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Comunisti e movimenti di massa. Spunti per una riflessione.

Mentre il sistema capitalistico si dimostra incapace di dare risposte ai problemi fondamentali del nostro tempo, mai come in questo momento l’egemonia capitalistica appare salda. È naturale che in questo contesto si sviluppino movimenti di opinione e di lotta di carattere parziale, animati dall’individuazione di singoli aspetti contro cui combattere, ma incapaci di sviluppare una critica complessiva sul piano dei rapporti sociali e dunque delle cause ultime dei fenomeni che si intendono combattere. Così ad esempio accade per movimenti di lotta su specifiche questioni, ad esempio crisi aziendali, riforme di settore ecc.. oppure su temi più generali e politici, ad esempio difesa dell’ambiente, antirazzismo, questione femminile ecc..

Queste forme di movimento possono prodursi più o meno spontaneamente ed hanno come carattere comune quello di intercettare una parte di settori popolari sulla base di una protesta/indignazione che riguarda un tema specifico, e spesso si incanala in una direzione arretrata finendo per porsi alla coda di parole d’ordine insufficienti, spesso strumentalizzate dai partiti politici, o da settori stessi del capitale.

Ciò avviene in tutto il mondo con i movimenti di protesta sull’ambiente come “Fridays for Future” e oggi accade in Italia sul versante politico con il movimento delle “Sardine”. Questi fenomeni trovano così larga adesione da parte di ampi settori delle classi popolari anche a causa dell’assenza di un movimento operaio  – e specularmente di un quasi del tutto assente movimento studentesco  – attraverso cui poter indirizzare le lotte, incanalare il dissenso, e organizzarlo dandogli una visione d’insieme. In poche parole l’arretratezza delle posizioni politiche espresse da molti movimenti oggi è anche il frutto dell’arretratezza dei rapporti di classe e della debolezza del conflitto di classe e delle strutture che dovrebbero incanalarlo, nel nostro Paese e non solo.

Si pone allora il problema di capire se e come i comunisti possano e debbano intervenire in questi contesti e quale possa essere un’adeguata strategia, esigenza tanto più forte nei settori della gioventù più esposti sotto ogni punto di vista a questi fenomeni.

Proviamo allora a riflettere, attingendo anche a qualche fondamento di teoria marxista-leninista.

Se un movimento non è su posizioni anticapitaliste i comunisti non devono avere alcun contatto, perché contaminerebbero la loro linea politica?

Questa tesi è sostenuta da alcuni ed è però errata e ha come unico effetto spingere definitivamente verso i partiti borghesi anche quei settori più avanzati che al contrario dovremmo contendere loro e tentare di portare sulle nostre posizioni. Si finisce così per confondere la critica alle posizioni arretrate professate nelle piazze, con l’odio nei confronti dei partecipanti, che in larga parte sono quegli stessi lavoratori, in tutte le loro forme e articolazioni, ai quali ci rivolgiamo. È possibile che centinaia di migliaia di persone finiscano a pensarla in modo utile agli interessi dei banchieri, ma è difficile pensare che piazze di migliaia di persone siano composte da banchieri! Si pone allora il problema di come svelare loro l’inganno e provare a conquistarne almeno una parte più attiva, compatibilmente con i rapporti di forza attuali. Ma non si può pretendere che i lavoratori, gli studenti, i pensionati che sono in quelle piazze, giungano spontaneamente ad acquisire una coscienza anticapitalista, perché ciò è semplicemente la negazione di ogni principio del materialismo storico. La conquista della coscienza di classe è compito dei comunisti, non un requisito da richiedere alle masse come precondizione per un nostro intervento.

È un principio basilare del marxismo che le idee dominanti sono in ogni epoca storica quelle della classe dominante[1]. La subalternità ideologica delle classi dominate è un fatto, un punto di partenza ineludibile, prodotto delle leggi di sviluppo della storia. Sarebbe quindi possibile un movimento che spontaneamente si emancipi dal senso comune e riesca a liberarsi dalle diverse forme dell’ideologia borghese? La risposta per un comunista è no.

Come spezzare quindi l’egemonia borghese? «Nostro assoluto dovere – scriveva Lenin – è di intervenire in ogni problema liberale, di chiarire il nostro atteggiamento di comunisti in proposito, di fare il necessario perché il proletariato partecipi attivamente alla soluzione del problema e lo faccia risolvere a modo suo. Chi evita di intervenire – quali che siano le sue intenzioni – si arrende in pratica al liberalismo, cedendogli l’opera di educazione politica dei lavoratori e lasciando l’egemonia della lotta politica a elementi che sono in fin dei conti i capi della democrazia borghese»[2]. L’intervento è dunque necessario sia nei contesti di movimenti «spontanei» sia in quelli in qualche forma indirizzati o addirittura eterodiretti da forze borghesi che però ottengono un seguito tra settori delle masse popolari. Sulla base delle rivendicazioni di questi movimenti, e dei rapporti di forza, spetta ai comunisti comprendere se la propria tattica può orientarsi nella ricerca di assumerne la direzione oppure limitarsi ad intercettarne settori, smascherando posizioni arretrate e contraddizioni, puntando a acquisire consensi tra gli elementi più attivi e coscienti.

Prendendo il caso delle “Sardine” non stupisce affatto che alcuni dei “capi” del movimento professino la loro vicinanza al PD. Questo fatto non solo non esclude, ma anzi conferma la necessità di condurre un lavoro per far avanzare la coscienza in quei settori che oggi finiscono – per assenza di altro – alla coda del PD. Il movimento delle Sardine nasce a tavolino per volere del PD? Anche se così fosse il PD non è in grado da solo di mobilitare decine e decine di migliaia di persone.

Molte di queste sono scese in piazza pensando che l’avanzata della destra sia un problema, ma non per questo automaticamente sono iscritti del PD. Siamo sicuri che non ci siano giovani, precari, pensionati che si sono mobilitati vedendo in questo movimento l’unica possibilità di far sentire la propria voce in assenza di soggetti in grado di incanalarne nella giusta direzione la protesta? Non stupisce nemmeno che nel contesto di egemonia capitalistica in cui lo scontro politico viene presentato tra sovranisti e europeisti, chi scende in piazza veda nell’Unione Europea la soluzione all’avanzata della destra. D’altronde secondo quale logica dovremmo conquistare l’operaio che vota Lega e non anche il precario che vota PD o Sinistra Italiana? Per quale ragione dovremmo rinunciare a spiegare le nostre ragioni contro l’Unione Europea in contesti che nutrono ancora illusioni sulla natura e la funzione della UE?

Discorso simile può farsi per Fridays for Future. Affermare una verità intangibile, ossia che settori del capitale intendono utilizzare strumentalmente quelle proteste per i propri interessi, significa automaticamente decidere di lasciare alla loro influenza migliaia e migliaia di giovani, oppure richiede un intervento forte e organizzato dei comunisti che sappia incanalare le energie migliori e più genuine presenti, rivendicando come necessaria per la salvaguardia ambientale la lotta contro il sistema capitalistico?

Essere coerenti con la propria linea e portarla a chi ha altre convinzioni, non è una contraddizione, ma l’unico modo con il quale si può far avanzare quella linea. Peccando di meccanicismo, e non comprendendo il ragionamento dialettico quei compagni che finiscono per confondere con “andare con il PD” e “fare il gioco di settori capitalisti” il lavoro di chi invece vuole operare attivamente proprio per strappare giovani e lavoratori dalle braccia del PD e di quei settori!

Altra domanda che si sente spesso dire è perché dovremmo intervenire se il movimento non è composto da operai, ma ha anche al suo interno studenti, pensionati, negozianti, professionisti?

«Noi – sosteneva Lenin –  dobbiamo assumerci il compito di organizzare una lotta politica che tocchi tutti i lati della società e sia diretta dal nostro partito, affinché tutti gli strati dell’opposizione possano dare e diano a tale lotta, e in pari tempo al nostro partito, tutto l’aiuto che possono» E ancora «Per portare agli operai coscienza politica, i comunisti devono andare tra tutte le classi della popolazione, devono inviare in tutte le direzioni i drappelli del loro esercito».

A differenza di alcune schematizzazioni scolastiche che si leggono sui social, Lenin non ha mai ritenuto che qualsiasi questione esulasse dal conflitto capitale-lavoro fosse automaticamente estranea agli interessi della classe operaia. Anzi, correttamente i bolscevichi seppero concepire una lotta politica in tutti i settori della società parlando a larghissimi strati delle classi popolari legando ogni questione alla necessità della presa politica del potere da parte del proletariato. In questo senso la lotta contro lo zarismo, l’opposizione alla guerra e la denuncia del suo carattere imperialista, l’appoggio delle rivendicazioni contadine, il sostegno alla questione nazionale dei popoli oppressi dall’impero divennero tutti elementi della strategia multiforme dei comunisti da convogliare nell’incendio generale della rivoluzione.

Per Lenin non è neppure concepibile alcuna contraddizione tra il lavoro tra gli operai e il lavoro nei movimenti di lotta politica, questione che tutt’al più interroga la capacità dei comunisti di organizzare nel modo giusto i propri iscritti «Abbiamo noi forze sufficienti per svolgere la nostra propaganda e la nostra agitazione fra tutte le classi della popolazione? Certamente. […] Uno dei nostri difetti politici e organizzativi fondamentali è che non sappiamo utilizzare tutte queste forze, non sappiamo assegnare a ciascuno il lavoro che gli è adatto. La stragrande maggioranza di queste forze non ha alcuna possibilità di “andare tra gli operai”, e non vi è dunque neppure da temere che vengano sottratte al nostro compito essenziale. Ma per poter dare agli operai cognizioni politiche vere, complete, vive, è necessario avere dappertutto i “nostri uomini”» Quando si afferma dunque che ci sarebbe contraddizione tra il compito principale dei comunisti – portare coscienza e organizzazione nella classe operaia – e portare le nostre posizioni in ogni contesto di mobilitazione, agitazione e lotta, si compie un grave errore strategico, rischiando di ricadere in una visione economicistica e non politica della lotta rivoluzionaria.

Passando all’Italia, nei Quaderni dal Carcere Gramsci analizza la questione del rapporto tra spontaneità e direzione giungendo alla conclusione che «trascurare e peggio disprezzare i movimenti così detti «spontanei», cioè rinunziare a dar loro una direzione consapevole ed elevarli ad un piano superiore inserendoli nella politica può avere spesso conseguenze molto serie e gravi» ritenendo che la rinuncia a dare una direzione politica di questi movimenti potesse lasciarli nelle mani dei settori reazionari. Gramsci infine condannava «la concezione storico-politica scolastica e accademica per cui è reale e degno solo quel moto che è consapevole al cento per cento e che anzi è determinato da un piano minutamente tracciato in antecedenza o che corrisponde (ciò che è lo stesso) alla teoria astratta […] Questo non avverrà mai e quindi questa concezione non è che una espressione di passività»[3]

D’altronde la politica rifugge il vuoto come la natura. Lo sviluppo di movimenti che coinvolgono settori di massa non è altro che il modo in cui più o meno spontaneamente – anche attraverso la parziale etero-direzione ed egemonia di settori politici borghesi – le masse popolari trovano uno sfogo immediato per mobilitarsi su questioni contingenti, rispondendo a un’esigenza presente in strati della società. Un elemento inevitabile in un contesto di saldezza dell’egemonia capitalistica, in cui la funzione dei comunisti non può che essere una paziente opera di disvelamento, puntando a convincere i settori più avanzati, portandoli sulle nostre posizioni parole d’ordine e non certo schernendoli, finendo per gettarli tutti nelle braccia delle forze borghesi.

Un lavoro che la gioventù comunista ha sempre fatto, in ogni settore: dai movimenti studenteschi a quelli politici (Onda, Popolo Viola, No Tav…) intercettando quella parte della gioventù che spontaneamente si era attivata in quei contesti, e portandola su posizioni marxiste-leniniste. Conquistare una posizione di «avanguardia» significa rafforzare il lavoro quotidiano, attraverso la presenza nelle scuole, nei posti di lavoro, un avanzamento di coscienza di classe presupposto imprescindibile per poter pensare di non lasciare l’egemonia della lotta politica ai settori della democrazia borghese. Ma significa anche non ignorare quelle forze genuine e attive della gioventù che in assenza di altro oggi finiscono per essere lasciate sole alla narrazione delle forze borghesi, alla coda degli interessi più o meno nascosti delle forze politiche borghesi e di settori del capitale. Non esiste contraddizione tra questi due fronti di lotta.

Per essere realmente un’avanguardia non bastano autodichiarazioni autoincensanti, ma serve conquistare sul campo quel ruolo che compete ai comunisti. Ammoniva Lenin «Non basta dirsi «avanguardia», drappello avanzato: bisogna anche agire in modo che tutti gli altri drappelli vedano e siano costretti a riconoscere che noi siamo alla testa. E noi domandiamo al lettore: i rappresentanti degli altri «drappelli» sono così stupidi da crederci sulla parola quando ci definiamo «avanguardia»? […] Un drappello «d’avanguardia» che ha paura che la coscienza sorpassi la spontaneità, che ha paura di presentare un «piano» audace che strappi il riconoscimento generale anche a coloro che la pensano diversamente! Non confondiamo per caso la parola avanguardia con la parola retroguardia?»[4]

La risposta può essere data solo con il nostro lavoro.

[1] K. Marx (L’Ideologia Tedesca)

[2] V. Lenin (L’agitazione politica e il punto di vista di classe)

[3] A. Gramsci (Quaderni dal carcere)

[4] V. Lenin (Che Fare?)

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