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A 100 anni dall’assassinio di Luxemburg e Liebknecht, l’esempio di due rivoluzionari

*di Giorgio Pica

“Oggi, a Berlino, la borghesia e i socialtraditori esultano: sono riusciti ad assassinare K. Liebknecht e R. Luxemburg. Ebert e Scheidemann, che per quattro anni hanno condotto gli operai al macello, in nome di interessi briganteschi, si sono assunti oggi la parte dei carnefici dei dirigenti proletari. L’esempio della rivoluzione tedesca ci persuade che la «democrazia» è solo una copertura della rapina borghese e della violenza più feroce.  Morte ai carnefici!”[1]

Cento anni fa, il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, leader della classe operaia tedesca, furono assassinati nella brutale repressione del fallito tentativo di rovesciare il governo di F.Ebert, a seguito della sostituzione da capo della polizia di Berlino del socialdemocratico indipendente Eichhorn (USPD) con il socialdemocratico di destra Ernst (SPD). La vicenda si colloca nel contesto del moti rivoluzionari che tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919 si propagarono in una Germania sconvolta dalla terribile situazione economica e dalla resa nei confronti dei paesi dell’Intesa che pose fine alla Prima Guerra Mondiale e al regime guglielmino.

A fronte della instaurazione di soviet di operai e soldati nei principali centri cittadini, i quali erano però controllati da una dirigenza socialdemocratica opportunistica e riformista (la stessa che aveva sostenuto lo sforzo bellico e fu corresponsabile del massacro imperialista di milioni di giovani uomini) che non mutò le basi del regime borghese e non procedette all’esproprio delle proprietà dei grandi industriali e proprietari terrieri, la ribellione spartachista (dal nome della “Lega di Spartaco” in cui si identificavano i socialdemocratici di sinistra che si opposero alla guerra, raccolti poi dal dicembre 1918 nel Partito Comunista di Germania – KPD) si risolse in un tragico epilogo, determinato da vari fattori. Questi fattori derivavano da situazioni oggettive e soggettive in seno al movimento operaio tedesco e alla storia della sinistra socialdemocratica in particolare, andando incontro a quella che di fatto fu una battaglia difensiva e isolata, in cui i comunisti non avevano la piena direzione del movimento e fecero dei calcoli sbagliati, derivanti da errori politici e organizzativi pregressi.

Ma a parte questo giudizio, su cui si potrà certamente ritornare, l’obiettivo degli spartachisti era in ogni caso quello di creare in Germania uno stato in cui tutto il potere fosse nelle mani dei consigli degli operai e dei soldati che, seguendo il modello sovietico russo, dovevano trasportare la Germania dalla fase della rivoluzione democratico-borghese alla fase socialista. La repressione venne ordinata dal governo del già citato socialdemocratico Ebert (poi presidente della Repubblica di Weimar), e dal ministro della difesa G.Noske (sempre della SPD) che non esitò a servirsi dei cosiddetti “Freikorps” (i corpi franchi), formazioni di paramilitari di estrema destra al soldo della borghesia e controllati da ufficiali dell’ex esercito imperiale, che giustiziarono sommariamente e a sangue freddo i due rivoluzionari comunisti sconfitti e catturati.

“In fondo, lei lo sa, io spero di morire sulle barricate” scriveva Rosa in una delle sue innumerevoli lettere dal carcere.  Una vita stroncata, quindi, dedicata interamente al progetto della rivoluzione socialista, frutto di un percorso che la portava sempre ad essere in prima linea nella lotta e nelle discussioni anche teoriche del periodo prebellico, non senza contraddizioni.

Ma chi fu realmente Rosa Luxemburg? Ella nacque a Zamosc, cittadina della Polonia russa, il 5 marzo 1871 da una famiglia ebraica di tendenze liberali. Brillantissima negli studi, nel 1893 fondò la Sdkpil, la Socialdemocrazia del regno di Polonia e Lituania e nel 1898 si trasferì a Berlino aderendo alla SPD . Nel 1905 partecipò ai moti polacchi che seguirono la prima rivoluzione russa e fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu impegnata nelle intense attività di partito e dei lavori della II Internazionale (1889-1914), dove si scontrò più volte sulle tattiche a cui si era ormai abituata la socialdemocrazia tedesca.

Fondamentale è infatti ricordare il suo spirito e la sua azione rivoluzionaria con cui ha voluto spesso ribadire, sia con i fatti che con la teoria e fino alle estreme conseguenze l’importanza della via rivoluzionaria come unica possibile via per la realizzazione del socialismo. Una larga parte della sua attività politica è stata dedicata a combattere tutte le teorie revisioniste ed opportuniste che in quegli anni si stavano imponendo nel movimento socialista e operaio.

La sua più importante opera a riguardo fu “Riforma sociale o rivoluzione?”, pubblicata per la prima volta nel 1899, con la quale rispose alla teoria sviluppata da E.Bernstein[2] che tentava di dare una base teorica alla pratica opportunista già ben consolidata nel partito e nel sindacato, mettendo il movimento operaio alla coda della borghesia. Con la sua teoria Bernstein metteva in discussione i cardini del marxismo e affermava che il compito finale della socialdemocrazia era solo quello di ottenere dei miglioramenti attraverso le riforme sociali mentre era venuta meno la necessità della rivoluzione. Rosa, invece, con il suo scritto, scardinò pezzo per pezzo la teoria bernsteiniana sostenendo la necessità della via rivoluzionaria come l’unica possibile per la realizzazione del socialismo, mentre l’attività parlamentare era e doveva rimanere solo un strumento per arrivare allo scopo finale.

In sintesi,mentre da un lato Bernstein affermava che “il movimento è tutto, lo scopo finale è nulla”, dall’altro Rosa argomentava che “la lotta per le riforme è il mezzo e la rivoluzione sociale lo scopo”. Ma Rosa entrò in rottura tanto con Bernstein quanto con un altro leader della socialdemocrazia di allora, Kautsky, la cui teoria risultava incrostata su posizioni di fatto positiviste e deterministe nel quale il socialismo era considerato quasi come un “destino” inevitabile, cosa che però portava alla stessa conclusione della teoria di Bernstein, ovvero all’allontanamento della rivoluzione che veniva proiettata in un futuro troppo lontano, con la conseguenza che la meta finale del socialismo rimaneva slegata dall’azione quotidiana della classe operaia al di fuori delle semplici logiche del riformismo.

La rottura completa con tutta la dirigenza socialdemocratica, da lei ribattezzati i “Giuda del movimento socialista”,  avvenne però solo quando la SPD nell’agosto del 1914, abbandonandosi al più totale opportunismo e sciovinismo, votò i crediti di guerra ed entrò in un governo di “unità nazionale”, tradendo così la causa del socialismo e dell’internazionalismo proletario in nome della tanto sbandierata e fantomatica “difesa della patria”,  sottomettendo gli interessi e la vita del proletariato alle esigenze belliche della borghesia monopolistica. Insieme a Karl Liebknecht fu tra i pochi membri della SPD a opporsi allo scoppio della guerra mondiale, denunciata come guerra di rapina e imperialistica. A causa dei suoi discorsi antimilitaristi venne costretta a scontare una dura condanna in carcere durante tutto il periodo della guerra e alla fine del 1918 fu tra i fondatori del Partito Comunista di Germania (KPD), insieme naturalmente a Liebknecht e ad altre personalità del calibro di Wilhelm Pieck, Franz Mehring, Clara Zetkin e Leo Jogiches.

Gli eventi successivi e il suo assassinio costituiscono sicuramente una delle lezioni più amare ma allo stesso tempo più rilevanti che la storia ci ha lasciato circa il carattere opportunista che, con l’abbandono della prospettiva della presa del potere rivoluzionario e l’assunzione di una prospettiva meramente parlamentarista e riformista, assunse la socialdemocrazia e come di fatto essa divenne così solo l’ennesimo strumento in mano alla borghesia. La socialdemocrazia tedesca non esitò un attimo a reprimere con brutalità ed estrema tempestività il tentativo rivoluzionario di Rosa e Liebknecht, loro vecchi compagni di partito nella SPD. Da non scordare è inoltre la continua repressione a cui i comunisti vennero sottoposti ad opera della stessa socialdemocrazia negli anni a venire: fatto che sarebbe diventato una costante (per esempio si può ricordare il tristemente noto “maggio di sangue”, la repressione del primo maggio 1929, ordinata dal socialdemocratico Zörgiebel contro le manifestazioni del KPD), elemento troppo spesso trascurato nelle narrazioni storiche che hanno voluto liquidare come semplice follia “settaria” o “estremista” la linea cosiddetta del “socialfascismo” dopo il VI congresso della III Internazionale, in particolare per la situazione tedesca e per le responsabilità dell’ascesa di Hitler al potere.

Una realtà che dovrebbe oggi far riflettere su chi effettivamente si presenta ai lavoratori sotto finti manti di “sinistra”, come “socialisti” e quant’altro, non rappresentando però di fatto altro che un’altra stampella del sistema che il più delle volte ha spianato la strada ad avventure reazionarie e ad un peggioramento delle condizioni dei lavoratori e della gioventù.

È questa una parte della eredità che Rosa ci ha lasciato e di cui noi dobbiamo far tesoro, soprattutto è da rigettare l’immagine che vuole darne qualche area della sinistra radicale che la porta come esempio di “comunista antibolscevica” e che peggio ancora ignora il suo insegnamento rivoluzionario, perché è vero, come Lenin stesso aveva riconosciuto in un suo scritto del 1922 [3], su molte questioni i due si erano trovati in disaccordo (e in quei casi fu Lenin ad avere ragione), ma questo non toglie nulla alla sua figura di rivoluzionaria. Pur mantenendo incrostazioni derivanti dalla propria esperienza personale, in parte aveva corretto i suoi errori, come durante le sue ultime settimane, affermando ad esempio durante il congresso di fondazione del KPD il 31 dicembre 1918 che “è stata la rivoluzione russa ad offrire le prime parole d’ordine per la rivoluzione mondiale”[4] delineando come obiettivo principale del partito quello di dare tutto il potere ai consigli degli operai e dei soldati che si erano formati proprio sul modello dei soviet russi.

Il suo sacrificio non è stato vano, sta a noi ora raccogliere il suo testimone e in un epoca buia come la nostra il pensiero e l’azione di questa grande donna costituiscono una luce che deve guidarci nella vita quotidiana ma soprattutto nella nostra attività di militanti comunisti, ribadendo la necessità di essere rivoluzionari oggi ancor più di allora e ricordando l’importanza del nostro compito storico, lo stesso compito per cui tanti come Rosa hanno sacrificato la vita: la costruzione della società socialista e la fine dell’oppressione dell’uomo sull’uomo.

 [1] Lenin | Pravda n.14, 21/01/1919 in V.I. Lenin, “Opere compete”, vol.28, pag 417, Editori riuniti, Roma, 1967.

“La prima notizia dell’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, commesso il 15 gennaio 1919, giunse a Mosca il 17 gennaio. Il 19 gennaio si tenne una grande manifestazione, nel corso della quale presero la parola Lenin, Sverdlov, Lunaciarski e altri” nota.153 in V.I. Lenin, “Opere compete”, vol.28, pag 503, Editori riuniti, Roma, 1967.

[2] La teoria di Bernstein fu esposta sull’organo teorico della SPD la “Neue Zeit” in numerosi articoli sotto il titolo “Problemi del socialismo” nel 1897-98 e nella sua opera del 1899 “I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia

[3] “Paul Levi desidera adesso particolarmente guadagnare i favori della borghesia […] ripubblicando proprio le opere di Rosa Luxemburg in cui essa ha avuto torto. Noi rispondiamo a ciò con le parole di una buona fiaba russa: accade a volte alle aquile di scendere persino più in basso delle galline, ma mai alle galline di salire al livello delle aquile. Rosa Luxemburg si è sbagliata sulla questione dell’indipendenza della Polonia; si è sbagliata nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; si è sbagliata nella sua teoria dell’accumulazione del capitale; si è sbagliata quando, nel luglio 1914 […] ha difeso l’unificazione dei bolscevichi e dei menscevichi; si è sbagliata nei suoi scritti dalla prigione nel 1918 (per altro, essa stessa, dopo essere uscita di prigione, alla fine del 1918 e all’inizio del 1919 ha corretto una gran parte dei suoi errori). Ma malgrado i suoi errori essa è stata e rimane un’aquila; e non soltanto il suo ricordo sarà sempre prezioso per i comunisti del mondo intero, ma anche la sua biografia e le sue opere complete […] costituiranno una lezione utilissima per l’educazione di numerose generazioni di comunisti del mondo intero. <<La socialdemocrazia tedesca dopo il 4 agosto del 1914 è un fetido cadavere>>: è con questa sentenza che il nome di Rosa Luxemburg entrerà nella storia del movimento operaio mondiale. Mentre invece nel cortile posteriore del movimento operaio, tra i mucchi di letame, le galline come Paul Levi, Scheidemann, Kautsky e tutta questa confraternita ammireranno soprattutto, ovviamente, gli errori della grande comunista. A ciascuno il suo.”

Lenin, “Note di un pubblicista” in V.I. Lenin, “Opere compete”, vol.33, pag 189, Editori riuniti, Roma, 1967.

[4] Rosa Luxemburg, “Il programma di Spartaco”, pag.42, Manifestolibri srl, Roma, 1995

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