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«Voucher, precarietà e campagne social». Lo sfruttamento dei lavoratori agricoli durante l’emergenza

Nel raccontare le diverse dinamiche di sfruttamento a cui sono soggetti i lavoratori nel nostro paese nel periodo dell’emergenza sanitaria, affrontiamo oggi il settore agricolo ed agroalimentare. L’agricoltura è l’unico comparto produttivo che non ha subito limitazioni lavorative nei vari decreti che si sono susseguiti dall’inizio dell’emergenza, vista la sua ovvia essenzialità in questo momento. Questo settore già da prima stava vivendo una serie di problemi riguardanti le condizioni di lavoro.

Il settore primario insieme alla ristorazione – comparti tra loro direttamente correlati – come riportato dal Ministero dell’Economia nel documento di economia e finanza 2019, sono gli ambiti dove si è rilevata la maggior percentuale di manodopera in nero, circa il 50% dell’intero settore. La figura dell’operaio agricolo, tra l’altro, è da sempre una delle meno remunerate nel mondo del lavoro.

I contratti effettuati dalla Coldiretti partono da un livello base, a cui la maggior parte dei quasi 4 milioni di lavoratori agricoli fa riferimento, di circa 8,22 euro lordi/ora. Questa condizione salariale, già di per sé bassa, è comunque uno status eccezionale rispetto alla realtà economica dei lavoratori agricoli che vivono la condizione di lavoro in nero, dove si arriva fino a paghe di 3 euro all’ora indipendentemente che ci si trovi nel nord-est o al sud Italia. Come se non bastasse, anche chi possiede un regolare contratto vive una situazione di sfruttamento in merito al monte ore. Infatti, il contratto agricolo prevede una paga oraria con la registrazione dei giorni effettuati da comunicare alla fine del mese, il risultato è l’elevatissimo numero di giorni in meno riportato sulla busta paga dell’operaio agricolo.

Tutte queste dinamiche di sfruttamento si sono accentuate con l’emergenza dettata dal coronavirus, che ha spinto l’intero settore ad uno sforzo enorme, in termini produttivi, al fine di garantire l’approvvigionamento alimentare. Tra le varie voci abbiamo sentito quella di Federico, nome di fantasia, giovane bracciante agricolo italiano del Veneto, una delle regioni più colpite.

Qui sta per iniziare la stagione delle fragole e, inoltre abbiamo le lavorazioni da ultimare in vigna come stralciatura e legatura. È vero che nel nostro ambito si rispettano molto spesso misure come la distanza di sicurezza, però è altrettanto vero che non ci vengono dati gli altri strumenti protettivi, in virtù del fatto che lavoriamo all’aperto. Altro grande problema è il fatto che nei centri rurali come i nostri, dove l’agricoltura è la colonna portante delle attività produttive, non ci sono controlli adeguati vista anche la scarsissima presenza delle forze dell’ordine, che vengono impiegate nelle grandi città. Inoltre, il più grande problema che stiamo vivendo in questa emergenza è che quest’ultima ha portato ad un calo drastico della manodopera stagionale, soprattutto quella straniera che per lo più viveva in condizioni di lavoro non regolare e che rappresentava una grande percentuale dei lavoratori agricoli della zona. Questa situazione ha portato ad un abbassamento delle condizioni salariali ed un aumento del monte ore settimanale per chi di noi è rimasto”.

Questa denuncia ci viene confermata paradossalmente ed indirettamente anche dalle parole del presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, imprenditore bresciano che ha denunciato il rischio di collasso del settore agricolo vista la grande difficoltà “di reperire manodopera romena, polacca e bulgara che è fuggita dall’Italia in piena emergenza”.

Continua nella sua denuncia Federico: “alla richiesta di assumere manodopera adeguata vista la mole di lavoro in tutta Italia, il presidente della Coldiretti ha risposto che per assumere stabilmente lavoratori che non siano stranieri non vi sono oggi, per la maggior parte degli imprenditori agricoli italiani, le condizioni ideali. Questa dichiarazione evidenzia ancora di più il fatto che lo sfruttamento nelle nostre campagne di operai extracomunitari sottopagati è l’elemento base del profitto delle grosse aziende agroalimentari. Come risposta a questa crisi lavorativa la proposta è stata la reintroduzione dei voucher per l’agricoltura, emanati nel 2015 dal governo Renzi e poi eliminati, per assumere giornalmente studenti, pensionati ed altre categorie, mossa sposata e riproposta anche dalla regione Veneto”.

La reintroduzione dei voucher in agricoltura in un periodo difficile come questo, dove milioni di lavoratori agricoli stanno lavorando in maniera straordinaria per garantire la produzione alimentare continua, non solo è uno smacco per agli attuali operai agricoli, ma è un insulto a quelle categorie di persone, studenti, pensionati che per cercare di pagare le proprie spese saranno soggetti a paghe giornaliere instabili, basse e senza certezza di continuità. La grande mossa di Coldiretti, oltre alla proposta dei voucher è stata quella di lanciare una campagna dal titolo #mangiaitaliano, al fine di supportare il comparto alimentare. Questa campagna è stata realizzata in coabitazione con un’altra società, Filiera Italiana e con il sostegno di tutti i più grandi gruppi legati alla GDO (grande distribuzione organizzata), da Conad ad Esselunga, passando per Carrefour, Decò, Despar e molti altri. La stessa Coldiretti, dopo i primi giorni di campagna, si dichiara contenta in questo periodo difficile dell’aumento degli introiti da parte delle aziende italiane agricole, vista la grande quantità di prodotti che la gente sta acquistando con la convinzione di dover fare grossi rifornimenti per paura di un’eventuale penuria alimentare. Coldiretti dimentica che la grande distribuzione organizzata da sempre specula sul prezzo dei prodotti della filiera alimentare ed infatti già diverse realtà, forti delle condizioni contrattuali, stanno spingendo ad abbassare ulteriormente i prezzi d’acquisto dagli agricoltori al fine di aumentare i ricavi. Questo aumento si chiama profitto e lo si realizza sulle spalle di Federico e di altri milioni di lavoratori agricoli nel nostro paese quotidianamente. Proteggere le nostre eccellenze enogastronomiche è un dovere e un obbligo morale in un paese come il nostro, ma per valorizzare i nostri prodotti si deve tutelare chi li realizza, cioè chi lavora la terra: gli operai e le operaie agricole. Invece, la logica è quella di usare lo strumento del made in Italy, molto spesso una retorica stantia e non un vero credo, al fine di far aumentare i profitti dei padroni e delle loro aziende.

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