*di Alessandro Fiorucci
Lo scorso venerdì gli studenti sono scesi in piazza in tutta Italia per protestare contro il sistema dell’alternanza scuola-lavoro, contro un’istruzione sempre più classista e piegata ai profitti di pochi. Migliaia di studenti delle classi popolari si sono mobilitati, istituti tecnici e professionali per la prima volta hanno aderito alle manifestazioni con una partecipazione di massa, grazie anche al lavoro serrato di discussione e organizzazione da parte della gioventù comunista. Un risultato non scontato, che rompe la ritualità delle lotte studentesche e vede protagonisti i giovani delle scuole di periferia, finora snobbate da un movimento rinchiuso nei licei tradizionalmente attivi.
Quella del 13 ottobre è una giornata che segna un avanzamento nelle posizioni e nelle lotte degli studenti, e rappresenta un passo in avanti in un quadro complessivo di difficoltà per il movimento studentesco. La battaglia contro l’alternanza scuola-lavoro e la parola d’ordine dello sciopero dell’alternanza hanno unito gli studenti a partire da un elemento immediatamente percepibile, che allo stesso tempo rappresenta il fulcro su cui si basa l’asservimento della scuola agli interessi dei padroni. Sono state decine e decine le manifestazioni di piazza, i presidi e le assemblee straordinarie organizzate per questo sciopero studentesco, che ha visto la maturazione di elementi e prospettive di lotta più avanzate che in passato. In special modo le proteste hanno puntato il dito contro le pesantissime responsabilità del Partito Democratico nella costruzione di una scuola su misura del profitto, grazie alle riforme e le misure chieste e applaudite dalla Confindustria.
E mentre migliaia di studenti riempivano le piazze, sui media cominciavano ad arrivare le reazioni politiche. Dalla sua pagina facebook ufficiale il Partito Democratico pubblica un video in cui alcuni giovani raccontano esperienze formative di alternanza. Il Ministro dell’Istruzione Fedeli risponde allo sciopero blaterando di alternanza come “introduzione innovativa” e di sforzi del Miur per elevarne la qualità ed estenderla in modo ancora più capillare. Insomma, una difesa a spada tratta di tutte le scelte politiche dei governi sulla scuola, uno scontro frontale con le proteste e le richieste degli studenti. La dimostrazione plastica di questo contrasto si è vista a Roma, dove il corteo studentesco ha marciato fin sotto al Ministero. Qui gli studenti hanno chiesto a gran voce che gli esponenti del Governo uscissero a confrontarsi con i giovani in piazza e a rendere conto delle proprie scelte sull’istruzione. Nessuna risposta reale dal palazzo di viale Trastevere, che ha preferito chiudere la discussione nelle proprie stanze.
Nel frattempo, della fantomatica “Carta dei Diritti degli Studenti in Alternanza” non si vede nemmeno l’ombra: da quasi due anni infatti il Ministero temporeggia, accampando scuse improbabili per giustificare questo ritardo. La realtà è molto più semplice, come spesso accade. Se un Governo introduce l’obbligo di svolgere stage obbligatori e non si preoccupa di regolamentare neanche degli aspetti minimi e fondamentali, significa che non c’è alcun interesse nel tutelare gli studenti. Oltretutto, se nella redazione di questa misteriosa Carta il parere dei diretti interessati conta meno di zero, cosa ci si può aspettare se non l’ennesima presa in giro? La verità è che le risposte non arrivano perché non esistono, e non è una questione di incompetenza.
La condizione in cui versa l’istruzione oggi non è frutto di “errori” o incidenti di percorso, ma di precise scelte d’indirizzo politico. In questo senso il problema dell’alternanza scuola-lavoro non sono le sue storture, non sono singoli casi di “mala gestione” o di incapacità organizzativa da parte di scuole e aziende. L’alternanza scuola-lavoro conviene ai padroni quando funziona bene, quando consente alle loro aziende di anticipare la formazione aziendale, di sfruttare il lavoro non pagato degli studenti ed educarli a un futuro senza diritti. Bisogna smetterla di considerare le proteste studentesche come lamentele di fronte all’incapacità dei governi di fare fronte ai problemi della scuola. Se le strutture cadono a pezzi è perché si è deciso di salvare prima le grandi banche o di aumentare le spese militari. È solo una questione di scelte: il governo ha deciso di regalare milioni di giovani alle aziende come lavoratori non pagati, ha consegnato la scuola nelle mani di padroni condannando intere generazioni a un futuro precario e fatto di sfruttamento.
Di fronte a questa situazione non si possono nutrire illusioni, non è possibile aspettarsi svolte o concessioni da parte del Governo. Quella degli studenti che sono scesi nelle piazze di tutta Italia venerdì è una lotta che supera le problematiche specifiche, che individua le responsabilità politiche della costruzione di una scuola asservita ai profitti di banche e grandi imprese. È una lotta che contesta lo sfruttamento in alternanza e rifiuta la competizione al ribasso coi lavoratori, chiedendo un giusto salario e diritti per gli studenti. È una protesta che vuole scardinare il meccanismo su cui si basa il sistema della scuola-lavoro obbligatoria, e che dimostra di avere un potenziale enorme. I ragazzi delle classi popolari hanno alzato la testa, e non chiedono solo di essere ascoltati dalle istituzioni.
Qualcuno ha provato a liquidare la protesta degli studenti come semplice rifiuto di “sporcarsi le mani” con un po’ di lavoro. È ora di capire che le parole d’ordine lanciate da questo sciopero vanno oltre il contesto delle scuole superiori, per chiedere garanzie reali sul proprio futuro lavorativo. Se si vogliono educare i giovani a lavorare gratis e chinare la testa, dire no a questo sistema significa rifiutare ogni forma di ricatto e condizioni peggiorative sul posto di lavoro. In gioco non c’è solo il raggiungimento di soluzioni e obiettivi immediati, ma la conquista di un’istruzione diversa, che sia al servizio dei futuri lavoratori e non degli sfruttatori. Sappiamo bene che le priorità del Governo coincidono con le richieste della Confindustria e non con le aspirazioni e le esigenze degli studenti. Per questo la lotta contro la scuola di classe potrà essere più incisiva solo se riuscirà ad essere più organizzata e capillare: la strada è in salita, ma la direzione intrapresa è quella giusta.
*Responsabile Scuola FGC