In questi giorni d’emergenza, dovuti alla diffusione del coronavirus, il ruolo fondamentale viene sicuramente svolto dal Sistema Sanitario Nazionale e dalle strutture ospedaliere pubbliche.
All’interno di quest’ultime migliaia di lavoratori in questi giorni stanno portando avanti uno sforzo titanico. Non solo medici, infermieri e operatori sanitari, ma anche tutti quei lavoratori impegnati a garantire l’agibilità, la tenuta e gli standard sanitari. In moltissimi casi, però, questi lavoratori, come accade per il personale ospedaliero, vengono abbandonati a loro stessi. Un abbandono che si ripercuote non solo sulla loro salute e su quelle delle loro famiglie, ma anche sulla sicurezza dei pazienti e di chi quotidianamente affolla le stanze e i corridoi degli ospedali.
Ne abbiamo parlato con Anna (nome di fantasia), lavoratrice di un’impresa che garantisce la pulizia all’ospedale Mazzini di Teramo, anche in reparti cruciali come quello di oncologia, che si è imbattuta in una situazione a dir poco spiacevole. In questo articolo riportiamo la sua testimonianza, che evidenzia la preoccupante realtà a cui sono sottoposti ogni giorno migliaia di lavoratori che svolgono una funzione cruciale per garantire il funzionamento e l’agibilità delle strutture ospedaliere.
“Mercoledì 18 marzo, dopo che un medico del reparto di oncologia è risultato positivo e si sospettava fortemente di un infermiere che presentava febbre alta e difficoltà respiratorie, io e tutto il personale sanitario siamo stati mandati a lavorare come se non fosse successo nulla, nonostante i due sopra citati fino a qualche ora prima visitassero pazienti a stretto contatto con il resto degli operatori. Solo dopo due giorni (20 marzo), a seguito di numerosi reclami da parte del personale infermieristico, che ha preteso l’effettuazione di test per tutto il reparto, questi sono stati eseguiti, escludendo però in maniera del tutto incomprensibile i MALATI oncologici (che sono tra i famosi immunodepressi a rischio) e i familiari/badanti che, vista la situazione erano solo uno per malato (parliamo di un reparto con circa 25 posti letto).
Le risposte a questi test sono arrivate dopo 5 giorni di attesa straziante durante i quali abbiamo continuato a lavorare. È però successo quello che più temevamo, circa 13 persone sono risultate positive, 3 dubbi, tra cui io e il resto negativi.
Solo dopo questa notizia il personale positivo è stato mandato a casa e si è deciso (dopo due ulteriori giorni di attesa) di effettuare i test anche ai pazienti. Nel frattempo che si attendevano le risposte alcuni pazienti sono stati dimessi e tornati a contatto con i loro cari, per poi scoprire di essere positivi (da malati, ora anche untori), come nel caso di un mio conoscente ricoverato in quel reparto.
Personalmente dopo qualche giorno, all’idea di poter infettare i pazienti e altri che lavorano come me in 4 reparti differenti, ho deciso di autodenunciarmi (23 marzo) e mettermi in quarantena forzata. Come sappiamo non tutti hanno la stessa sensibilità, empatia o fortuna di prevedere quello che sarebbe successo e non si può addossare anche questa responsabilità ai lavoratori della sanità, sottopagati e sotto numero anche in situazioni “normali”.
La cosa che mi fa più rabbia è pensare a chi invece viene remunerato profumatamente per assumersi certe responsabilità e prendere certe decisioni, che invece addossa le responsabilità a noi e alla nostra coscienza, con tutto il peso di una situazione come questa, dove gli unici a pagare sono i malati e chi come noi lavora in trincea. Per non parlare del fatto che oltretutto siamo stati lasciati senza controlli e tutele, completamente in balia degli eventi, liberi di interpretare le procedure e l’importanza del rispetto di quelli che erano i rischi legati alla non completa aderenza delle direttive da seguire. Il risultato di questa assenza è stata ovviamente una sottovalutazione del pericolo da parte di una gran fetta del personale. Credo sia quantomeno lecito domandarsi se la qualità dei direttori sanitari e di chi li nomina sia quella effettivamente decantata.
Termino dicendo che il 25 marzo sono stata costretta ad interrompere la quarantena forzata, per recarmi in ospedale al fine di effettuare nuovamente il tampone.
Dopo giorni ancora non so nulla.
Anzi una cosa la so, mi hanno chiamato dalla asl per avvisarmi che dovrei utilizzare un bagno, un letto e spazi differenti rispetto ai miei due familiari in quarantena con me… peccato che viviamo in un appartamento di 80mq.”