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«I can’t breathe». Esplode la protesta negli USA dopo l’assassinio di George Floyd

Una nuova vicenda riaccende i riflettori sugli abusi della polizia USA nei confronti degli afroamericani. Nella giornata di ieri è diventato virale su Internet un video girato in tempo reale, che mostra praticamente in diretta la morte di George Floyd, un 46enne di Minneapolis che era stato sottoposto a fermo da 4 agenti di polizia.

Nel video si vede l’uomo, ammanettato a terra con le mani dietro la schiena, con un agente di polizia che gli tiene il ginocchio premuto sul collo, per più di 5 minuti. L’uomo, che non era armato ed evidentemente non era una minaccia ammanettato in quel modo, ripete più e più volte la frase “I can’t breathe”, non riesco a respirare, implorando l’agente di togliere il ginocchio, ma nulla. E alla fine muore, così. Forse persino più grave dei tanti, troppi episodi di poliziotti dal “grilletto facile”. Non è una decisione stupida presa in pochi secondi, ma una condotta ragionata, cosciente e proseguita nonostante i segnali di allarme, con altri 3 poliziotti che assistendo alla scena non hanno ritenuto di dover intervenire per salvare la vita del 46enne.

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La vicenda ha scatenato in poco tempo una protesta spontanea della popolazione. In migliaia sono scesi in piazza con cortei spontanei, attaccando le forze dell’ordine. Un corteo si è mosso dal luogo dell’uccisione fino al distretto di polizia, scandendo la frase “I CAN’T BREATHE”, diventata slogan della protesta. Il sindaco ha annunciato il “licenziamento” (sic) degli agenti coinvolti, e la stampa rende noto che sul caso indagherà l’FBI.

Che negli USA gli abusi nei confronti della popolazione afroamericana siano una costante, è purtroppo cosa nota. Del resto, una protesta del genere non esplode per un semplice “caso isolato” e sarebbe ingenuo giustificarlo in questi termini. Ogni anno la polizia negli USA uccide arbitrariamente migliaia di persone. Per una parte consistente, si tratta di afroamericani appartenenti alle classi popolari, a dimostrazione di come la “questione razziale” negli USA sia legata all’oppressione di classe, e non invece slegata da essa. Un dato che agli occhi di tutti è ormai strutturale, consolidato: l’oppressione dei cittadini e dei lavoratori afroamericani che vivono nelle periferie e nei ghetti degli USA non è finita con il Civil Rights Act del 1964 che solo formalmente ha abolito la segregazione e la discriminazione razziale. La favola di cristallo del “sogno americano” si infrange ancora oggi sulla realtà dell’ingiustizia e dello sfruttamento.100545173_971217293322102_4280225726994579456_n 101001380_2624664761104848_5083842618069090304_o 101058573_971217216655443_4823377891226025984_o

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