa o quell’altra forza politica. Una massa che vota (e anche qui, viste le percentuali di astensione, si potrebbe obiettare), ma non si può dire che siano una massa attiva, e che di fatto esprime la sua protesta perlopiù “spostando” i voti da una parte all’altra. Qualsiasi forza che non faccia i conti con questo, e si proponga come una “alternativa” meramente elettorale invece di puntare a rompere questo meccanismo, sarà destinata al fallimento o alla piena integrazione all’interno delle stesse logiche che oggi rendono centro-destra e centro-sinistra così simili fra loro. Ma il punto è che l’obiettivo delle forze che oggi si appellano, in modo più o meno marcato, all’idea di una “sinistra” che potrà tornare a battere la destra, è proprio quello di offrire una “alternativa” elettorale e ricondurre tutto lo scontro in una dinamica parlamentare, non quello di organizzare le lotte dei lavoratori, della gioventù e delle masse popolari. Questo, invece, è l’obiettivo dei comunisti.

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