di Francesco Spedicato
Solitamente durante i periodi di emergenza esplodono le contraddizioni tenute sopite nel tempo. La pandemia di COVID-19 è un validissimo esempio: un virus che a causa della sua capacità di diffusione sta rivelando la natura dei modelli di sanità presenti nei paesi colpiti, portando allo scoperto le contraddizioni del sistema capitalistico. Quanto sta avvenendo negli Stati Uniti è emblematico perchè rappresenta l’esempio lampante di come la sanità privata è incapace di far fronte a un’emergenza che potenzialmente potrebbe coinvolgere l’intera popolazione statunitense, negando la possibilità di accesso alle cure a milioni di cittadini a causa degli alti costi.
L’approccio all’emergenza del governo USA
Nonostante i ripetuti appelli della comunità scientifica sull’inadeguatezza del sistema sanitario americano ad affrontare l’epidemia, la politica statunitense, in preda ad una costosissima campagna elettorale, ha sottovalutato per settimane il rischio derivante dalla diffusione del virus “cinese” come se fosse una questione che non riguardasse loro. Un problema che stentava ad essere riconosciuto nonostante il proliferare dei contagi e l’aumento dei morti nel territorio, erano continui i richiami a far finta di nulla, fino all’allarme lanciato dagli esperti circa il potenziale rischio epidemiologico per milioni di persone e centinaia di migliaia di morti, quando con una comune influenza stagionale ne muoiono mediamente tra i 27 e 70 mila ogni anno.
Dichiarazioni con numeri impressionanti, a seguito delle quali il governo Trump stanzia 2200 miliardi di dollari, di cui solo una misera quota (130 mld) destinata agli ospedali, al reperimento di attrezzature e materiali medici, 290 miliardi per sostenere i consumi e il resto ad ingrossare le tasche del privato. Il punto è sempre il medesimo: utilizzare denaro pubblico per sostenere i profitti di industriali e oligopolisti, facendo pagare ancora una volta ai lavoratori il costo sociale della crisi. L’imponente iniezione di risorse pubbliche si inserisce in un contesto pesantemente minato per le classi popolari.
Le caratteristiche della sanità in USA
Il sistema sanitario americano “non è adeguato a ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento”. A dirlo è Anthony Fauci, il maggiore esperto di malattie infettive negli USA, a capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (ministero della Sanità). Parole che svelano carenze strutturali della sanità statunitense che sono da rintracciare proprio nella sua gestione privata e profondamente classista.
Una situazione fotografata dalle indagini OCSE. Nonostante gli stati uniti sono i primi per livello di spesa pubblica pro-capite nel settore sanitario, a poter fruire dei benefici è solamente una parte della popolazione perchè la maggioranza è impossibilitata a goderne pienamente a causa dei costi elevati. Le ripercussioni per la salute della popolazione sono talmente rilevanti tant’è che la qualità della salute risulta ben al di sotto di altri paesi industrializzati. Se dalla seconda metà del 900, per i paesi OCSE la speranza di vita è progressivamente aumentata, ciò è avvenuto per gli USA in proporzioni più contenute. Ancora più preoccupante se consideriamo la composizione di classe all’interno della società americana dove si accentuano le sperequazioni considerando indicatori come durata della speranza di vita e mortalità infantile.
La gestione della spesa pubblica nel settore – per gli USA: 16,6% rispetto al PIL quando la media Ocse è 8,8% -, l’elevato costo per i servizi sanitari, lo scarso numero di medici (2,5×1000 abitanti), l‘elevato costo dei medicinali a causa del regime di monopolio vigente nel settore in cui l’intervento regolatore delle autorità pubbliche si limita a favorire le esigenze di profitto dei colossi del settore farmaceutico.
Nonostante gli USA continuino a porsi in vetta alle classifiche OCSE per spesa sanitaria si assiste alla progressiva dismissione di strutture ospedaliere soprattutto nelle province. Dal 2010 ad oggi sono stati chusi oltre 120 ospedali in aree rurali lasciando scoperti da presidi medici milioni di lavoratori, compromettendo ulteriomente la vulnerabilità della sanità americana.
Tutti elementi che delineano il carattere classista di un sistema sanitario che esclude milioni di proletari dalla garanzia di assistenza sanitaria dignitosa, un diritto di fatto negato a coloro che sono privi di un’assicurazione. In tal proposito, l’istituto americano Census Bureau in un recente report attesta che sono oltre 27 milioni le persone che non hanno assicurazione sanitaria, un trend in crescita che coivolge bambini e adulti. Una tendenza aggravata dalla politica delle imprese, sempre meno disposte a coprire le spese sanitarie dei lavoratori attraverso il welfare aziendale. Vale la pena ricordare quanto accaduto in California ad un ragazzo di 17 anni contagiato da coronavirus, lasciato morire dopo essersi visto rifiutare le cure necessarie non essendo titolare di assicurazione sanitaria.
Non è finita. Come ogni azienda, anche per un sistema sanitario privato come quello americano, l’imperativo è stare sul mercato adottando il semplice calcolo costi-benefici, una formula che in periodo emergenziale sfocia in scelte di puro cinismo su chi vale la pena salvare e chi no, in base al principio di utilità. Infatti, diversi stati federali hanno deciso di escludere dai ricoveri per coronavirus fino a negare la possibilità di fruire dell’attezzatura atta alla ventilazione artificiale a pazienti affetti da malattie cardiovascolari o polmonari, a chi necessita di dialisi o agli anziani non autosufficienti, ai disabili psichici e ai malati di patologogie neurologiche. Quindi, ad essere considerato business è l’intera gestione dell’emergenza sanitaria. Tutto è utile per gonfiare i profitti dei padroni del settore, basti pensare al costo medio pari a 20mila dollari (stima di Peterson-KFF) che bisognerà sborsare per il trattamento durante il ricovero ospedaliero ovvero: l’impossibilità per le classi popolari di accedere financo a un semplice ricovero a causa dei costi ingenti. Infatti, l’istituto di assistenza sanitaria Donovan rileva che nell’ultimo decennio il costo medio per ricovero in pronto soccorso è cresciuto del 176%, attestandosi mediamente a 1389 dollari a prescindere dalla natura del ricovero.
Emergenza Coronavirus e contraddizioni sociali.
L’emergenza Coronavirus ha messo a nudo il sistema capitalistico per quello che è, ovvero un regime economico-sociale che mira all’accumulazione e concentrazione della ricchezza alla ricerca di sempre maggiori margini di profittabilità, e che nulla ha a che fare con l’emancipazione delle classi popolari. Anzi.
Sono milioni i lavoratori che non godono di tutele, che convivono con l’incubo di contrarre il virus e non potersi permettere di curarlo, in ogni settore ancora operativo nonostante l’emergenza sanitaria: dal comparto agricolo a quello intustriale, dalla logistica alla sanità, fino alla così detta gig economy. In quest’ultimo settore gli addetti non percepiscono neppure un salario fisso in quanto formalmente “imprenditori” anche se fattualmente è presente un rapporto di subordinazione, esempio tra tutti i tassisti di Uber ai quali non viene riconosciuta alcuna tutela sanitaria in caso di contagio ma solo un indennizzo pecuniario. Sempre più spesso le grosse imprese speculano sui lavoratori “invitandoli” a donare i propri giorni liberi di malattia ai colleghi costretti ad assistere un parente malato, oppure minacciando la non retribuzione dei giorni di malattia.
Proprio in questo periodo si sta approfondendo lo sfruttamento verso le classi popolari costrette a subire i contraccolpi più duri di una crisi che ha sempre meno i contorni definiti solamente nell’ambito sanitario, sempre più economica e sociale.
La chiusura delle scuole, se da una parte rappresenta una misura di contenimento del virus, dall’altro costituisce un problema per tutti quei ragazzi per i quali rappresentava la garanzia di almeno un pasto al giorno pittosto che l’unico deterrente alla delinquenza. Per non parlare del aumento del rischio di essere ammazzati anche in ambito domestico con armi da fuoco che, proprio in coincidenza della crisi sanitaria, hanno registrato un’impennata delle vendite. Un boom di vendite registrato particolarmente negli stati più colpiti dal coronavirus, gonfiando ulteriormente le tasche dei colossi delle armi, aumentando il clima da far west e il panico collettivo, un settore ritenuto “servizio essenziale” nel contrasto al coronavirus.
Ad essere potenzialmente esplosiva è la situazione nelle grandi città statunitensi dove i tassi di povertà sono maggiori. La condizione di povertà dilagante e la conseguente impossibilità di accedere alle cure, rappresentano il detonatore per un ulteriore approfondimento della crisi sanitaria che avvilupperà le masse popolari ben oltre il termine della mera emergenza sanitaria. Basti pensare alle immagini provenienti da Las Vegas, dove al posto di fronteggiare la crisi sanitaria e risolvere l’emergenza abitativa espropriando i grandi gruppi, dipingendo un reticolato sull’asfalto si adibiscono delle “zone parcheggio” per senzatetto col fine di indurli al rispetto delle pratiche di distanziamento sociale.
È in questa maniera che gli Stati Uniti d’America, si apprestano ad affrontare una crisi indotta da Coronavirus. È l’ennesima dimostrazione di quanto il sistema capitalista sia inadatto ad affrontare una crisi sanitaria, economica e sociale senza scaricare i costi dell’emergenza e della ripresa sulle spalle delle classi popolari.