di Flavia Lepizzera
Con la legge di Bilancio di dicembre, il Governo giallo-verde ha cambiato nome all’alternanza scuola-lavoro che viene ribattezzata in PCTO (Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento) e sulla carta viene ridotto il monte ore obbligatorio che gli studenti devono svolgere nel triennio. Da 400 a 210 ore negli istituti professionali, da 400 a 190 ore nei tecnici e da 200 a 90 ore nei licei. Un provvedimento che, in un primo momento, sembrerebbe venire incontro ai bisogni degli studenti, ma che ad uno sguardo più attento si rivela per quello che è realmente.
Infatti l’ex-ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, ha proposto nell’estate delle nuove linee guida sulla scuola-lavoro che, se approvate, andranno a incidere pesantemente sull’esperienza degli studenti. Questo testo è stato sottoposto ai sindacati confederali (CGIL, CISL e UIL) e al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), ma è ancora in stato di approvazione da parte del nuovo Governo. Il primo elemento che salta all’occhio, e che svela la falsità della diminuzione delle ore, è che i nuovi monte ore saranno solo minimi obbligatori, e che tutte le scuole, a propria discrezione, potranno aumentarli per ogni studente.
Questo provvedimento è in linea con le richieste dei maggiore settori industriali italiani, come Federmeccanica che a fine dell’anno scorso ha lanciato una petizione chiedendo di non diminuire il monte ore, sostenendo come l’alternanza non dovesse essere un mezzo della formazione, ma il modo di fare istruzione.
Come anticipato, le linee guida ministeriali spiegano, nero su bianco, come la riduzione delle ore obbligatorie non sia in alcun modo vincolante ed ammetta, invece, che “la scuola nella sua autonomia possa realizzare percorsi di durata maggiore”. Se prima non era stabilito un tetto massimo di ore di lavoro, questa proposta di riforma apre le porte ad una completa deregolamentazione della scuola-lavoro, costringendo potenzialmente a svolgere degli stage sempre più lunghi, senza diritti né retribuzione.
Questa proposta sarebbe l’ennesimo provvedimento che, sbandierando l’autonomia scolastica, lascia nelle mani dei presidi-manager e dei privati, che spesso compartecipano al finanziamento degli istituti, un qualche cosa che dovrebbe essere sotto il diretto controllo dei docenti e degli studenti stessi. Se ogni scuola può scegliere arbitrariamente la lunghezza dei percorsi, scenari simili al sistema d’istruzione tedesco non si prospettano poi come molto distanti: lì gli studenti dei professionali devono prima avere un contratto in azienda e poi iscriversi a scuola, passando metà anno a lavoro e metà a scuola.
Contestualmente il governo Lega-M5S ha confermato sgravi fiscali fino al 50% per le aziende che assumono gli studenti che hanno effettuato percorsi di alternanza in struttura, sulla base del merito (valutazione che spetta all’azienda fare). Ciò vincola ulteriormente lo studente al giudizio e alle esigenze delle imprese ed apre concretamente la possibilità che egli, sotto pressione da parte dell’azienda che potrebbe assumerlo una volta uscito dalla scuola, effettui un numero di ore maggiore rispetto a quello obbligatorio.
Di fatto, diversi presidi di tecnici e professionali italiani hanno già dichiarato la loro intenzione di mantenere invariato il monte ore di alternanza. Ne è un esempio l’istituto Belluzzi Fioravanti di Bologna, la cui dirigente dichiara: “Al professionale siamo convinti dell’importanza di svolgere un monte ore importante di alternanza, pensavamo a 400 ore (…) andremo avanti perché rappresenta un’eccellenza della nostra offerta formativa”.
Un po’ ovunque i “consigli d’amministrazione” delle nostre scuole, nei quali siedono spesso anche privati, pur di non perdere collaborazioni con le aziende e i vari enti che forniscono alternanza (collaborazioni che allungano il POF e che in qualche caso valgono succulente donazioni) diminuiscono le ore riconosciute per progetti che però rimangono invariati rispetto agli anni precedenti, perché magari sono state escluse dal conteggio ore quelle impiegate per gli spostamenti o per il lavoro svolto a casa.
Le linee guida invitano inoltre ad inserire i percorsi di alternanza nel PTOF (Piano Triennale di Offerta Formativa) di ciascun istituto, incentivando in questo modo a lunghe e stabili collaborazioni, per garantire quella che viene definita la “co-progettazione” dei percorsi didattici e di apprendimento e la “valorizzazione dei soggetti non-scolastici”. In pratica, si raccomanda di fare in modo che le aziende possano ficcare il naso nei programmi. Riconfermandosi nel solco delle politiche sulla scuola effettuate dalla riforma Berlinguer degli anni ’90 ad oggi, il ministero raccomanda di insegnare ciò che le aziende chiedono per formare al meglio lavoratori precari e licenziabili. Si dà il caso, inoltre, che il PTOF costituisca la carta di identità di un istituto: inserirvi i percorsi di alternanza vuol dire riconoscere loro un ruolo di assoluta importanza nella formazione e presentarli come referenze dell’istituto stesso. Si permette, in questo modo, un’ingerenza dei privati nelle scuole ancora superiore, arrivando a legare indissolubilmente la scuola, e dunque anche la scelta della stessa, con il marchio delle aziende con cui collabora.
In merito ai tempi di realizzazione di questi percorsi le linee guida indicano come preferibili le ore curricolari, con buona pace della didattica a cui viene tolto tempo e spazio e a tutto vantaggio delle imprese che dispongono degli studenti-lavoratori fin dalla mattina, per un massimo di otto ore al giorno (lo stesso di un lavoratore normalmente stipendiato). Tuttavia nel documento viene sottolineato come rimanga aperta la possibilità di fare alternanza anche in altri momenti. In particolare dal Ministero ci tengono a precisare che per le imprese caratterizzate “da attività stagionali” sarà possibile servirsi della manodopera gratuita degli studenti anche nei periodi di sospensione scolastica (Natale, Pasqua ed estate). Una precisazione che conferma come l’attività degli studenti produca a tutti gli effetti valore e ricchezza e sia utilizzata massicciamente in quei settori, come il lavoro stagionale che si sono sentiti in dovere menzionare, da sempre caratterizzati dallo sfruttamento selvaggio dei giovani.
Veniamo ora ad una questione fondamentale. Nella scorsa finanziaria oltre al dimezzamento delle ore, in proporzione furono ridotti i fondi destinati all’alternanza. Forse che non sia semplicemente stato un provvedimento spot? Come sarà possibile allora realizzare percorsi di durata superiore a quella minima prevista, come espresso nelle linee guida? I fondi per l’alternanza si sono davvero ridotti? No. Difatti seppure i fondi statali siano scesi da 100 milioni annui a 42.5 milioni, a questi vanno aggiunti i 100 milioni stanziati dal Pon nazionale, ma soprattutto i fondi che le regioni in tutta Italia stanno stanziando proprio per mantenere l’alternanza a pieno regime. È il caso della Toscana che ha realizzato uno stanziamento iniziale di 630 mila euro a cui se ne aggiungeranno a breve 2 milioni, destinati ai tecnici e professionali per “riportare a 400 le ore di alternanza” per ogni alunno. Lo stesso ha fatto il Veneto, stabilendo un finanziamento di 2 milioni per “move in alternanza” un progetto di alternanza all’estero, che impiega più di 900 studenti dei professionali in settori economici importanti come quello agroalimentare. La Lombardia prevede, per quest’anno, fondi per circa 7 milioni. Questi sono solo alcuni esempi di regioni che hanno incrementato i finanziamenti tramite graduatoria ad aziende e istituti scolastici. Vale poi la pena ricordare che i fondi per l’alternanza sono destinati in larga parte alle aziende e non alle scuole.
Abbiamo, dunque, semplicemente assistito ad una riorganizzazione dell’alternanza, resasi ancora più efficiente per le imprese.
Queste linee guida hanno chiaramente il proposito e l’intento di preservare gli interessi dei privati, che nella scuola hanno trovato nuove possibilità di fare profitto. Questo documento ci presenta problemi vecchi con abiti nuovi, ma non per questo noi studenti ci stancheranno di denunciare la minaccia che essi rappresentano per il diritto ad un’istruzione di qualità.
Questo governo si trova, oggi, di fronte ad un bivio: le scuole hanno bisogno di chiarezza in merito a cosa debbano fare, delle linee guida devono essere al più presto pubblicate, si dovrà presto scegliere se approvare o meno queste. In questo frangente diventa indispensabile per gli studenti alzare la voce, sollevarsi uniti contro l’ennesimo provvedimento dal carattere classista che va a scapito del diritto allo studio e in favore dei privati! L’11 ottobre ogni banco vuoto, ogni persona conquistata alla piazza avrà un peso determinante nel braccio di ferro per costringere il governo ad abrogare questo documento e con esso a lanciare un messaggio chiaro: gli studenti non stanno a guardare, ma esercitano un controllo costante e sono pronti a lottare oggi e sempre in difesa dei propri diritti.
Non ci lasciamo disorientare da provvedimenti spot e chiediamo a questo governo risoluzioni immediate rispetto a queste linee guida: chiediamo che vengano immediatamente respinte. Chiediamo un tetto massimo alle ore da effettuarsi in alternanza. Chiediamo un salario minimo per gli studenti in alternanza, per porre un argine allo sfruttamento e alla competizione con i lavoratori. Diciamo di no ad un meccanismo pensato per fare profitto sulle nostre spalle, per educarci ad un futuro senza certezze né stabilità.
Non saranno i proclami delle forze di governo e dei giornali che parlano di un governo di rottura ad ingannarci: gli studenti non hanno nulla a che spartire con queste forze di governo che ben conoscono! Non abbiamo dimenticato le responsabilità di chi ha ideato e promosso la Buona Scuola, dequalificando l’istruzione pubblica e riorganizzandola in funzione di un mondo del lavoro fatto di precariato e sfruttamento. Non abbiamo dimenticato chi fino a ieri governava con la Lega, tagliando ulteriormente all’istruzione pubblica e stringendo le scuole nella morsa della repressione.
È per questo che non ci facciamo illusioni e continueremo la nostra lotta dentro le scuole e nelle piazze, contro ogni attacco all’istruzione: gli studenti non hanno governi amici! Abbiamo imparato che non basta cambiare i governi per cambiare le cose, ed è per questo che ricominciamo da subito ad organizzarci e a scendere in piazza per far sentire la nostra voce. La voce di chi è pronto a conquistare il proprio futuro e non è disposto ad elemosinarlo.
L’undici ottobre gli studenti scendono in piazza: non ci rassegneremo ad essere gli schiavi del futuro!