di Antonio Viteritti e Giuseppe Albanese
In questi mesi di emergenza Covid-19 abbiamo assistito a varie polemiche sulla ripresa del Campionato di Serie A Tim. Mentre le competizioni minori venivano sospese, si è fatto di tutto per far continuare la Lega maggiore e, una volta sospesa, per farla riprendere in tempi brevi, come se fosse possibile garantire completamente la sicurezza dei giocatori. In queste settimane di lockdown tanti tifosi si sono sentiti un po’ smarriti senza le partite dei loro beniamini, ma tanti gruppi ultras, in maniera abbastanza responsabile e cosciente, hanno contestato qualsiasi ipotesi di riapertura, appellandosi alla mancanza di sicurezza, al rispetto per le vittime del virus o al fatto che senza tifosi sugli spalti non sarebbe la stessa cosa.
Bisogna premettere che il calcio ormai si sta trasformando (e per alcuni la metamorfosi è già completa) in un business sempre più redditizio, in nome del quale si espellono di fatto dagli stadi i tifosi delle classi popolari a causa dei costi eccessivi di biglietti e abbonamenti. Quello degli spalti vuoti è comunque uno spettacolo triste e di certo non basta sopperire con le sagome dei tifosi, come accaduto in Germania. Eppure, nonostante i tentennamenti del Governo, il campionato riprenderà il 20 giugno (la Coppa Italia invece il 12).
Mentre le squadre delle leghe minori, ormai a campionato finito, stanno lasciando tanti giocatori senza stipendio da mesi (un calciatore di Serie C, ad esempio, non prende certo i milioni di un collega di Serie A) e in tante rischiano addirittura il fallimento (la prima a dichiararlo è stata la società siciliana del Catania), le squadre di Serie A hanno fatto continue pressioni per portare a termine la stagione. Alla base di questo comportamento deplorevole non c’è certo la volontà di far svagare i milioni di appassionati, ma meri interessi economici. Infatti, il coronavirus è stato un enorme danno per le società calcistiche italiane che, bisogna ricordarlo, sono ormai vere e proprie aziende con bilanci in alcuni casi che superano abbondantemente il mezzo miliardo. Si stima che solo di biglietti le società abbiano perso circa 28 milioni, ai quali devono aggiungersi circa 430 milioni di diritti tv (si comprende che anche piattaforme come SKY e DAZN hanno tutto l’interesse affinché il campionato riprenda e si concluda…); senza contare il calo del merchandising in questo periodo ed eventuali danni d’immagine all’estero, dove il nostro campionato iniziava ad essere seguito e in ballo ci sono ricchi contratti e tournée estive. Le stime peggiori sostengono che il danno economico per questa stagione e la prossima per i top club italiani potrebbe ammontare a 1 miliardo.
Proprio l’interesse delle pay tv ha spinto la Federcalcio tedesca ad anticipare i tempi. Infatti, con gli altri campionati ancora fermi o del tutto terminati (Ligue 1 ed Eredivise hanno assegnato il titolo a Paris Saint Germain e Ajax concludendo la stagione in anticipo) era ovvio che le partite della Bundesliga avessero un altro appeal e così è stato: si stima che mediamente la visione della ventiseiesima giornata abbia superato in ascolti la precedente del 320%. Le società di Serie A TIM, dunque, hanno preferito la ripresa del campionato a costo di giocare praticamente ogni tre giorni pur di vedere tutelati i loro interessi economici.
Per quanto riguarda le competizioni internazionali, se l’Europeo è stato rinviato al prossimo anno, la UEFA sembra sempre più convinta di far riprendere la Champions League nel mese di agosto. L’ipotesi plausibile è quella di giocare gli ultimi turni senza la partita di ritorno nella stessa città della finale, sebbene non si sappia ancora se si svolgerà ancora ad Istanbul, originariamente designata ad inizio torneo per ospitare la finale, o a Lisbona. Insomma “the show must go on” a tutti i costi, non solo senza tifosi ma addirittura con tutte le 8 squadre che giocheranno in campo neutrale, giustificando il tutto con la scusante che in questo modo si eviterebbero viaggi complessi e possibili contagi. Insomma, una sorta di mundialito continentale, idea che ha sempre attratto la massima istituzione calcistica europea che così facendo avrebbe un’intrigante precedente da rispolverare in futuro e ottenere nuovi contratti milionari con le pay tv e fare ancora più profitti su profitti.
D’altronde questa non è la prima volta che i tifosi (che facciano parte del tifo organizzato o no) vengono estromessi dallo spettacolo. Di fatti, durante le scorse stagioni molte competizioni nazionali sono state ospitate sul manto verde di altri Paesi: pensiamo alla Supercoppa italiana TIM e a quella spagnola giocate in Arabia Saudita. Sempre il campionato spagnolo, sulla falsa riga delle leghe professionistiche americane come NBA o NFL, è pronto a sbarcare negli USA e in Canada. La Liga ha infatti ufficializzato un accordo di quindici anni che porterà alcune partite del campionato spagnolo in Nord America. È la prima grande lega professionistica a farlo, ma questa mossa potrebbe aprire la strada alle altre, seguendo il modello che ha portato tutti i grandi club a percorrere migliaia di km ogni estate solamente per strappare un contratto più profumato e conquistare altre fette di mercato. Non a caso le mete più amate sono USA e Cina, Paesi dove il calcio sta decollando e dove si giocano anche gli interessi dei colossi televisivi. La creazione di competizioni come la International Champions Cup ne sono l’esempio lampante. La Relevent sport Group (il gruppo che gestisce la maggior parte dei contenuti calcistici in Nord America e Cina guarda caso) è riuscita a trasformare le amichevoli estive in un giro mostruoso di denaro. I biglietti di queste partite possono avere un costo anche superiore a 500€. Il tutto, ovviamente, sottraendo ai tifosi locali lo spettacolo dello sport… tanto possono guardarlo in tv, no? La traiettoria della parabola appare ormai chiara: lo sport moderno, il calcio in particolare, non prevede più il tifoso come soggetto dello spettacolo, ma come un semplice strumento che muove denaro, ora neanche in presenza, bensì dal proprio comodo divano di casa.
Le immagini che abbiamo visto in queste settimane dopo la ripresa della Bundesliga ci sono state propinate come ritorno alla normalità dai mass media, ma non è così. Stadi vuoti ed esultanze zittite dalla distanza (cosa al quanto ridicola tra l’altro, poiché in campo si sta comunque abbracciati quando si forma la barriera o si salta sul proprio avversario nelle fasi concitate di un corner) non sono la consuetudine, ma solamente l’ennesimo tentativo di svendere lo sport, che di movimento di massa oggi ha veramente poco. È particolare pensare che dal teatro senza spettacolo evocato da Carmelo Bene siamo passati allo spettacolo senza teatro imposto dalla Confindustria del pallone: stadi vuoti, spalti deserti, ritiri blindati, festeggiamenti vietati, tamponi rubati, quarantene immaginate.
A costo di sembrare impopolari, la ripresa del campionato italiano, in linea con l’indirizzo di classe che ha seguito il Governo Conte in questi mesi, non è attualmente la priorità, oltre ad essere scorretto nei confronti delle società e dei tifosi delle serie minori. Il campionato dovrà riprendere solo quando sarà possibile garantire la piena sicurezza negli stadi e la loro riapertura al pubblico, magari a prezzi popolari, perché non è la pirateria a uccidere il calcio e la passione dei tifosi, ma il business.