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L’esempio della Rivolta di Tricase, 83 anni dopo

* di Jacopo Sabato

 Fimmene fimmene ca sciati allu tabaccu
ne sciati doi e ne turnati quattru.

(Donne donne che andate al tabacco
andate in due e tornate in quattro).

tricase-2Con queste parole iniziava un noto canto popolare di protesta delle tabacchine impegnate nel lavoro nelle tabaccherie salentine. Parole che denunciavano le condizioni di lavoro e di abuso delle tabacchine da parte del padrone sul posto di lavoro.

Con l’ultima frase si intendevano sia le tabacchine che tornavano gravide a causa degli abusi da parte del padrone, sia la stanchezza nel “farsi in quattro” durante la giornata lavorativa. Si parla di tabacchine perché le donne venivano preferite nella lavorazione del tabacco grazie alle loro mani più piccole ed agili che aumentavano il ritmo nella lavorazione.

La coltivazione del tabacco nel territorio salentino è stata una realtà fino agli anni ‘80. La storia della lavorazione del tabacco ha origine nel ‘700 durante la dominazione borbonica con Ferdinando IV per poi essere incentivata da Murat quando nel 1812 istituì la “Manifattura Tabacchi del Salento Leccese”. La lavorazione del tabacco coinvolgeva famiglie e in alcuni casi intere città dipendevano dalla lavorazione di questo come fonte unica di reddito

Come la storia insegna, il lavoro per la produzione del tabacco vide il lavoro del proletariato salentino e i profitti dei padroni agrari, e uno Stato piegato agli interessi di questi ultimi. La situazione era rimasta tale anche durante il regime fascista, che godeva soprattutto dell’appoggio di padroni industriali e agrari.

Nonostante la proclamazioni delle Leggi Fascistissime del 1925 in cui veniva vietato lo sciopero, nel Salento iniziarono ad esserci le prime contestazioni e abbandoni dal lavoro. Il regime fascista iniziò a provvedere arrestando decine di operai ed operaie in tutti i comuni del Salento in cui si sollevarono le proteste, ma le lotte spinte dalla richiesta di aumento dei salari non si arrestarono nonostante la repressione del fascismo.

Il 15 maggio 1935 nella città di Tricase, in provincia di Lecce, iniziarono le sollevazioni contro la decisione del giorno precedente da parte del governo di voler sciogliere i consorzi della provincia e centralizzarli a Lecce con la complicità dei padroni e del podestà del luogo. Le tabacchine e gli abitanti di Tricase videro in un attimo sparire la loro unica fonte di reddito e i diritti conquistati negli anni precedenti (tra cui un asilo nido per i figli delle operaie).

Nonostante la repressione degli anni precedenti, la cittadinanza si riunì attorno alla protesta delle tabacchine per difendere il lavoro minacciando prima di assalire il municipio e in seguito di dargli fuoco nel caso le loro richieste non venissero ascoltate. Il podestà, ignorando la disperazione dei cittadini e dei lavoratori, scappò da una uscita secondaria e i carabinieri iniziarono a sparare sulla folla ad altezza uomo ferendo decine di persone e uccidendone cinque: Cosima Panico, Donata Scolozzi, Maria Assunta Nesca, Pompeo Rizzo e Pietro Panarese di soli 15 anni.

Giuseppe Di Vittorio ricorderà il tragico evento come “La rivolta di Tricase”. L’evento in questione è uno dei tanti tasselli che ha caratterizzato la lotta dei lavoratori quando il movimento operaio era forte, unito e organizzato che ha ottenuto con la lotta diritti e conquiste, oltre a dimostrare come il fascismo sia stato solo un regime reazionario nemico dei lavoratori pronto a sparare ed uccidere per difendere i profitti e gli interessi dei padroni.

Oggi, a 83 anni dalla Rivolta di Tricase, prendiamo esempio dalla tenacia e dalla lotta delle tabacchine, continuando a lottare in nome dei nostri diritti e del nostro futuro.

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