di Lorenzo De Caria e Raffaele Timperi
«Bisogna mobilitare l’intero sistema finanziario». Con queste parole Mario Draghi ha sostenuto la strategia condivisa da Confidustria, Governo e BCE nel quadro dell’attuale emergenza sanitaria e del parziale lockdown deciso per sopperire alla scarsa capacità strutturale del SSN, oggi al collasso in molte regioni.
Il paladino del grande capitale italiano ed europeo continua poi con il proprio manifesto programmatico: «La perdita di reddito del settore privato e ogni debito assunto per riempirla deve essere assorbita dai bilanci pubblici.» In maniera molto esplicita e chiara ha supportato la strategia che già da giorni prendeva corpo, quella cioè di far pagare questa crisi alla collettività. Ancora una volta.
Sempre Draghi traccia un parallelismo per certi versi corretto, quello con la guerra. Durante le guerre “i debiti salgono”; ecco forse questa è la guerra in cui speravano gli industriali italiani ed europei e non avevano potuto ottenere per potersi appropriare di una maggiore quota di ricchezza a discapito di quella già ridotta che finisce ai lavoratori attraverso i salari e la spesa sociale.
Da qualche giorno si è cominciato anche a discutere dei “coronabond” e a registrare le prime divergenze tra i governi europei sull’utilizzo di questo strumento. Prima di discutere la natura e la dinamica di queste divergenze dobbiamo registrare che la strategia è ormai segnata. Si discute di metodo, ma la sostanza è stabilita. La perdita di reddito del settore privato e ogni debito assunto per riempirla deve essere assorbita dai bilanci pubblici.
Chi verrà salvato? Chi pagherà il salvataggio?
Le domande fondamentali sono queste. La dichiarazione di Draghi è chiarificatrice, bisogna salvare «la perdita di reddito del settore privato» ricorrendo alla spesa pubblica. Le misure ipotizzate dalla BCE sarebbero volte a garantire che le aziende ricevano prestiti a tassi d’interesse prossimi allo zero. Il costo sociale della ripresa sarà quindi sostenuto dai lavoratori, dal loro lavoro e dai soldi delle loro tasse che verrano impiegati per pagare tassi d’interesse alti per ripagare il massiccio ricorso alla vendita di titoli di stato, per garantire agli industriali il ricorso a prestiti a tassi vicino allo zero.
Gli aiuti dello Stato alle imprese sarebbero quindi completamente sulle spalle dei lavoratori e della stragrande maggioranza della popolazione, senza che questo introduca minimamente in discussione attiva una partecipazione dei lavoratori alla gestione e alla proprietà di quelle stesse aziende a cui pagheranno il salvataggio e da cui continueranno a ricevere tagli salariali, licenziamenti e precarietà con la copertura legale delle leggi dello Stato.
La strategia per affrontare questa crisi è quindi accelerare con forza il processo di concentrazione del capitale. La ricchezza socialmente prodotta da tutti i lavoratori viene infatti suddivisa sostanzialmente in due parti: la remunerazione del lavoro (i salari dei lavoratori) e quella del capitale (i profitti dei capitalisti). Queste misure avranno l’effetto di trasferire un’altra grande fetta di ricchezza prodotta nella società nelle tasche di pochi, dalla parte del profitto dei capitalisti e non del salario dei lavoratori. Marx, esponendo i processi di concentrazione, osservò che Il capitale qui in una mano sola si gonfia da diventare una grande massa perché là in molte mani va perduto.
Che valore ha oggi l’appello all’unità nazionale?
Questa crisi è in buona parte dovuta all’ impreparazione delle strutture sanitarie pubbliche, dopo anni di tagli e di soldi pubblici dirottati su strutture private, che in questo mese hanno dimostrato di essere in buona parte inutili per la maggioranza delle persone che non possono accedervi e di rappresentare un peso per il bilancio della spesa medica pubblica.
In molti si sono arricchiti, con cifre a dieci zeri finite negli ultimi decenni ad ingrassare le aziende private del settore sanitario. Se oggi il principale centro di contagio è l’ospedale, dove interi reparti vengono infettati, non è certo un caso. Dal 2016 la sanità pubblica italiana è nella parte alta della classifica europea per pazienti ospedalizzati morti a causa di virus contratti nella struttura stessa, per via della cattiva disinfezione delle strutture dovuta alla carenza di fondi, personale e manutenzione. Mentre si inauguravano sontuosi ospedali privati, inutili alla prova dei fatti, la grande maggioranza della popolazione veniva privata di una considerevole porzione di risorse economiche destinate a garantire il proprio diritto alla salute, dirottate invece verso il profitto delle aziende private della sanità e di chi le possiede.
Il motore di questo processo è stata la necessità della borghesia italiana di riutilizzare i profitti, ottenuti anche grazie a delocalizzazioni, licenziamenti e abbassamento dei salari, in mercati incontaminati e quindi estremamente profittevoli. Si sono rivolti quindi a quei settori fino a quel momento pubblici perché ritenuti strategici per il mantenimento di un livello di vita accettabile per gran parte della popolazione. Energia, istruzione, gestione delle risorse idriche, gestione del ciclo dei rifiuti, trasporti e ovviamente la sanità. Questo ha voluto dire un enorme trasferimento di ricchezza dalle risorse collettive (imposte, tasse e similari) verso il profitto privato di quel gruppo sempre più ristretto, ma politicamente determinante, che è la borghesia italiana.
Sullo stesso solco sono state varate le diverse riforme anti-popolari degli ultimi anni votate dal parlamento italiano, basti pensare come esempi alla Buona Scuola, al Job Act e alla riforma Fornero per capire come la natura di queste riforme si sia impegnata per cambiare le condizioni materiali di ogni persona. Dalla scuola alla pensione.
Chi ancora oggi tenta di alimentare la retorica sciovinista per cui dovremmo, tutti insieme, padroni e lavoratori, guardare ad un nebuloso nemico esterno causa di tutti i mali, sta mentendo per spostare l’attenzione dalle responsabilità degli industriali e di tutti i capitalisti italiani che per anni hanno portato avanti attraverso le proprie istituzioni politiche un’appropriazione sempre crescente di quote di ricchezza prodotta ancora in mano ai lavoratori (conquistate con decenni di lotta), tagliando i salari, tagliando la spesa sociale e riducendo all’osso i diritti dei lavoratori. Come hanno già scelto da che parte stare tutti coloro che ancora si ostinano a voler rappresentare questo Paese come un elemento unico in cui siamo tutti sulla stessa barca, attraverso la caricatura di un piccolo e marginale Paese che subisce le imposizioni dall’esterno contro il proprio volere. Hanno scelto la parte degli industriali e dei capitalisti italiani, che tra l’altro in questi anni hanno pianificato e costruito una solidissima compenetrazione con quei monopoli europei, cioè sono parte integrante di quel nebuloso nemico esterno.
Le famiglie delle classi popolari d’altro canto difficilmente avranno la stessa possibilità di risollevarsi degli industriali, ai quali le misure del Governo vengono in aiuto.
Sappiamo bene che gli industriali licenzieranno non appena terminerà il periodo di due mesi previsto dal decreto del governo nel quale le aziende non potranno interrompere nessun contratto di lavoro a tempo indeterminato. Una misura, questa, implementata non per garantire i posti di lavoro come dichiarato, ma semplicemente per salvaguardare l’INPS da milioni di richieste di NASPI che sarebbero immediatamente arrivate. Tenendo anche in considerazione il fatto che l’INPS ha da poco dichiarato che «i soldi ci sono fino a maggio» per pagare le pensioni.
La propaganda di destra e le speculazioni sulla sovranità popolare
La propaganda di destra tenta senza sosta da anni di stabilire il concetto secondo cui la BCE stessa sarebbe a vantaggio esclusivo di “tecnocrati tedeschi”. La verità è che indubbiamente l’economia tedesca esercita un ruolo di primo piano nella definizione di obiettivi e strategie, ma gli industriali e le loro banche italiane di riferimento non sono certo da meno. Bankitalia è infatti la terza banca centrale per finanziamenti alla BCE e a loro volta le banche italiane che la finanziano hanno visto in questi hanno una sistematica difesa dei propri interessi da parte della BCE stessa. Dobbiamo quindi smarcarci dall’impostazione ideologica di una certa parte della borghesia italiana che tenta di impostare la propaganda in una irreale contrapposizione tra Mercato e Nazione, tanto cara al pensiero reazionario e molto comoda per concentrare il consenso popolare attorno a decisioni e azioni chiaramente anti-popolari in nome proprio di questa irreale linea di frattura. I fatti di questi giorni dimostrano invece, ancora una volta, che la linea di frattura fondamentale in questa società è quella tra capitale e lavoro, e proprio sulla centralità di questo conflitto si fonda ogni possibilità di lotta dei lavoratori per ottenere ciò che ogni giorno gli viene tolto. La dignità, un lavoro, un giusto salario e il diritto di vivere in pace nella tranquillità di una società giusta.
La sospensione del pareggio di bilancio
L’inizio dell’emergenza sanitaria in Europa e il conseguente crollo della borsa italiana ha portato all’inizio di un processo d’acquisto di Titoli di Stato italiani, dichiarando poi un piano di 120 miliardi e successivamente (19 marzo) annunciando il piano straordinario di Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), consistente in un quantitative easing di 750 miliardi che si aggiunge alle misure prese in precedenza.
Questo piano è nei fatti un politica di espansione monetaria, ovvero di iniezione di liquidità nel mercato monetario, tramite l’acquisto di titoli pubblici da parte della BCE: l’effetto desiderato è quello di ridurre gli effetti del Coronavirus sull’economia europea poiché rende più accessibili e vantaggiosi per le imprese i finanziamenti e prestiti dalle banche. Questa misura beneficia direttamente le sole imprese, con molti padroni che non vedranno diminuire i loro profitti a causa della crisi sanitaria riuscendo a prendere prestiti dalle banche a costi minimi. Liquidità finanziata, come già detto, dall’interesse pagato sui Titoli di Stato con le risorse della contribuzione ordinaria non a costi altrettanto minimi. Saranno i lavoratori a pagare il conto di questa espansione monetaria (con buona pace di tutti quelli che oggi si riscoprono keynesiani) lavorando di più e vedendo dirottati i soldi pubblici nelle tasche degli industriali e degli speculatori.
Ulteriore misura di questi giorni, impensabile solamente fino a poche settimane fa, è la decisione della Commissione Europea di sospendere il Patto di Stabilità, il famigerato dispositivo che prevede un limite al rapporto PIL-Deficit, rafforzato a seguito della crisi del decennio scorso e inserito nella costituzione italiana nel 2011, che nei fatti ha inasprito e dato legittimità costituzionale alle politiche di Austerity. La sospensione di questo vincolo dimostra definitivamente come non fosse né necessario né vitale per le economie dei paesi europei così come ce lo descrivevano i governi, gli industriali, i loro economisti e i loro giornali, ma che sia stato semplicemente uno strumento tra i tanti implementati dalle istituzioni europee per garantire da una parte il pagamento dei crediti concessi agli stati e dall’altra per fare pressioni per la diminuzione della spesa pubblica, portando così alla privatizzazione interi settori, al fine di aprire uno sbocco molto profittevole ai capitali in surplus accumulati dai capitalisti di tutta Europa a discapito – come stiamo drammaticamente vivendo in queste settimane – della capacità dello Stato di poter garantire l’effettività dei diritti più elementari. Come il diritto ad essere curati.
La questione dei coronabond e lo scontro interno alla ue
Tutte le misure straordinarie fino a qui citate sono state accolte positivamente sia dall’opposizione di destra sia dal governo M5S-PD.LEU; quest’ultimo è, insieme alla Francia, uno dei principali sostenitori dei “coronabond”, cioè titoli di eventuale debito emessi direttamente dall’UE per gestire l’attuale situazione di emergenza, che hanno trovato invece l’opposizione di Germania e Olanda.
Questa situazione mette bene in evidenza un aspetto ulteriore: e cioè come ogni provvedimento europeo faccia emergere un certo livello di scontro tra le borghesie dei paesi europei. Evidentemente la misura della BCE ha la funzione di calmierare sul mercato i rendimenti dei Titoli di Stato – cioè il loro prezzo, detto in termini più diretti – che al momento potrebbero, non solamente raggiungere tassi d’interesse altissimi, ma innescare una competizione sul mercato tra i vari stati membri per piazzare il maggior numero di titoli in una spirale di aumento di rendimento. È quindi materia di scontro in questi giorni la definizione dell’acquisto di Titoli di Stato da parte della BCE. A quale rendimento? A quale scarto di rendimento tra i differenti paesi europei?
La definizione della risposta a queste domande continuerà ad essere materia di scontro tra i Governi e tra le borghesie europee, perché chiaramente ogni euro in più nelle proprie casse sarà un euro sottratto ad altri. Su questo elemento non ci sarà propaganda europeista che potrà salvare l’immagine di una UE che ormai rivela apertamente la sua natura di strumento nelle mani dei monopoli europei, che nei fatti svela anche come tutte le contraddizioni e gli scontri interni tra i monopoli europei stessi abbiano determinato le politiche in questi decenni. Uno scontro che ci era stato presentato spesso “tra Stati” e che si rivela essere tra i differenti settori economici, ognuno dei quali ha i propri interessi, spesso in conflitto con quelli di altri settori europei e magari in armonia con quelli degli USA o della Cina a seconda dei casi. L’immagine satinata di una Europa giovane, nuova e dinamica ormai si è rivelata per quello che è sempre stata: menzogna, propaganda. Rimane un’enorme struttura sovranazionale che ha sempre avuto come direttrice di azione il tentativo di armonizzare i diversi interessi dei monopoli e di garantirne il profitto a svantaggio delle condizioni di vita dei lavoratori. Una grande unione padronale che di giovane, nuovo e dinamico non ha veramente nulla. È il vecchio mondo ed è nostro compito abbatterlo.