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«A rischio la salute dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane». La denuncia in occasione della giornata internazionale

di Giacomo Venturato

Un virus, in circolazione ben prima del COVID, continua a colpire il popolo palestinese. Si tratta della repressione israeliana, che dall’occupazione del 1967 della Cisgiordania e di Gaza  provoca migliaia di prigionieri politici, persecuzioni e uccisione di manifestanti.

Proprio ieri ricorreva la giornata internazionale del prigioniero palestinese. Si stima che i palestinesi imprigionati dal 1967 siano stati più di 750.000. In questo momento, secondo l’associazione palestinese Addameer i prigionieri politici nelle carceri israeliane sono più di 5000. Questo è il principale strumento di repressione usato dalla Stato israeliano per colpire il movimento di liberazione palestinese.

Sempre secondo Addameer, si sostiene: “L’importanza dei prigionieri politici palestinesi non sarà mai sottolineata abbastanza poiché essi rappresentano un aspetto importante e influente della società palestinese. I prigionieri politici palestinesi sono al tempo stesso la Comunità, gli allievi e la leadership politica della società palestinese, e giocano un ruolo essenziale nella nostra vita politica. Senza di loro la capacità di determinare il nostro futuro è gravemente compromessa. Non potrà mai esserci giustizia e pace in Palestina senza la liberazione incondizionata di tutti i prigionieri politici palestinesi, ed il loro rilascio dovrebbe venire prima per ogni futuro negoziato e costituirne la precondizione”.

Nello specifico, ciò di cui si arma lo Stato israeliano per colpire gli oppositori sono gli ordini militari 101 e 938 secondo cui rispettivamente è vietato ogni assembramento di dieci o più persone e mostrare una bandiera palestinese. Sostanzialmente qualsiasi sorta di opposizione politica può essere pretesto di arresto. Tutto ciò che si muove contro il criminale governo israeliano viene tacciato come una “minaccia alla sicurezza”. Infatti, secondo la “legge sui combattimenti illegali” (UCL) emanata nel 2002, si considera “combattente illegale” come ” una persona che ha partecipato direttamente o indirettamente ad atti ostili contro lo Stato di Israele o è membro di una forza che commette atti ostili contro lo Stato di Israele.  

Oltre a negare ogni forma di opposizione organizzata e a rendere Gaza una galere a cielo aperto, ciò che avviene all’interno delle prigioni israeliane supera ogni livello di disumanità. Ai prigionieri vengono ammanettati i polsi e bendati gli occhi, si dovrà subire poi  l’abuso, l’intimidazione, ore interminabili di interrogatorio, la tortura, la negazione di poter vedere i propri familiari, l’isolamento e l’impossibilità di sapere cosa accade al di là delle sbarre.

In un momento di quarantena, questo ci dovrebbe far riflettere su chi la reclusione la vive ingiustamente per anni e in pessime condizioni. In una fase di emergenza sanitaria a livello internazionale, che colpisce in maniere particolare i lavoratori e le masse popolari come abbiamo cercato di raccontarvi nei nostri articoli e riportando diverse testimonianze, le carceri possono diventare dei pericolosissimi focolai. E’ recente infatti la notizia di un detenuto arrestato il 18 marzo e risultato positivo al test del COVID-19, verso cui non sono state prese misure.

Questo è quello che viene denunciato a gran voce dai prigionieri palestinesi. Lo stato israeliano si avvantaggia della crisi del virus per aumentare il proprio livello di repressione e liquidare al più presto la questione palestinese. Ai prigionieri viene impedito di vedere i propri avvocati, nonché di essere visitati da medici o ricevere dall’esterno medicinali adeguati. Ricordiamo poi che molti dei prigionieri politici sono bambini, in particolare si tratta di 183 detenuti con meno di 16 anni. Ogni anno infatti vengono arrestati e processati dalla Corte militare israeliana tra i 500 e 700 bambini.

Oltre a non essere attuata la minima misura di sicurezza per evitare che i detenuti vengano contagiati, a questi viene negata anche la possibilità di avere diritti alle proprie ore di ricreazione. Quindi, non solo viene tolta ingiustamente la libertà a migliaia di palestinesi, ma vengono tolte anche quelle poche ore di aria. 

Ad ogni modo le rivendicazioni dei detenuti non rimangono inascoltate.

Sulla questione è giunta nei giorni scorsi la dichiarazione di Nafez Ghonemi del Partito del Popolo Palestinese (PPP): “i militanti della prima ora che hanno aperto la strada alla rivoluzione con pura dedizione all’indipendenza e i nostri compagni in carcere a cui dedichiamo la giornata del prigioniero palestinese, trovano in noi la volontà di preservare l’unità del nostro popolo e del paese, la difesa della dignità di ogni palestinese e il persistere della lotta di liberazione”.

Anche la Federazione Mondiale della Gioventù Democratica (WFDY), che riunisce le organizzazioni giovanili comuniste e antimperialiste da tutti i continenti, ha rilasciato una dichiarazione: “Vogliamo ribadire, ancora una volta, l’impegno della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica a favore di tutti i prigionieri politici palestinesi. Inoltre, di fronte alla crisi della COVID-19, la lotta per la loro libertà richiede uno sforzo maggiore. Corriamo il rischio che la salute dei prigionieri nelle carceri israeliane non sia garantita.Per questo il WFDY ha aderito a una campagna internazionale di solidarietà con i prigionieri palestinesi. Chiediamo di difendere i prigionieri palestinesi e di non lasciarli soli, vittime della violenza nelle prigioni dell’occupazione”.

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