*di Lorenzo Vagni
Lo scorso 18 agosto si è tenuto presso il castello di Meseberg, a Gransee, in Germania, un incontro tra Angela Merkel e Vladimir Putin. Il vertice segna una riapertura del dialogo tra i due capi di stato dopo l’inasprimento dei rapporti a seguito delle sanzioni economiche imposte alla Russia dall’Unione Europea in risposta all’annessione della Crimea. Nell’incontro si sono trattate varie tematiche di politica internazionale: dalla guerra del Donbass, per la quale la Merkel chiede l’applicazione degli accordi di Minsk, a quella in Siria. Si è parlato inoltre della possibile estensione del Nord Stream, il gasdotto che collega la Russia alla Germania attraverso il mar Baltico.
Il progetto Nord Stream, chiamato inizialmente North Transgas e in seguito North European Gas Pipeline, risale al 1997, anno in cui il colosso russo Gazprom e la compagnia finlandese Neste decidono la costruzione di un gasdotto che non transitasse per altri paesi nel tragitto tra Russia e Germania. Nel 2005 Gazprom rilevò le quote di Fortum (nome assunto nel frattempo da Neste) della società per la costruzione del gasdotto, divenendone unico proprietario, e iniziò i lavori di costruzione sulla terraferma. In seguito subentrarono acquistando quote altre grandi imprese europee, mentre le italiane Snamprogetti e Saipem parteciparono alla progettazione e alla costruzione del gasdotto. La prima linea del Nord Stream fu ultimata nel 2011, mentre l’anno successivo fu terminata una seconda conduttura.
Dal 2011 si iniziò ad ipotizzare l’espansione del Nord Stream, chiamata appunto Nord Stream 2, che prevedeva la realizzazione di altre 2 linee che portassero la capacità del gasdotto dai 55 miliardi di metri cubi attuali a 110 miliardi di metri cubi. La costruzione degli impianti terrestri in Germania è iniziata a maggio, e si prevede che il Nord Stream 2 possa essere operativo entro il 2020.
Il progetto, fortemente sostenuto da Putin, ha visto l’opposizione da parte di Polonia, Slovacchia e Ucraina, che temono di rimanere tagliate fuori dai collegamenti del gas tra UE e Russia, la quale al contrario sarebbe meno esposta a pressioni da parte degli stati attraversati dai gasdotti rafforzando i collegamenti via mare. Si sono inoltre espressi sfavorevolmente alla realizzazione del Nord Stream 2 Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, secondo cui il progetto sarebbe contro gli interessi dell’UE in quanto «il Nord Stream 2 non aiuta la diversificazione, né riduce la nostra dipendenza energetica», e Donald Trump, secondo il quale l’accordo renderebbe la Germania «totalmente controllata dalla Russia». Perfino Matteo Renzi, durante la sua presidenza, si era scagliato con veemenza contro la decisione della Germania di raddoppiare il gasdotto, definendo tale decisione incoerente con le sanzioni.
La posizione di opposizione al Nord Stream 2 da parte degli Stati Uniti è di facile lettura, in quanto gli USA temono che la Germania aumenti la propria dipendenza dalla Russia, a scapito proprio degli stessi Stati Uniti che, per tale motivo, promuovono invece il progetto del Trans Adriatic Pipeline (TAP) che dall’Azerbaijan giunge in Italia in funzione di “diversificare le fonti di approvvigionamento dell’UE” (limitando la Russia) insieme all’esportazione del suo gas naturale liquefatto (GNL) in Europa. La Germania è già peraltro il maggior importatore di gas dalla Russia, acquistando il 27,5 % delle esportazioni di Gazprom. Nel primo semestre del 2018 le importazioni di gas russo sono aumentate del 12,2 % (ovvero 3,5 miliardi di metri cubi), e l’espansione del Nord Stream potrebbe aumentare ulteriormente tali cifre. Questo ha portato Trump ad affermare che «la Germania è prigioniera della Russia sull’energia e poi noi dovremmo proteggerla dalla Russia».
La Germania al contrario guarda con interesse allo sviluppo del commercio con la Russia, seppur in forma limitata e senza rinunciare alle sanzioni, a causa della possibile instabilità dei rapporti tra UE e USA a seguito delle politiche di Trump sui dazi e dalla differente strategia a livello internazionale di quest’ultimo. In tal senso, la Russia di Putin rappresenta un partner commerciale ritenuto affidabile, ma l’interesse tedesco si estende anche per tutta un’area considerata “spazio vitale” dalla Russia, il Caucaso meridionale. La Merkel, insieme ad una delegazione di imprese tedesche, ha fatto infatti visita anche in Georgia, Armenia e Azerbaijan (che fanno parte del partenariato orientale dell’UE), dove ha evidenziato l’intenzione tedesca di assumere “maggiore responsabilità” nei conflitti dell’area (oltre quello Ucraina-Russia anche quello tra Armenia- Azerbaijan) sottolineandone l’importanza geostrategica (come avamposto verso l’Iran e l’Asia centrale) per la Germania e l’UE, dimostrando il suo interesse anche per il cosiddetto “corridoio meridionale” di trasporto del gas attraverso TAP e TANAP (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline, che dall’Azerbaijan passa dalla Turchia per finire in Europa) e firmando diversi accordi commerciali. Significativo il caso dell’Armenia che ha firmato un accordo con l’UE (Trattato di partenariato globale e rafforzato – CEPA) negli ultimi mesi pur essendo membro dell’Unione Economica Eurasiatica a guida russa. A tal proposito la Merkel, sottolineando il ruolo tedesco nel buon esito dell’accordo, ha dichiarato: «L’Armenia può essere un esempio di come si possa trovare una buona cooperazione con la Russia e l’UE allo stesso tempo».[1]
Reclamando una maggiore autonomia commerciale dagli USA, la Germania intende inoltre porsi come capofila di un’Unione Europea che abbia ulteriore peso nel contesto internazionale, come testimoniato dalle parole di Heiko Maas, ministro degli Esteri tedesco[2]:
«Il fatto che l’Atlantico è diventato politicamente più largo non è dovuto solamente a Donald Trump. Gli Stati Uniti e l’Europa si stanno allontanando da anni. L’intersezione di valori e interessi che ha plasmato il nostro rapporto per due generazioni è in declino. […] È giunto il momento di rivedere la nostra partnership – non di metterla da parte, ma di rinnovarla e preservarla. Come progetto, abbiamo l’idea di una partnership equilibrata, in cui assumiamo la nostra parte della responsabilità. In cui facciamo da contrappeso quando gli Stati Uniti superano certi limiti. In cui mettiamo il nostro peso, quando l’America si ritira. E in cui iniziamo un nuovo dialogo. Da soli, falliremmo in questo compito. L’obiettivo principale della nostra politica estera è quindi quello di costruire un’Europa forte e sovrana. Solo in stretta collaborazione con la Francia e gli altri paesi europei è possibile raggiungere un equilibrio con gli Stati Uniti. L’Unione Europea deve diventare un cardine dell’ordine internazionale, un partner per tutti coloro che si sono impegnati in esso. […] In nessun altro tema il legame transatlantico è indispensabile per noi quanto lo è per la sicurezza. Sia come partner nella NATO o nella lotta contro il terrorismo, abbiamo bisogno degli Stati Uniti. Ma da ciò dobbiamo trarre le giuste conclusioni. È nel nostro stesso interesse rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza del Nord Atlantico. Non perché Donald Trump stabilisca sempre nuovi obiettivi percentuali, ma perché non possiamo contare su Washington come prima.»
Gli fa eco il 27 agosto il presidente francese Emmanuel Macron [3], dicendo davanti agli ambasciatori di Francia riuniti a Parigi che intende varare «nei prossimi mesi» un progetto di rafforzamento della sicurezza in Europa e che gli europei «non possono più far affidamento esclusivamente sugli Stati Uniti». «Dobbiamo trarre tutte le conseguenze della fine della guerra fredda. Sta a noi prenderci le nostre responsabilità e garantire la sicurezza e la sovranità europea.» La sicurezza, ha detto Macron, dovrà coinvolgere «tutti i partner dell’Europa, fra cui la Russia». A condizione, però di «progressi sostanziali verso la soluzione della crisi ucraina e il rispetto del quadro Osce».
Ovviamente sono in ballo anche scottanti temi economici. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha confermato ieri che Berlino e Parigi stanno studiando il modo di aggirare le sanzioni Usa contro paesi come l’Iran. «Voglio che l’Europa sia un continente sovrano – ha detto – non un vassallo. E questo significa avere strumenti finanziari indipendenti che non esistono oggi».
Queste dichiarazioni di affermazione di una maggiore autonomia dell’Unione Europea dagli Stati Uniti rappresentano la volontà di imporre il proprio imperialismo in forma più autonoma da quello americano e non possono essere interpretate positivamente. Nulla di buono la classe operaia europea può aspettarsi da tutto ciò. Un’Unione Europea totalmente subalterna agli USA, o un imperialismo europeo che scalpita per risalire nel rango della piramide imperialista, sarà sempre a spese dei lavoratori europei. Nel secondo caso infatti questi dovranno pagarne il conto, a cominciare dall’incremento delle spese militari che comporteranno, mentre gli eventuali profitti che ne dovessero scaturire per “l’Europa”, saranno sempre a beneficio dei capitalisti europei.
[1] https://armenpress.am/eng/news/944907.html