Un magazziniere è stato licenziato da Abercrombie & Fitch perché “troppo vecchio”, a soli 25 anni. Accadde nel 2012 in provincia di Venezia, dove il giovane era stato assunto dal noto marchio d’abbigliamento statunitense nel 2010 con un contratto a lavoro intermittente (una sorta di contratto a chiamata valido fino a 25 anni o dopo i 45). Nel 2012 era riuscito ad ottenere un contratto a tempo indeterminato, ma poco dopo era stato licenziato perché prossimo ai 25 anni.
La giustizia italiana aveva dato ragione al giovane: la Corte di Appello di Milano aveva accusato l’azienda di comportamento discriminatorio e imponendole la sua riassunzione. Purtroppo per lui la Corte di Giustizia Europea, alla quale la Cassazione aveva rimandato il giudizio sulla legittimità di un contratto che preveda limiti di età, ha capovolto la sentenza affermando che non c’è incompatibilità con il diritto europeo. Il Governo Italiano ha affermato che tali disposizioni sono positive per il mercato del lavoro nazionale perché valorizzano la flessibilità e danno ai giovani “la possibilità di entrare nel mondo del lavoro e di acquisire un’esperienza, anche se flessibile e limitata nel tempo, che può costituire un trampolino verso nuove possibilità di impiego”.
In sintesi per la Corte di giustizia Europea (e per il Governo italiano), il giovane magazziniere a 25 anni era troppo vecchio per lavorare per Abercrombie & Fitch, ma ancora giovane per “fare esperienza” con un altro contratto precario e per pochi spicci di paga altrove. Quasi come se questo caso debba diventare un modello se si vuole valorizzare la flessibilità, ormai un vero e proprio mantra nel mercato del lavoro nostrano.
Questa sentenza oltre che assurda è un pericoloso precedente nel mondo del lavoro italiano, e nei fatti apre alla possibilità per le aziende di licenziare i propri dipendenti con le scuse più banali senza che ne sia riconosciuta l’illegittimità per licenziamento discriminatorio. Perché in fondo, alla base della volontà di assumere giovani al di sotto dei 25 anni, c’è la volontà di avere manodopera a più basso costo, da poter sfruttare e tenere sottopagata con la scusa del dover “fare esperienza”, e proprio la retorica sull’esperienza di lavoro riesce a presentare lo sfruttamento come un’opportunità per i giovani. È questa la condizione alla quale le nuove generazioni dei “choosy” italiani (cioè quelli che, secondo la neolingua della flessibilità, non si rassegnano all’idea della precarietà) dovranno abituarsi perché su tutto questo verterà il mondo del lavoro nei prossimi decenni. Sfruttamento, precarietà e salari da fame per il profitto di pochi.
Un bel colpo anche per chi era convinto che l’Unione Europea fosse foriera di diritti per i popoli europei, anche solo in potenza. Perché è chiaro che se il diritto europeo considera legittimo licenziare un 25enne perché “troppo vecchio”, a beneficiarne non sono i popoli e la gioventù, ma le multinazionali come A&F…