*di Lorenzo Vagni
Dal 2015 lo Yemen è teatro di una sanguinosa guerra civile combattuta tra gli Huthi, un movimento sciita sostenuto dall’Iran, e le forze sunnite leali all’ex presidente Abdrabbuh Mansur Hadi, sostenute da diverse monarchie del Golfo (tra cui principalmente Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), dagli Stati Uniti e da diversi altri stati membri della NATO. A questi due schieramenti si aggiungono diverse milizie jihadiste legate ad Al Qaida o allo Stato Islamico e una fazione che opera per la secessione del sud del paese. Le poche volte che questa guerra arriva nei media viene presentata con una comoda interpretazione dei fatti basata su considerazioni religiose ed etniche, nel tentativo di occultare la natura imperialistica della guerra [1] e dell’aggressione saudita con l’operazione “Tormenta Definitiva” alla guida di una coalizione formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Qatar, Egitto, Giordania e Marocco, con il coinvolgimento delle principali potenze imperialiste a livello globale.
La guerra, che le Nazioni Unite hanno definito come la più grave crisi umanitaria al mondo, ha ad oggi condotto oltre 13 milioni di yemeniti all’orlo della fame, causato direttamente o indirettamente la morte di centinaia di migliaia di persone, tra cui almeno 85˙000 bambini per l’inedia, più di 2 mila morti di colera, e oltre 3 milioni di sfollati.
Alla tragedia della guerra si aggiunge quanto documentato in un articolo del New York Times dello scorso 28 dicembre [2]: come riportato dal quotidiano, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita avrebbe arruolato tra le proprie truppe un numero di bambini soldato provenienti dal Sudan stimato tra le 3˙000 e le 6˙000 unità. Dal 2015 infatti l’Arabia Saudita offrirebbe a molte famiglie sudanesi, spesso provenienti dalla regione del Darfur, povera e afflitta da una guerra civile terminata nel 2010, somme ammontanti a circa 10˙000 dollari in cambio dell’invio dei propri figli in Yemen. Spesso le famiglie corrompono funzionari militari locali per facilitare la partenza dei figli. Oltre ai bambini, che compongono una percentuale compresa tra il 20 % e il 40 % dei sudanesi assoldati dai sauditi, stimati in 14˙000 unità, vengono ingaggiati mercenari appartenenti alle Forze di Supporto Rapido, un’organizzazione paramilitare legata al governo sudanese accusata di stupri, esecuzioni di massa e altri crimini di guerra durante il conflitto del Darfur.
I soldati sudanesi vengono imbarcati da Nyala o da Khartum in jet trasportanti complessivamente tra le 2˙000 e le 3˙000 persone e condotti in Arabia Saudita, dove sono allestiti campi di addestramento in cui i soldati risiedono per 2 o 4 settimane. Infine i soldati vengono divisi in gruppi dalle 500 alle 750 unità e condotti in Yemen a combattere. Secondo le testimonianze dei soldati sudanesi fuggiti dalla guerra, le armi consegnate loro sarebbero di fattura statunitense. Ciascun mercenario sudanese riceve una somma compresa tra 480 e 530 dollari al mese, a cui si aggiungono dai 185 ai 250 dollari per ogni mese di combattimento effettivo, 10˙000 dollari al termine di ogni ciclo semestrale e ricompense per le famiglie in caso di decesso. Questi pagamenti vengono versati alla Faisal Islamic Bank of Sudan, la cui proprietà è in parte saudita.
Mentre gli altri stati alleati dell’Arabia Saudita nella guerra in Yemen ricevono da questa e dagli Emirati Arabi Uniti finanziamenti diretti, nel caso del Sudan i finanziamenti vengono versati direttamente ai combattenti. Proprio nel tentativo di ottenere maggiori profitti dalla partecipazione al conflitto, il governo sudanese ha minacciato lo scorso maggio di rivalutare la presenza in Yemen. Tuttavia, nonostante non vi sia stato un aumento di finanziamenti, la presenza delle truppe sudanesi permane invariata. Sebbene la monarchia saudita si sia apprestata a negare l’arruolamento di bambini soldato nelle proprie file e l’utilizzo di armi prodotte negli Stati Uniti[3], le testimonianze dei reduci risultano concordi nell’affermare tali pratiche.
Il ricorso allo sfruttamento di bambini soldato e di mercenari membri di fazioni macchiatesi di crimini di guerra non fa che aggravare le già pesanti colpe della coalizione a guida saudita, che si stima abbia causato nel corso del conflitto oltre il doppio delle vittimi civili di tutte le altre coalizioni messe insieme. Le stesse colpe gravano sul governo sudanese, che sta proprio in queste settimane reprimendo le proteste popolari a seguito dell’aumento del prezzo del pane e del carburante, sulla NATO, che fornisce supporto più o meno esplicito ai suoi alleati nella regione, e sul nostro paese, che fornendo armamenti alle truppe saudite si rende pienamente complice del massacro in atto.
[1] Per approfondire: https://www.senzatregua.it/2015/04/08/yemen-guerra-etnica-religiosa-o-escalation-imperialista
[2] https://www.nytimes.com/2018/12/28/world/africa/saudi-sudan-yemen-child-fighters.html
[3] https://www.nytimes.com/2019/01/02/world/middleeast/saudi-arabia-yemen-weapons-soldiers.html