di Alessandro Mustillo
Poche ore fa la ministra dell’Interno Lamorgese, ha presentato in Consiglio dei Ministri le linee guida della modifica dei decreti sicurezza varati dal precedente Governo su proposta dell’allora ministro Salvini. Una semplice modifica dunque e non l’abrogazione, con un impianto generale che mira a attenuare le sanzioni previste dal decreto e non a cancellarle, con una trattativa in corso tra le forze di maggioranza sulla portata effettiva delle correzioni da apportare. Una partita politica quindi, nel contesto di un esecutivo traballante impegnato a trovare una sintesi tra le posizioni delle forze più a sinistra che vorrebbero la cancellazione, il Movimento Cinque Stelle che difende l’operato del governo con la Lega, la volontà di non fornire a Salvini un argomento di propaganda sul tema immigrazione, e la posizione del PD intenta a salvare il governo a tutti i costi.
Anche il movimento delle Sardine si è spaccato sul tema: i decreti sicurezza rappresentano l’essenza stessa delle contestazioni mosse a Salvini e la base giustamente preme per l’abrogazione. I vertici, telecomandati dal PD, invece sono cauti e cercano di evitare qualsiasi sgambetto o pressione sull’esecutivo. Dietro queste contraddizioni e i giochi politici c’è una partita reale che si gioca sulla sopravvivenza o meno nell’ordinamento italiano dei decreti sicurezza. Ma soprattutto c’è l’ipocrisia di un Governo che va a braccetto con la Confindustria e con i grandi poteri capitalistici che il decreto sicurezza lo vogliono eccome. Una questione che non riguarda solo i salvataggi in mare e la gestione dell’immigrazione e dei porti, ma che tocca anche e soprattutto le lotte dei lavoratori e in generale le lotte sociali, fortemente criminalizzate dai decreti di Salvini.
Fin da subito noi comunisti denunciammo il carattere classista e antipopolare dei decreti sicurezza, mentre in troppi si limitavano a formulare – pur giuste – denunce sulle norme relative ai salvataggi in mare. L’intera informazione focalizzò l’attenzione solo ed esclusivamente sulla parte dei decreti sicurezza relativi alle Ong, dimenticando le norme che riguardano il trattamento successivo degli immigrati, e quelle di aperto contrasto alle lotte operaie e popolari. L’impianto repressivo dei decreti sicurezza infatti non sta solo nelle multe alle Ong, ma anche nel durissimo colpo al diritto di sciopero e di manifestazione, con aumenti delle pene per i blocchi stradali, i picchetti, resistenza a pubblico ufficiale, occupazioni abitative, travisamento e uso dei caschi, utilizzo di fumogeni nelle manifestazioni. D’altronde l’impianto dei decreti sicurezza era già stato tracciato proprio dal precedente governo di centrosinistra con le misure volute dall’allora Ministro Minniti.
Sempre allora, avevamo messo in evidenza come, alla prova dei fatti nei Tribunali, le questioni relative all’immigrazione avrebbero potuto essere temperate da altri principi giuridici prevalenti nei casi concreti, mentre la parte di repressione delle lotte non avrebbe trovato argomenti altrettanto facili da poter utilizzare in favore degli imputati per i reati previsti dai decreti.
Sanzioni alle Ong, il punto alla luce della sentenza della Cassazione
Recentemente la Corte di Cassazione ha chiuso la vicenda Rackete con un’assoluzione, dimostrando la correttezza di questa nostra previsione, che peraltro era già stata messa in evidenza dai primi provvedimenti del Gip di Agrigento. Nell’ordinamento penale esistono norme cosiddette “scriminanti”. Nel linguaggio giuridico si dice che le scriminanti escludono l’antigiuridicità del fatto: in poche parole escludono che un fatto astrattamente previsto come reato sia da considerarsi tale nel caso concreto, trasformando una condotta normalmente antigiuridica e quindi punibile in una condotta ammessa e quindi non punibile. La più nota e conosciuta da tutti è la legittima difesa, ma ne esistono anche altre che si adattano perfettamente al caso dei salvataggi in mare. L’art. 54 del Codice Penale prevede che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona…». L’art. 51 invece afferma che «l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica […] esclude la punibilità». Nel caso in specie l’obbligo di salvataggio delle persone in mare discende da una serie di norme nazionali previste dal Codice della Navigazione e internazionali, tra cui diverse convenzioni firmate dal nostro Paese. Quindi la previsione dei decreti sicurezza entra in contraddizione con questi principi divenendo nella maggioranza dei casi inapplicabile nel caso concreto. Lo stesso vale anche per le sanzioni amministrative, dal momento che la legge di depenalizzazione, la 689/81 all’art. 4 prevede le stesse scriminanti. Di conseguenza anche le “multe” previste, e spesso irrogate – solo pochi giorni fa una nave ha subito 300mila euro di multa – possono in molti casi essere revocate per le stesse ragioni previste dalle norme penali.
La Cassazione nelle motivazioni della sentenza Rackete ha affermato l’esistenza delle scriminanti indicate, assolvendo la giovane tedesca per aver operato in adempimento di un dovere, sancito dal diritto internazionale e quindi protetto costituzionalmente dall’art. 10 della Costituzione. Ha affermato inoltre che il dovere di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà in mare non si esaurisce nell’atto del soccorso, ma solo quando le persone sono state trasferite in un luogo sicuro, dove possano esercitare i propri diritti fondamentali. La sentenza è una vera e propria pietra tombale sulle norme che riguardano la criminalizzazione dei salvataggi in mare previste dai decreti sicurezza.
Il punto sui reati sociali
Nulla di simile è accaduto, o potrebbe accadere, per quanto riguarda i provvedimenti che reprimono le lotte dei lavoratori e le varie forme di conflittualità sociale. Da Prato a Tortona, passando per Roma sono già decine i casi di multe e rinvii a giudizio per applicazione delle norme dei decreti sicurezza in tema di blocco stradale. Hanno coinvolto operai e i settori più conflittuali del movimento sindacale, ma anche lotte di quartiere per servizi e diritti rivendicati attraverso manifestazioni in strada, come avvenuto recentemente a Casal Bruciato a Roma. Migliaia di euro di multe e pene spropositate richieste dalle Procure in applicazione dei decreti Salvini.
Per il blocco stradale oggi le pene vanno da uno a sei anni, da aumentare fino al doppio in caso di reato commesso da più persone. Per un blocco stradale si rischia quindi fino a 12 anni di carcere, se commesso – come non potrebbe accadere altrimenti – in concorso. Per avere un paragone il sequestro di persona prevede come pena massima 10 anni di reclusione, per truffa aggravata fino a 3 anni, violenza sessuale fino a 10 anni. Reati di allarme sociale ben più grave per la vita collettiva hanno pene edittali inferiori rispetto a quelle previste. Non sfugge poi che astrattamente ogni manifestazione non preavvisata, che crei inevitabilmente un qualche intralcio alla circolazione è astrattamente configurabile come blocco stradale, quindi con un margine di discrezionalità ad uso e consumo della repressione delle lotte. Il decreto sicurezza bis ha previsto anche che non sarà più possibile chiedere l’archiviazione per «lieve tenuità del fatto» per chi commette reati di violenza, oltraggio o resistenza a pubblico ufficiale. Insomma un impianto repressivo che supera addirittura il Codice fascista e le leggi speciali degli anni ’70-’80, in cui gli strumenti difensivi sono molto più spuntati e il rischio che le denunce si convertano in condanne molto più reale.
Quest’ultima parte dell’impianto salviniano è in realtà quello più condiviso dalle forze politiche di maggioranza e opposizione, e quello che si svolge in maggiore continuità. È anche quello che incontra il favore implicito dei capitalisti italiani, perché idoneo a prevenire sul nascere ogni forma di conflitto sociale e punire aspramente chi osa alzare la testa, come lotte nel settore della logistica, particolarmente problematiche per il capitale in un settore tanto determinante e centrale. Ecco spiegata l’ipocrisia di una maggioranza che fa riferimento agli interessi di quei settori, e il silenzio totale dei media sulla questione.
I decreti sicurezza vanno abrogati.
Qualche osservatore disattento, limitandosi a commentare la vulgata mediatica ha ritenuto erroneamente che la battaglia contro i decreti sicurezza fosse una questione perbenista da sinistra borghese e radical chic. Chiunque lo pensi non conosce la realtà del conflitto di classe in questo Paese, contribuisce a alimentare la narrazione della propaganda mediatica, non comprendendo in realtà che i provvedimenti contro l’immigrazione e contro le lotte sono strettamente connessi. L’impatto dei decreti di Salvini sulle lotte sociali deve richiedere un’azione risoluta senza cedere a tentennamenti o ipocrisie con la convinzione che “le classi popolari non capirebbero”.
Proprio un’azione risoluta può rovesciare la propaganda fatta da Salvini portando i lavoratori italiani a guardare ai decreti sicurezza non come provvedimenti contro l’immigrazione ma come provvedimenti contro i propri diritti sindacali e politici, minando almeno in alcuni settori, quelle forme di sostegno implicito popolare che la propaganda reazionaria ha artificiosamente costruito. Una battaglia per incalzare anche le contraddizioni di quella parte di forze di sinistra e la base delle forze sindacali confederali, scontente delle modifiche di facciata che promuoverà il governo, chiedendo scelte di campo nette. L’esito delle modifiche promesse dal Governo segnerà quindi solo il punto da cui partire per lanciare con forza iniziative politiche e ipotesi di lotta congiunta tra forze politiche e sindacali più avanzate, che si muovano sul terreno del conflitto di classe utilizzando ogni mezzo e spazio. Non c’è spazio per ambiguità o tentennamenti.