Nei nostri articoli dall’inizio del lockdown abbiamo mostrato uno spaccato del paese reale, raccontando come questo effettivamente differisca dalla narrazione che ci vede “tutti sulla stessa barca”. I problemi che affrontano gli universitari sono concreti, sono figli di continui tagli ai finanziamenti e dell’introduzione dell’autonomia universitaria, che hanno portato a scaricare sulle famiglie i costi dell’istruzione. Il diritto allo studio oggi costa, per molti studenti, grandi sacrifici familiari. È tristemente noto che spesso si deve lavorare, anche a nero, per potersi permettere affitti e tasse carissimi. Il contesto attuale, di emergenza sanitaria, comporta per molti universitari e per le loro famiglie l’impossibilità di sostenere queste spese.
Non ci si può limitare a chiedere un pagamento differito delle rate, ignorando il contesto di crisi socio-economica che si manifesterà alla fine del periodo emergenziale. Un discorso analogo va fatto per gli affitti, che costituiscono forse la spesa più pesante per uno studente fuori sede, dal momento che il numero di posti letto negli studentati regionali è di molto inferiore a quello di coloro che ne avrebbero diritto: con poco più di 40.000 posti, solo un terzo dei richiedenti ne ottiene uno. Da queste ed altre considerazioni nasce la necessità di far sentire la nostra voce, di unire gli studenti nella lotta, a partire dalla sottoscrizione della petizione che rivendica queste istanze.
In questo articolo abbiamo intervistato tre studenti universitari che ci hanno raccontato la loro situazione, peggiorata con l’emergenza COVID-19, e di come il ritorno alla normalità vorrebbe dire tornare a ciò che rappresenta la nostra generazione: precarietà e nessuna garanzia per il nostro futuro da studenti di oggi e lavoratori del domani.
Il primo intervistato è V, studente della facoltà di lettere all’Università La Sapienza di Roma.
Ciao V., grazie per aver accettato di offrirci la tua testimonianza. Parlaci un po’ della situazione lavorativa ed economica in famiglia.
Mio padre è un meccanico, ha lavorato per molti anni in una concessionaria fin quando il lavoro non ha cominciato a diminuire e il padrone ha iniziato a mandare in cassa integrazione il personale, con successivo licenziamento. Per quattro anni mio padre ha oscillato tra disoccupazione e lavori occasionali a nero, fino a un mese fa, quando è riuscito a trovare un impiego e purtroppo non è ancora stato messo in regola. Il padrone sostiene che le cose cambieranno con la fine del periodo emergenziale, quindi per questo mese mio padre ha dovuto lavorare a nero, e lo sta continuando a fare nonostante la situazione.
Mia madre invece lavora come commessa in un negozio d’abbigliamento da più di 30 anni, purtroppo questo è gestito malissimo. Ci sono stati anche alcuni problemi legali. Il padrone ha due anni di stipendi arretrati, non versa nemmeno i contributi. Non sono mancati neanche i ricatti, che vedevano i dipendenti costretti a firmare dei documenti, sostenendo il falso, pena la perdita del posto di lavoro. I privati a quanto pare fanno quello che vogliono sia coi dipendenti che con lo Stato. Ad ogni modo mia madre non percepisce lo stipendio da tre mesi, si è già lamentata diverse volte al riguardo. La risposta è stata una richiesta di pazientare, attendere una cassa integrazione che, per ovvi motivi, non arriverà mai. È assurdo lavorare gratis, mentre facciamo fatica a fare la spesa, per far arricchire un parassita del genere.
Questa è la situazione della mia famiglia: mia madre non prende lo stipendio da tre mesi e mio padre continua ad andare a lavorare, aspettando di essere messo in regola.
Mi spiace, è una situazione difficile. Avete avuto modo di richiedere qualche sussidio o accedere a buoni spesa tramite il Comune?
Non al momento, da quel che so non rientriamo nei requisiti necessari. Per ora sto provvedendo ad aiutare i miei con quel che ho da parte, anche se non è molto. Spero la situazione economica possa migliorare verso fine mese.
Sei uno studente universitario, puoi dirci indicativamente in che fascia ti trovi? Pagare la terza rata mi sembra di capire possa essere un problema in questo momento, pensi che la situazione possa migliorare con la fine del periodo emergenziale?
Non ricordo in che fascia mi trovo, una non troppo alta, anche se il sistema di calcolo dell’ISEE risulta alquanto discutibile visto che basta poco per ritrovarsi improvvisamente più ricchi, solo virtualmente, si intende. Pago circa 700 euro l’anno di tasse, ovviamente in un momento simile avrò difficoltà con la terza rata. Non penso proprio che la situazione post emergenza possa migliorare purtroppo, sarebbe quantomeno irrealistico pensarlo. Nel mio caso specifico sarà dura, visto che non si sa se mio padre verrà messo in regola. Mia madre, invece, sarà probabilmente costretta a licenziarsi per le motivazioni precedentemente accennate.
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Livia è una studentessa fuori sede che studia a Milano, città nota anche per essere la più cara d’Italia sul fronte degli affitti.
Ciao Livia, innanzitutto grazie per averci dato l’opportunità di fare questa intervista. Potresti parlarci della situazione degli affitti a Milano?
A livello personale, ho cominciato a cercare una stanza un po’ tardi, a settembre. Ovviamente la richiesta in campo immobiliare era altissima e i prezzi delle case erano ai limiti dell’umano. Ero partita con un’idea, un budget, non troppo irrisorio. Le mie “pretese” erano relative ad una casa che rispettasse quantomeno le norme igieniche e che non si trovasse fuori dal mondo. Ho cominciato la ricerca tenendo ben presente queste linee guida, ma mi sono dovuta ricredere presto.
Oltre al problema dei prezzi e delle condizioni pietose, mi sono dovuta scontrare con una selezione degna degli Hunger Games, le persone erano disposte ad affittare qualunque buco. Per dirti, andavo a visitare una stanza, su appuntamento, e trovavo una fila di persone che occupava tutto il marciapiede antistante.
Alla fine ho avuto fortuna, dopo due mesi ho trovato una stanza abitabile in un buon punto della città. Purtroppo sul contratto si dichiara di riscuotere 400 euro di affitto per l’intera casa, quando in realtà io e il mio coinquilino versiamo 500 euro a testa, ognuno per la propria stanza.
Il punto è che se non ci si piega e non si accetta di pagare profumatamente stanze di merda, arriverà qualcun altro che lo farà senza batter ciglio e il proprietario avrà comunque ottenuto tutti i vantaggi facendo leva sulla vera disperazione degli studenti e dei giovani lavoratori. La coscienza sociale e di gruppo tra gli studenti è zero, questo permette ai proprietari di mangiare tranquillamente sulle spalle dei poveri affittuari.
In questo periodo di emergenza sanitaria com’è la situazione?
Quando ho parlato con la proprietaria di casa, si è offerta di dimezzare la quota che verso per l’affitto, in quanto, a detta sua, tiene al fatto che continui ad occupare io la stanza. Il mio coinquilino è rimasto a Milano e pagherà la sua parte per intero (lui è un lavoratore, messo in smart working fino a quando la sua azienda non deciderà di cominciare con la cassa integrazione). Io contribuisco alla mia sussistenza e al pagamento dell’affitto lavorando come baby-sitter e dando ripetizioni. Entrate che ovviamente in questo momento non ho più. Non lascio la mia stanza, per ora, perché sarebbe una lotta trovare un’altra sistemazione altrettanto vantaggiosa, ma di fatto devo pagare per una casa che non occupo, sottostando a una sorta di ricatto psicologico.
Ci tengo a precisare che molti studenti che non potevano continuare a pagare sono stati sbattuti fuori, mettendo le stanze in affitto con prezzi molto convenienti, che però si alzeranno a settembre, se non si imporrà direttamente di liberare le case. Sono degli sciacalli che vogliono trarre profitto dalla situazione di emergenza. Temo che ad ottobre a Milano si scatenerà il panico.
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All’intervista ha partecipato anche una studentessa meridionale fuori sede che studia a Bologna. Si chiama R. e ha accettato di raccontarci la sua esperienza.
Ciao R., grazie per aver accettato la nostra intervista. Questa emergenza ha creato problemi in famiglia per quanto riguarda le spese universitarie da sostenere?
I problemi che mi crea sono tanti perché mio padre lavorava in nero come elettricista e permetteva, con i suoi pochi guadagni, di pagare le bollette e fare la spesa a lui e a mia madre. Mia madre ha un contratto come badante da 450 euro al mese, che dà per metà a me per pagarmi la vita universitaria e l’affitto lo pago io essendo borsista fuorisede a Bologna. Di conseguenza adesso campiamo con un fondo di 1500 euro sul conto in banca di mio padre che qualche mese fa ha avuto un contratto a tempo determinato con una azienda di impianti elettrici e i miei mille euro residui sul mio conto in banca.
L’università sta adottando delle misure adeguate secondo te? Come studentessa ti senti tutelata?
L’università ha agito soltanto riguardo a coloro che usufruiscono dell’alloggio verso ErGo (l’ente che si occupa del diritto allo studio in Emilia-Romagna, nda) e prorogando la scadenza delle tasse al 31 maggio. Non c’è stato né un abbassamento né uno slittamento della soglia crediti formativi per raggiungere il saldo della borsa di studio (per la situazione è più difficile avere soldi e mezzi per comprare libri e dunque studiare) e nessun aiuto per l’affitto di chi alloggia da privati. Come studentessa non vedo le mie difficoltà riconosciute a pieno né sufficientemente risolte.
Il padrone di casa ti sta venendo incontro per quanto riguarda il pagamento dell’affitto?
Il padrone di casa pur sapendo di questa situazione sta esigendo l’affitto da tutte noi (siamo 4 in casa, due in doppia, 300 euro a testa, e due in singola, 380.) perché nonostante sia disponibile un modulo dell’agenzia delle entrate per ricalcolare le tasse annuali in base agli importi percepiti (quindi se ci abbassa di 100 euro l’affitto non gli cambia nulla) si lamenta della pressione fiscale al 21%. Lui e sua moglie hanno lo stipendio e in più solo a Bologna ha tre case affittate da cui riscuote più di 4000 euro al mese. L’ideale sarebbe che dal governo arrivasse almeno una legge che costringa questa gente che ingrassa sulla nostra pelle ad abbassare gli affitti, oppure un contributo di almeno il 50% dell’affitto per i fuorisede che lo pagano, se non proprio il blocco degli affitti.