Abbiamo intervistato Eva (nome di fantasia), 28 anni, che lavora con contratto part-time in uno dei principali cinema di Rimini. Una testimonianza che porta alla luce la natura estremamente instabile e precaria dell’impiego di tantissimi giovani anche in una regione come l’Emilia Romagna che, nei proclami ma non nella sostanza, rivendica un sano e robusto sistema di welfare. La sua testimonianza evidenzia le pesanti ripercussioni che l’emergenza sanitaria sta avendo sull’occupazione dei giovani precari.
Ciao Eva, puoi raccontarci quali sono le tue mansioni?
Lavoro presso un cinema di Rimini, essendo assunta con un contratto da addetto Multiplex, già di per sè demansionato, le mansioni che mi venivano assegnate erano varie e disparate: a volte si trattava di stare alla cassa, a volte di stare all’ingresso e controllare i biglietti, altre ancora di occuparmi del bar interno. Il contratto che ho firmato prevedeva 1 o 2 giorni di riposo, a scelta dell’azienda, e anche le ore non erano stabili, ma si passava da giornate di 4 ore a farne anche 8 o più, sempre a seconda dei bisogni dell’azienda.
Cos’è successo con l’arrivo dell’emergenza sanitaria?
Noi abbiamo lavorato fino alla penultima settimana di febbraio, finchè con il decreto che prevedeva la chiusura delle scuole veniva imposta anche la chiusura dei cinema. Per le prime settimane, data la poca chiarezza che c’era sul tema, il direttore parlava di riapertura settimanale, poi col DPCM dell’8 marzo abbiamo avuto conferma della chiusura fino ai primi di Aprile. Nelle prime settimane siamo stati costretti a scalarci le ferie, come deciso dal Governo, e poi fino al decreto “Cura Italia” non ci è stata nemmeno data conferma della possibilità di accedere alla cassa integrazione, posto che anche su questa non ci sono garanzie sul quando sarà erogata, visti gli evidenti disservizi dell’INPS di questi giorni.
Oltre a questo, io e altri due miei colleghi abbiamo il contratto in scadenza al 15/04 e con ottima probabilità non ce lo vedremo rinnovato. Io fortunatamente potrò accedere alla NASPI, anche se questo significherà una riduzione del mio salario e una mia penalizzazione per un’emergenza fuori dal mio controllo.
Come vi siete mossi per tutelarvi in questa situazione?
L’unica cosa che abbiamo fatto è stato cercare di chiedere chiarimenti all’azienda, dato che da noi non è presente neanche una qualsivoglia rappresentanza sindacale. Purtroppo non ci aiuta il fatto che diversi colleghi siano ormai rassegnati alla precarietà e ad una situazione lavorativa incerta e non sono disposti a rivendicare le poche briciole che ci spetterebbero, soprattutto a causa della normalizzazione del precariato e delle sfruttamento che subiamo che viene portata avanti da anni.
Questa testimonianza si unisce a quelle di tanti altri lavoratori che in questi giorni hanno voluto raccontare la loro situazione nel contesto dell’emergenza Coronavirus. Un contributo importante, che evidenzia l’ipocrisia delle narrazioni che sono state portate avanti in questi anni in Emilia Romagna sulla riduzione della disoccupazione in termini assoluti. Una riduzione salutata entusiasticamente dalle amministrazioni di centrosinistra, che nasconde però una realtà meno incoraggiante, fatta di flessibilizzazione e precarizzazione delle condizioni contrattuali. Così anche in una regione come l’Emilia-Romagna dove chi amministra la regione spesso rivendica ipocritamente l’efficenza del welfare e delle politiche a supporto del lavoro, favorisce processi di diffusione del lavoro povero specialmente tra i giovani. Una tendenza che non trova alcuna opposizione sostanziale tra i sindacati confederali, che da tempo hanno abbandonato prospettiva di supporto alle lotte dei lavoratori in favore della logica concertativa. Una condotta che lascia centinaia di migliaia di lavoratori sprovvisti di qualsiasi mezzo per far valere le proprie rivendicazioni. Lo scoppio della crisi legata all’emergenza sanitaria ha coinvolto pesantemente un quadro già instabile, amplificandone le contraddizioni e facendo ripiombare centinaia di migliaia di giovani lavoratori nella disoccupazione senza adeguate misure di sostegno.