*di Paolo Spena
Sono passati 30 anni dagli eventi del 1989 passati alla storia come il crollo del Muro di Berlino e della “cortina di ferro”. Due anni dopo la bandiera rossa della rivoluzione veniva tirata giù dal Cremlino, e l’Unione Sovietica si dissolveva. I padroni gioivano, i miliardari festeggiavano, da Wall Street a Montecarlo si brindava all’idea di tramutare in terra di conquista per le multinazionali una superficie enorme del pianeta, fino ad allora vissuta al di fuori del capitalismo, che in quei giorni proclamava al mondo di aver vinto.
La nostra generazione è nata dopo quegli eventi, che invece hanno segnato la memoria e l’immaginario delle generazioni precedenti. Per noi il capitalismo è semplicemente la normalità quotidiana. Siamo nati nel migliore dei mondi possibili, in cui trionfano libertà e democrazia, o almeno questo ci è stato ripetuto sin dai primi anni di scuola. E anche se non dovesse piacerci, l’alternativa non esiste ed è stata sconfitta.
Per questa ricorrenza tutto l’apparato culturale, mediatico e giornalistico è mobilitato in una enorme operazione di propaganda, in cui la verità storica viene modificata e distorta ad uso e consumo dei padroni. L’anniversario della sconfitta di quella parte del mondo che per anni ha cercato di costruire una società diversa e più giusta, una terra senza padroni, deve essere tramutato nell’occasione per proclamare che quell’esperienza storica non fu altro che un crimine, una tragedia paragonabile al nazifascismo. E infatti poco tempo fa il Parlamento Europeo votava una risoluzione che proclamava l’equiparazione fra il comunismo e il nazismo, che ha visto il PD votare a favore assieme a Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Nessuna trasmissione televisiva, nessun editoriale sui grandi giornali ci racconterà una storia diversa. Il pensiero legittimo è uno solo. Ma perché avviene questo?
La criminalizzazione del socialismo e dei paesi socialisti è da sempre un’arma con cui le classi dominanti cercano di negare agli oppressi anche solo la possibilità di pensare che sia possibile un cambiamento reale dalla miseria e dalle ingiustizie che vivono ogni giorno. Per fare questo c’è bisogno di distorcere la verità, di cambiare la storia passata affinché il presente sembri diverso da ciò che è.
La verità scomoda è che il capitalismo che proclama di aver vinto viene sconfitto ogni giorno dalla realtà della disoccupazione, della precarietà, della guerra, della miseria in cui milioni di persone sono costrette a vivere affinché pochissimi possano accumulare enormi ricchezze appropriandosi del lavoro degli altri. E proprio questi ultimi, ancora oggi, sono terrorizzati all’idea che la grande massa di lavoratori che produce questa ricchezza possa rendersi conto che è possibile produrla anche senza che loro se ne approprino. Il socialismo, affermava giustamente Erich Honecker (ultimo presidente della Repubblica Democratica Tedesca), “ha impaurito il capitalismo più di ogni critica”. Ed è proprio per questo che oggi la storia dei paesi che per decenni hanno vissuto lasciandosi il capitalismo alle spalle deve essere demolita e trasformata in una storia di “errori ed orrori”, anche al costo di distorcere la verità.
Tutte le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre, lo straordinario contributo che l’Unione Sovietica e i paesi socialisti diedero al progresso dell’umanità, vengono oggi cancellati dalla memoria collettiva. L’esistenza di un sistema sociale più avanzato di quello attuale viene semplicemente estirpata dai libri di storia. Perché a un giovane di oggi, che ha davanti la prospettiva di un futuro precario, non si può raccontare che nel socialismo i suoi coetanei avevano la certezza che avrebbero avuto un lavoro, una casa, l’accesso totalmente gratuito agli studi, alla sanità, alla previdenza sociale. Figurarsi se si può raccontare che i paesi socialisti hanno lottato per costruire una vera democrazia, che non finiva all’entrata del luogo di lavoro e non si limitava all’espressione di un voto per decidere chi avrebbe governato nell’interesse di banche e multinazionali. Un sistema in cui le aziende erano gestite dai lavoratori, che partecipavano alla gestione collettiva della società e della produzione.
Oggi si cancella una verità: non furono pochi i campi in cui le conquiste del socialismo anticiparono quelle del capitalismo. La Russia sovietica sancì la giornata lavorativa di 8 ore nel 1917; nel 1936 fu addirittura la nuova Costituzione a sancire la giornata di 7 ore. Per intenderci, oggi in Italia il limite alla giornata lavorativa è di 13 ore e viene individuato “in negativo” rispetto alle ore minime di riposo. L’ultimo disoccupato nell’Unione Sovietica fu registrato nel 1930; nello stesso periodo la disoccupazione arrivava al 20% in Inghilterra, al 25% negli USA; nell’Italia fascista c’era 1 milione di disoccupati, 3 milioni in Germania, a testimonianza dell’incapacità strutturale del capitalismo di eliminare la disoccupazione (che anzi è una preziosa “risorsa” per i padroni dal punto di vista economico). Nel 1959 l’Unione Sovietica eliminò l’analfabetismo, in Italia c’era il 12% di analfabeti (25% nel Sud); nel 1986 gli USA avevano ancora il 13% di analfabeti. Le donne sovietiche conquistarono il diritto di voto nel 1917 (in Italia votarono per la prima volta nel 1946), il divorzio nello stesso anno (in Italia arrivò nel 1970), l’aborto nel 1920 (in Italia si dovette attendere il 1978 e ancora oggi è un diritto minacciato). Persino la storia del primo uomo nello spazio, il sovietico Jurij Gagarin nel 1961, che fu uno shock per il mondo intero, oggi viene ampiamente rimossa dall’immaginario collettivo. Tutte le conquiste del socialismo vengono scientificamente rimosse dalla memoria, con un’operazione di propaganda senza precedenti, e sostituite con la narrazione del “totalitarismo”.
La stessa storia del secondo dopoguerra oggi viene distorta e dipinta con una retorica che riesce a essere peggiore della stessa propaganda anticomunista di quel tempo, che cercava di raccontare una presunta divisione tra il “mondo libero” (quello capitalista sotto l’egemonia degli USA) e “l’impero del male” comunista, come lo definì Ronald Reagan. Ma se negli anni ’50-’60 si fosse domandato a un africano, un asiatico, a un arabo, a un sudamericano cosa ne pensasse, la risposta sarebbe stata molto chiara. C’era un mondo libero che marciava verso il progresso e la pace, e questo mondo era rappresentato dal campo socialista. I popoli oppressi di tutto il mondo lottavano per liberarsi dal dominio coloniale, anno dopo anno nascevano nuove nazioni che vedevano nell’Urss e nei paesi socialisti il più grande alleato della loro lotta per l’indipendenza e la libertà. Dall’altra parte non c’era il “mondo libero” che la propaganda raccontava: c’erano le più feroci potenze coloniali (Inghilterra, Francia, Belgio) i cui eserciti si macchiavano in tutto il globo dei crimini peggiori, c’erano gli USA che mostravano il loro vero volto in Vietnam, e decenni dopo l’avrebbero mostrato in Afghanistan sostenendo i mujaheddin di Osama bin Laden pur di schiacciare la Repubblica Democratica dell’Afghanistan e il processo di emancipazione delle masse (e delle donne) avviato dai comunisti in quel paese.
E ancora, se nel dopoguerra si fosse domandato a un europeo di chi era il merito della sconfitta del nazifascismo e delle armate di Hitler, la stragrande maggioranza non avrebbe avuto dubbi nel rispondere che i nazisti erano stati sconfitti dall’Armata Rossa, quella che aveva aperto i cancelli di Auschwitz ed era arrivata fino a Berlino, innalzando sul Reichstag, simbolo del potere nazista, la bandiera rossa della rivoluzione e dei lavoratori. Oggi invece si arriva a sostenere che i paesi socialisti erano uguali se non peggiori del nazismo, con una falsificazione storica che non conosce vergogna. Che la caduta del Muro sarebbe la vittoria della “democrazia” contro i “totalitarismi”.
Il 9 novembre, in cui ricorre appunto la caduta del Muro di Berlino, è l’anniversario della sconfitta e della restaurazione del vecchio ordine. Sulle ragioni di quella sconfitta, o meglio della temporanea vittoria dei padroni di cui ancora oggi i lavoratori di tutta Europa pagano le conseguenze, è necessario interrogarsi con la massima serietà. È necessario studiare gli errori, le insufficienze, le mancanze di ciò che si era costruito nei paesi dell’Europa dell’Est e in Urss. Ma il più grande regalo che potremmo fare ai padroni sarebbe quello di analizzare la nostra storia delle rivoluzioni proletarie e dei grandi processi di emancipazione e protagonismo delle masse, con le loro categorie di analisi, con la loro visione del mondo. Perché, ricordiamocelo, quando i media, i giornali, le tv ci dicono che nel socialismo non c’era libertà, a dirci questo sono quelli che pensano che la “libertà” sia quella di sfruttare altre persone per il proprio profitto.
Nessuna lezione sulla libertà può venire da loro. Conoscere e analizzare le ragioni di quella sconfitta è e resta necessario per tornare a vincere di nuovo. Perché il socialismo è ancora il futuro dell’umanità, e oggi più che mai, dinanzi alla barbarie di questo sistema, sono attualissime le ragioni di chi ha lottato per rovesciarlo e costruire un mondo più giusto.