di Mattia Greco
Paolo Cinanni nasce a Gerace, piccolo centro in provincia di Reggio Calabria, nel 1916. È ricordato per il ruolo di primo piano ricoperto nell’organizzazione delle lotte dei contadini in Calabria nell’immediato dopoguerra e nel corso degli anni ’50 del secolo scorso. È stato un dirigente del PCI fino alla sua morte nel 1988. È stato autore di varie elaborazioni in ambito storico-politico ed economico. Tra le più importanti sicuramente, Lotte per la terra e comunisti in Calabria 1943-1953, e per le sue analisi sul fenomeno dell’emigrazione Emigrazione e imperialismo. Un tema, quest’ultimo che è sempre stato al centro della sua attenzione in quanto visse sulla propria pelle la dura esperienza dell’emigrazione. Come molti meridionali dovette abbandonare la propria terra a causa della morte del padre, anche lui emigrante, e delle ristrettezze economiche che questa dipartita provocò nella famiglia. A soli 13 anni Cinanni arrivò a Torino dove incontrò molte difficoltà. Un episodio importante fu l’incidente che gli provocò l’amputazione della gamba quando durante una consegna rimase schiacciato da un tram. A causa di quell’incidente perse il lavoro e la possibilità di entrare nell’Accademia della Marina Militare. A questo traumatico episodio si sommano la tubercolosi che lo allontanò dagli studi e le discriminazioni subite durante gli anni a Torino.
Dopo questi difficili anni, durante la dittatura fascista, conobbe l’intellettuale piemontese Cesare Pavese con cui si formò presto una profonda amicizia. È proprio Pavese che lo introdusse allo studio del marxismo e lo mise in contatto con l’allora clandestino Partito Comunista d’Italia. La volontà di passare all’azione era troppo forte in lui, e in Italia, nonostante la repressione, il Partito Comunista affascinava molto i giovani come Cinanni, che vedeva in quest’ultimo un partito in grado di mettere alle strette il fascismo scalzando una volta per tutte la dittatura.
La gioventù, secondo Cinanni, ebbe un ruolo di primo piano nella lotta partigiana. Proprio quei giovani che il fascismo aveva cercato di ideologizzare e di purificare da ogni teoria “democratica” e bolscevica divennero la spina nel fianco del regime. Il PCd’I e la FGCI spinsero i giovani militanti a compiere un lavoro legale all’interno delle organizzazioni di massa del fascismo. Tra queste i GUF, Gruppi Universitari Fascisti, e la GIL, Gioventù Italiana del Littorio, videro la partecipazione di centinaia di antifascisti che scrivevano per le varie testate giornalistiche. Un esempio è il caso de “il Bò” gestito dal dirigente comunista Eugenio Curiel. Sfruttare questi spazi per discutere di cultura, politica e attualità era un modo per strappare la gioventù proletaria al fascismo, aprire contraddizioni nel regime, senza commettere errori che sarebbero potuti diventare fatali. Un lavoro sotterraneo che portò i suoi frutti.
L‘altissimo numero dei giovani militanti che venne arrestata o mandata al confino durante il ventennio esprime un dato molto chiaro. Sicuramente i giovani comunisti erano meno inclini a compiere ragionamenti ponderati senza lanciarsi in azioni isolate, slegate dalle masse, che portavano ad inevitabili provvedimenti repressivi da parte del Tribunale Speciale fascista. È anche vero però che la gioventù che si avvicinava agli ideali antifascisti e comunisti era la gioventù che aveva vissuto sulla propria pelle le privazioni, la fame, e la tirannia fascista che provava giorno dopo giorno a gettargli fumo negli occhi dipingendo la società italiana come un modello per tutto il mondo.
La guerra segna uno spartiacque importante che giustamente Cinanni sottolinea nel suo libro autobiografico Il passato presente (una vita nel PCI). Milioni di giovani proletari europei furono mandati a combattere in giro per il mondo e ben presto molti di loro divennero carne da macello nei diversi focolai di guerra. Giovani italiani erano stati mandati in Francia, Albania, Grecia, Egitto e Unione Sovietica. Alcuni non fecero mai ritorno, altri invece acquisirono la consapevolezza che quella guerra non doveva essere combattuta e che il fascismo rappresentasse un morbo che doveva essere estirpato al più presto.
Nel capitolo del suo libro dedicato all’esperienza della Lotta di Liberazione Cinanni ci mostra come dopo l‘8 Settembre la grande maggioranza dei giovani disertò la chiamata ad aderire alla Repubblica di Salò guidata da Mussolini e decise in un modo o nell’altro di stare dalla parte dei partigiani. Al reclutamento obbligatorio dell’Ottobre ‘43 rispose meno della metà dei 180mila precettati. Un numero che andò ad ingrossarsi nel corso del tempo quando aumentarono le fughe e le diserzioni.
Il reclutamento partigiano, spiega Cinanni, avveniva tra i militari che avevano rotto le righe dopo l’8 settembre ed in misura maggiore attraverso il convincimento politico. Una forte e intensa campagna contro la guerra e le sue conseguenze mobilitava migliaia di antifascisti da Nord a Sud. Secondo il PCI tra i giovani il compito attuale era quello di creare un’organizzazione unitaria di massa in grado di dare maggiore ampiezza alla lotta di liberazione. Nasce a questo proposito il Fronte della Gioventù per l’Indipendenza nazionale e la Libertà. Scriveva a tal proposito Longo: «La situazione creatasi con la caduta del fascismo ha posto le premesse per la formazione di un movimento di massa della gioventù italiana, che risponda al duplice bisogno di inserire l’azione dei giovani nella lotta popolare per la liberazione del paese e di difendere i loro interessi particolari nel campo economico, sociale e culturale». Fu invece Giancarlo Pajetta che stese il Manifesto del Fronte che fece la sua prima comparsa nell’Autunno del 43. Iniziava poco dopo anche la pubblicazione del “Bollettino del Fronte della Gioventù” inteso come strumento di informazione e organizzazione dei giovani antifascisti.
«Il Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e la libertà deve promuovere la formazione dei gruppi nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei villaggi, in modo che l’azione dei giovani si sviluppi nella sua sfera naturale di esistenza; deve raggruppare i giovani che non si sono presentati alla chiamata fascista; deve organizzare i gruppi femminili di patronato ai partigiani. I giovani devono agitare i problemi degli apprendisti esigendo che a pari lavoro venga corrisposto pari salario […] Questa agitazione deve essere diretta a sviluppare la partecipazione giovanile alle lotte rivendicative della classe operaia, portando in esse i problemi caratteristici della gioventù […] i giovani studenti devono esigere che cessi la denuncia da parte di presidi e rettori degli obbligati al servizio militare […] e devono assistere i giovanissimi, orientandoli con l’esempio e con l’agitazione allo sviluppo di momenti contro i professori fascisti […] i giovani contadini devono unirsi alla lotta che si conduce nelle campagne contro le requisizioni fasciste e naziste»
Questo era la presentazione del Fronte della Gioventù di cui ricorda i passaggi Cinanni e di cui proprio lui fu dirigente di spicco operando in Piemonte prima, e successivamente in Lombardia a ridosso dell’insurrezione del 25 Aprile. Il FdG agiva con ampia autonomia per permettere una maggiore permeazione dell’organizzazione nelle masse giovanili popolari. Il suo compito non era solo quello di trovare nuovi adepti di giovane età bensì di prepararli, o meglio di addestrarli, alla lotta partigiana sia nel campo politico-ideologico che militare.
Le fasi dell’addestramento e della propaganda sono ben descritte da Cinanni. Si passava da prove più “semplici” come le scritte sui muri, fino a disarmare i nazifascisti per strada o l’assalto a posti di blocco e caserme. Per la propaganda invece si diffondevano nelle scuole, nelle caserme e nei quartieri popolari volantini e manifesti. Tantissima importanza invece rivestiva il giornale. Il primo in Piemonte, ricorda Cinanni, fu nel Maggio del ‘44 “Gioventù Biellese”, poi a Torino “Noi Giovani” che venne ripreso in più province. In quei mesi il suo ruolo era anche quello di preparare politicamente i compagni nei vari comitati provinciali e supportarli nella redazione e stesura dei giornali. Ogni comitato doveva sensibilizzare sempre più giovani alla causa, organizzare dimostrazioni e momenti di lotta. In più era fondamentale l’apporto dei giovani alla resistenza, anche dal punto di vista militare, e per questo i giovani venivano poi selezionati per andare tra le montagne o per entrare nelle SAP (Squadre di Azione Patriottica).
Secondo Cinanni un momento fondamentale per la Resistenza a Torino e in Piemonte fu il gesto eroico di Dante di Nanni. Dopo la sua morte, il 18 Maggio del ‘44, iniziarono a circolare le voci che raccontavano il suo coraggio e ben presto Torino si commosse e si infiammò. Il FdG preparò subito un volantino per Di Nanni e un numero speciale di “Noi Giovani”. Dopo una prima manifestazione commemorativa il 4 Giugno, dove vennero deposti i fiori sotto il portone di Via San Bernanrdino, il FdG organizzò un comizio il 2 Novembre preparando nel dettaglio tutta la manifestazione. Giorni prima vennero fatti circolare i volantini che segnavano luogo e orario del concentramento al cimitero. Quel giorno dalla tomba Di Nanni, parlando alla folla venuta a dare un saluto ai propri cari e curiosa di ascoltare il comizio, un giovane operaio Alfio Basaglia lesse davanti a 50mila persone un discorso che incitava il popolo a lottare contro l’invasore nazifascista. Appena si concluse il discorso la folla si mosse verso il centro di Torino in corteo, cosa che suscitò lo scalpore di tutti i giovani del FdG che non si aspettavano una risposta così combattiva. Alla testa del corteo, in maniera orgogliosa afferma Cinanni, ci furono proprio i giovani.
Da lì in poi Cinanni venne trasferito per sfuggire alla repressione prima a Novara e poi dopo il congresso dei giovani comunisti dell’Alta Italia del 20 e 21 Gennaio ‘45 a Milano. Di questo congresso Cinanni trascrive l’intervento di Eugenio Curiel: «L’ideale dei giovani comunisti, dell’avanguardia della gioventù operaia, è di diventare l’avanguardia delle generazioni nuove, nella lotta di oggi e nella ricostruzione di domani. E saremo contenti il giorno in cui si dirà che una gioventù cresciuta sotto la cappa di piombo del fascismo ha saputo conquistare una nuova dignità e una nuova libertà a se stessa e all’Italia, ha saputo aprire al popolo la via verso più luminose conquiste sciali»
Nonostante l’arresto della sorella, anche lei partigiana, Cinanni si preparò ad una nuova sfida nel capoluogo lombardo. L’uccisione di Curiel avvenuta il 24 Febbraio fu un duro colpo per la Resistenza partigiana, ma non impedì il contributo dei giovani all’insurrezione del 25 Aprile. Il FdG si impossessò degli uffici della Gazzetta dello Sport e furono i giovani a stampare il primo giornale legale dalla liberazione. Gli venne dato il nome di “Epoca Nuova”, proprio come quella che stava per nascere secondo i tanti giovani comunisti, un’epoca che li avrebbe visti protagonisti della ricostruzione e dell’edificazione di una società migliore. Il titolo della prima uscita fu “I giovani sono all’avanguardia nella magnifica insurrezione di popolo vittoriosa e liberatrice”.
Il 28 aprile ci furono i funerali dei patrioti caduti nell’insurrezione di Milano, davanti ad una immensa folla parlò Paolo Cinanni per il Fronte della Gioventù. «Accennai brevemente al contributo dato dai giovani all’insurrezione, ricordando per tutti i nostri caduti il solo nome di Curiel, e concludendo semplicemente con un giuramento fatto a nome delle nuove generazioni, sulle bare stesse dei martiri che ci stavano davanti, di seguire i loro ideali, di portare avanti la loro lotta, se necessario anche col sacrificio della vita, per creare in Italia un epoca nuova, di giustizia e di libertà».
Quando arrivarono gli Alleati la città era già stata liberata ma il FdG dovette abbandonare gli uffici della Gazzetta dello Sport che venne restituita dagli americani ai vecchi proprietari. Lo stesso Cinanni ricorda amaramente però come «nell’ombra le forze della conservazione tessevano la tela per la rottura dell’unità democratica e per la restaurazione del proprio potere egemone, costringendo il popolo ad altre durissime lotte per preservare le istituzioni democratiche e proseguire sulla strada della libertà e del progresso aperta dalla Resistenza».
Dagli scritti di Paolo Cinanni notiamo tutto l’entusiasmo e la volontà che animavano i giovani comunisti nella lotta partigiana. Una storia che non fu esente da errori e passi falsi, ma che ci consegnò un’Italia libera dalla barbarie nazifascista. Personaggi come Cinanni nel corso del tempo sono passati sempre di più in secondo piano. Oltre al ruolo fondamentale che ebbe nell’organizzazione della gioventù nel Nord Italia, Cinanni si distinse nel dopoguerra in Calabria anche per la capacità di dirigere le lotte dei contadini. In un territorio che venne depredato dal fascismo, dove i grandi proprietari terrieri opprimevano la popolazione, la risposta delle masse alla caduta del regime fu forte ed emblematica perché significava la fine delle angherie e l’inizio del riscatto. In una fase iniziale le occupazioni delle terre ebbero un carattere spontaneo, non prive di tante contraddizioni, ma grazie al lavoro di Cinanni si riuscirono ad organizzare istruire le masse contadine inquadrandole insieme alle loro lotte in una strategia a più ampio raggio. Il tentativo di Cinanni era di legare, secondo il pensiero gramsciano, le masse rurali del Meridione e le loro lotte con lo sviluppo delle lotte della classe operaia del Nord.
Una storia che ora più che mai dobbiamo fare nostra portando sulle spalle l’eredità della lotta partigiana, insieme agli esempi di eroismo e di abnegazione che il passato ci tramanda, per infliggere il colpo mortale al sistema e realizzare un mondo diverso.
Un sentito ringraziamento ad Andrea Cinanni per la gentile concessione dei materiali.