*di Lorenzo Vagni
Lo scorso lunedì (13 novembre) a Bruxelles è stata ratificata la decisione dei ministri degli Esteri e della Difesa di 23 paesi membri dell’Unione Europea di aderire all’accordo denominato Cooperazione Strutturata Permanente nella Difesa (PeSCo).
Nonostante sia stato giustificato con il tentativo di ottimizzare i costi e di ridurre le spese militari, l’accordo prevede la collaborazione degli stati partecipanti negli investimenti riguardanti il settore militare, nello sviluppo di nuove capacità belliche e nella partecipazione congiunta ad operazioni militari, anche se i progetti che saranno promossi dalla PeSCo non sono ancora stati definiti nel dettaglio. L’accordo entrerà in vigore a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio Affari Esteri dell’UE, che voterà la ratifica della PeSCo il prossimo 11 dicembre; tuttavia l’esito della votazione sembra essere scontato, data l’adesione della larga maggioranza dei paesi membri dell’Unione (inoltre Portogallo e Irlanda sigleranno l’accordo a dicembre).
L’istituzione della Cooperazione Strutturata Permanente rappresenta l’attuazione degli articoli 42 (paragrafo 6) e 46 del Trattato sull’Unione Europea, che sono stati integrati al TUE dal Trattato di Lisbona del 2007, e dal protocollo n. 10 sulla cooperazione strutturata permanente. La costituzione della Cooperazione Strutturata Permanente è sancita dall’articolo 42 del TUE, il quale sancisce che[1]:
«Gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative instaurano una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione».
Il protocollo n. 10 stabilisce infine i termini ai quali ogni stato aderente si impegna, ovvero[1]:
- a procedere più intensamente allo sviluppo delle sue capacità di difesa, attraverso lo sviluppo dei suoi contributi nazionali e la partecipazione, se del caso, a forze multinazionali, ai principali programmi europei di equipaggiamento e all’attività dell’Agenzia nel settore dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell’acquisizione e degli armamenti;
- ad essere in grado di fornire, a titolo nazionale o come componente di gruppi di forze multinazionali, unità di combattimento mirate alle missioni previste entro un termine da 5 a 30 giorni e sostenibili per un periodo iniziale di 30 giorni prorogabili fino ad almeno 120 giorni;
- a cooperare al fine di conseguire obiettivi concordati riguardanti il livello delle spese per gli investimenti in materia di equipaggiamenti per la difesa, e a riesaminare regolarmente tali obiettivi alla luce dell’ambiente di sicurezza e delle responsabilità internazionali dell’Unione;
- a ravvicinare, per quanto possibile, i loro strumenti di difesa, in particolare armonizzando l’identificazione dei bisogni militari, mettendo in comune e specializzando i loro mezzi e capacità di difesa, nonché promuovendo la cooperazione nei settori della formazione e della logistica;
- a prendere misure concrete per rafforzare la disponibilità, l’interoperabilità, la flessibilità e la schierabilità delle loro forze, in particolare identificando obiettivi comuni in materia di proiezione delle forze, anche eventualmente riesaminando le loro procedure decisionali nazionali;
- a cooperare per assicurare che essi prendano le misure necessarie per colmare, anche attraverso approcci multinazionali e senza pregiudizio degli impegni che li riguardano in seno all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), le lacune constatate nel quadro del “meccanismo di sviluppo delle capacità”;
- a partecipare, se del caso, allo sviluppo di programmi comuni o europei di equipaggiamenti di vasta portata nel quadro dell’Agenzia europea per la difesa.
Tra i possibili orizzonti dell’accordo vi è la progettazione di una “Schengen della Difesa“, ovvero la semplificazione degli spostamenti militari transfrontalieri.
Avrà in questo contesto un ruolo centrale il Fondo Europeo per la Difesa, che può contare su 5,5 miliardi di euro l’anno per gli investimenti comuni in armamenti nel contempo che avanzano i tagli alla spesa sociale.
I sostenitori del processo di integrazione europea vedono nell’adesione alla PeSCo il primo passo verso la costituzione di un esercito unico europeo: tra questi, uno dei più attivi sostenitori di questa ipotesi è il presidente francese Emmanuel Macron.
L’Italia è pienamente coinvolta e membro attivo degli sviluppi della PeSCo: tra le varie proposte di progetti vi sono infatti la realizzazione di un drone europeo, a cui l’Italia parteciperebbe direttamente, la trasformazione della Scuola Militare Nunziatella di Napoli in una scuola di formazione militare europea, e la realizzazione a Torino di una scuola internazionale di “peacekeeping“, in un contesto in cui l’imperialismo italiano sta guardando con sempre maggiore interesse alla situazione africana, con particolare riguardo alla Libia[2].
La Cooperazione Strutturata Permanente rientra in un contesto internazionale in cui l’UE, a seguito della Brexit, dell’elezione di Trump negli USA e dell’acuirsi delle tensioni interimperialistiche, tenta di acquisire ancora maggior peso nella competizione internazionale, pur senza troncare i propri rapporti con la NATO, e quindi con gli Stati Uniti.
È in questa fase compito fondamentale dei comunisti l’opposizione alla guerra imperialistica e al militarismo di ciascuno stato membro della piramide imperialistica, che non possono che portare a conseguenze nefaste per i popoli di tutto il mondo negli interessi esclusivi dei monopoli capitalistici in continuità con le politiche di massacro sociale di cui la stessa UE è portatrice.
[1] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A12012M%2FTXT
[2] https://www.senzatregua.it/2017/08/03/nuova-missione-militare-dellimperialismo-italiano-libia/