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«Vatti subito a truccare». Una lavoratrice 17enne ci racconta lo sfruttamento

Riceviamo e pubblichiamo questa testimonianza, che ci è stata inviata da una giovane ragazza campana che dopo l’articolo-rassegna sullo sfruttamento dei lavoratori in Toscana (qui) ha deciso di raccontarci la sua esperienza di lavoro. Una “normale” storia di sfruttamento, fra turni di 12 ore e lavoro non retribuito, con un’ultima pretesa che è solo la goccia che fa traboccare il vaso. «Il lavoro ormai è così», dicono tutti. Ma è proprio contro questa “normalità” che la nostra generazione deve ribellarsi…

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Sono  una ragazza di 17 anni che  vive in una piccola città della provincia di Salerno.  Durante lo scorso anno scolastico, mentre frequentavo il terzo anno di liceo, ho fatto una scelta: quella di andare a lavorare per pagarmi gli studi, e  per risollevare, in parte, la situazione economica in cui versa la mia famiglia.

Cosi sono stata assunta in un locale sito nella piazza della mia città, questo nelle notti di week-end diventa uno dei locali più frequentati dalla movida con tutta la sua fauna e la sua flora: commercianti, liberi professionisti e figli di papà che si riuniscono nel centro storico per bere qualcosa e passare le serate estive.

Sia chiaro, ho sempre lottato per i diritti dei miei compagni di scuola, per le ingiustizie sociali e per i diritti dei più deboli, ma questa esperienza lavorativa è stata la prova tangibile delle ingiustizie che si ricevono sul luogo di lavoro e dell’arroganza padronale che erroneamente nell’immaginario collettivo si attribuisce soltanto a potenti del mondo.

Quando mi presentai a colloquio mi fu offerto un  contratto che prevedeva un orario  che andava dalle ore 17:00 alle ore 00:30 nei week-end; nella realtà  venivo costretta a lavorare fino a chiusura del locale che avveniva nelle prime ore del mattino quindi nei fatti circa 5 ore del mio lavoro non venivano retribuite e sia chiaro, non erano ore di lavoro “volontario”. Onde evitare ripercussioni per palesi violazioni di ogni qualsivoglia tutela sul posto di lavoro, il mio datore mi intimava di affermare, qualora fossero arrivati i controlli, che la mia presenza lì fosse puramente occasionale.

Al bancone dietro cui lavoravo si accedeva gattonando,  lo spazio era veramente minimo, non più di 2mq, la possibilità di movimento era davvero limitata allo stretto necessario.

Ma ciò che realmente mi terrorizzava ogni qualvolta iniziava il mio lavoro era la mensola con tutte le bottiglie situata sopra la mia testa: non credo che ci voglia un genio per comprendere che una mensola aperta, difficilmente raggiungibile senza uno scaletto, in cui sono riposte in situazione precaria decine di bottiglie di vetro sicuramente non è né a norma né sicura e più volte ho rischiato che una di quelle bottiglie mi colpisse in testa.

Nel contratto non erano contemplate pause di lavoro, non pensavo fosse necessario specificarle, ma nella realtà a causa di questo particolare non mi veniva permesso di uscire dalla mia postazione  per alcun motivo, nemmeno 2 minuti di pausa per fumare una sigaretta o guardare sul cellulare se qualcuno mi avesse contattata. Anche la sola pausa per andare in bagno diventava pretesto per litigi. Questo comportava che io stessi per 12 ore fila in piedi a svolgere le mie mansioni  ininterrottamente, rendendo il mio lavoro letteralmente alienante.

In quel luogo frequenti erano le offese del proprietario, anche personali, rivolte  a me e miei colleghi, in qualsiasi momento e per qualsiasi piccolezza.

Ma l’episodio più eclatante e alienante avvenne durante il mio ultimo giorno di lavoro;
giunsi al locale struccata, per motivi personali non avevo avuto né il tempo né la voglia di truccarmi, nessuna parte del contratto stabiliva che io dovessi e nonostante ciò mi ero presentata sempre impeccabile e sistemata, come è giusto che sia, ma quel giorno non lo feci.

Ma la reazione e le parole del proprietario quando mi vide senza trucco furono ciò che di più umiliante mi sia mai capitato in quel bar: «Vatti subito a truccare, a nessuno piace vedere una bambina servire drink, e poi senza trucco sei più brutta».

In quel momento compresi qual era il mio valore per lui; un oggetto da esposizione, bello da vedersi per offrire drink in modo piacevole e per far sbavare qualche uomo di mezza età.

Sono finita in un luogo di mostri? Non credo, anche perché le successive esperienze lavorative  hanno solo confermato che la musica è simile da tutte le parti.

La mia storia non è speciale né diversa dalla storia di tanti altri. Solo che in molti ci hanno fatto l’abitudine e spesso ho sentito frasi come “questo è il lavoro” o “poteva andarti peggio” ed essere offesi,sottopagati o sfruttati è  la normalità.

Una normalità che non voglio più difendere, questa è la vostra normalità… la mia normalità non può prescindere dalla dignità.

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