*di Mattia Greco
I mondiali di calcio sono un evento incredibile che vanno oltre alla passione per lo sport e il tifo per la propria nazionale, coinvolgendo tutto il pianeta. Le partite, seguite in tutti i paesi, vengono proiettate nei teleschermi di tutte le capitali e nelle tv di miliardi di famiglie. Per un mese intero, il mondiale rimane al centro delle discussioni dai dibattiti televisivi a quelli per le strade.
In particolare questo mondiale è stato al centro di molte discussioni che apparentemente si allontanano dallo sport e dal calcio, per finire sul campo della politica.
A partire dal paese organizzatore, la Russia, che per la prima volta da dopo la caduta del muro ha ospitato i mondiali. Putin, come del resto tutti i leader dei paesi che organizzano il torneo, ha utilizzato i mondiali per mostrare i suoi “muscoli” alle telecamere e legittimarsi al mondo intero.
In un contesto in cui la destra xenofoba e nazionalista avanza in Europa e non solo, il mondiale ha rappresentato un modo per inserirsi a gamba tesa nel dibattito sull’immigrazione, l’accoglienza e l’identità nazionale.
Proprio per questo in vista della finale tra Francia e Croazia, i secondi sono stati ampiamente sostenuti in quanto “paese identitario”, “sovranista” e con una “squadra composta interamente da bianchi” in contrapposizione alla selezione francese dove “il concetto di nazione e Patria è piuttosto relativo”. Una finale tra “Africa ed Europa” secondo alcuni, dove la Croazia si innalzava a difensore delle tradizioni cristiane.
Lo stesso si può dire per gli esponenti della sinistra borghese e da “salotto”. La Repubblica in un articolo dal titolo: “Nazionalisti o meltin pot la finale del calcio che oppone due mondi” fa un elogio della Francia di Macron che proprio attraverso il calcio riesce a superare i problemi dell’integrazione, e per dimostrare la “superiorità” francese indica anche il numero di premi nobel per la letteratura (15 per i francesi, nessuno per i croati) e degli oscar (13 a 0).
Lo sport è anche politica, sarebbe fuorviante ammettere il contrario. Ma bisogna analizzare meglio la questione. Da una parte c’è chi cavalca l’onda del sentimento nazionalista per esaltare la Croazia, continuando ad alimentare la guerra tra poveri e incantando le masse. Lo stesso Salvini,che si è recato a Mosca per la finale, nel pre-partita aveva dichiarato che avrebbe tifato Croazia “come il 99% degli italiani”. E dopo la partita ha twittato con i soliti luoghi comuni per rivendicare una fantomatica superiorità degli italiani sui francesi.
Dall’altra parte invece non si può giustificare chi fa sponda sulla vittoria dei transalpini per osannare il modello Macron dell’accoglienza.
A proposito di quest’ultimo infatti bisogna sempre sottolineare le pessime condizioni in cui versa il proletariato francese di origine africana. La stragrande maggioranza degli immigrati vive in uno stato di ghettizzazione e precarietà abissale. La gioventù è rinchiusa nelle banlieue dove giorno dopo giorno aumenta il nichilismo, l’odio verso le istituzioni e verso uno stato che si fa portavoce di sentimenti di libertà ma che nei fatti non assicura nessuna alternativa di vita a quei giovani che trovano rifugio solo nel consumo di droghe e cadono tra le braccia del fondamentalismo islamico e della microcriminalità. Solo pochissimi riescono “ad uscire dal ghetto” attraverso lo sport e la valorizzazione del proprio talento.
I governi francesi, dal 1998 fino ad oggi, hanno utilizzato la nazionale francese per promuovere un sentimento di unità nazionale che nei fatti non esiste. I “black-blanc-beur”, in questo modo furono chiamati i giocatori della nazionale per evidenziare la multi etnicità dell’organico, diventavano il simbolo di una Francia unita nel tricolore e nella Marsigliese. Un modo per accantonare una volta per tutte la storia coloniale dei secoli scorsi. Strumentalizzare la composizione multietnica della nazionale per mostrare come l’integrazione delle comunità africane sia riuscita perfettamente.
Ovviamente come da preavviso la vittoria francese ha lasciato alcune perplessità. Tralasciando i ragionamenti tecnici, secondo l’opinione di molti “addetti ai lavori” e non solo, la Francia ha vinto grazie a giocatori che di francese non hanno nulla. Una sorta di “vittoria falsata” per cosi dire. Anche questo argomento non è facile da trattare. La nazionale francese se si osservano i dati era composta da solamente due giocatori che non erano nati sul territorio francese: Samuel Umtiti (Camerun) e Steve Mandanda (Congo). Il resto della squadra come detto precedentemente ha origini africane, ma è nato sul territorio francese a differenza dei genitori o dei nonni che sono emigrati. Sono giocatori e cittadini a tutti gli effetti francesi dunque, in quanto nati e cresciuti in Francia. Si può dire però che la vittoria della Francia sia frutto di secoli di colonialismo, sfruttamento e sottomissione dei popoli africani? Probabilmente si.
Nel 2018 il calcio, soprattutto quello che conta, è diventato più che mai un business così come del resto tutti gli altri sport e tutte le passioni. Per analizzare alcune questioni si deve per forza di cose dare uno sguardo alla società nel suo complesso. In un secolo in cui assistiamo a massicce emigrazioni, che hanno trasformato la società in un meltin pot sempre più vario, e un calcio ormai diventato un marketing, con le nazionali che vengono scelte dai giocatori anche in base alla visibiltà che può offrire, ci sembra banale analizzare una nazionale in base al colore della pelle dei suoi componenti.
Nonostante questo, il calcio rimane uno strumento potente per la borghesia che può usarlo per cavalcare l’onda del nazionalismo e fomentare la guerra tra poveri così come può essere strumentalizzato per esaltare una finta identità nazionale per promuovere una pace sociale, funzionale al capitale e alle politiche antipopolari, e una finta integrazione.
Per questi motivi il calcio deve tornare ad essere popolare, deve essere un mezzo per il cambiamento e di emancipazione personale dei ragazzi delle periferie, per strapparli alla mafia, alla droga e al nichilismo.