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Catania, l’università esclude gli studenti con un basso voto di maturità

di Ruggero Caruso

A causa dell’emergenza sanitaria, l’Università degli Studi di Catania ha abolito i test d’ingresso ai corsi di laurea a numero programmato locale, cioè quelli gestiti dai singoli atenei e non con test nazionali (come ad esempio Medicina). Il che sembrerebbe quasi una buona notizia se non fosse che il criterio scelto per l’ammissione ai corsi è ancor più discriminatorio e classista nei confronti degli studenti, i quali verranno selezionati mediante il voto dell’esame di maturità.

Già durante la quarantena era evidente come l‘organizzazione della didattica a distanza stesse acuendo le differenze di classe all’interno degli istituti superiori. Secondo i dati di Cittadinanza Attiva(1), quasi uno studente su due non ha avuto pieno accesso alle video-lezioni per mancanza di dispositivi e connessioni internet appropriate. Le briciole stanziate dal governo(2) per sopperire a queste mancanze sono risultate del tutto insufficienti e mal distribuite, tant’è che all’interno degli stessi istituti, e delle stesse classi, gli studenti non hanno potuto beneficiare di una didattica adeguata, in particolar modo ai fini di una preparazione appropriata dell’esame di Maturità. Un dato dunque è certo: i diplomati dello scorso anno scolastico non sono partiti affatto tutti dalle stesse condizioni, e non sono arrivati tutti con lo stesso livello di preparazione all’esame, condizionando in maniera determinante esiti e valutazioni finali.

In queste circostanze assume un peso rilevante la tipologia di istituto nel quale ci si diploma. I dati Istat(3) ci dicono infatti che nella regione Sicilia nel 2018, il voto mediano degli studenti diplomatisi nei licei classici era 84. Questo valore crolla se andiamo ad osservare i dati inerenti gli istituti tecnici e i professionali, quelli che solitamente sono localizzati in aree periferiche e che tendenzialmente sono frequentati da giovani di estrazione popolare; nello stesso anno infatti, il voto mediano degli studenti usciti dagli istituti tecnici per settore tecnologico e dagli istituti professionali è stato rispettivamente 74 e 72. Nel 2020 in tutta Italia gli studenti liceali che hanno ottenuto una valutazione superiore all’80 sono stati il 58,5% del totale, a fronte del 41,3% negli istituti tecnici e del 39% negli istituti professionali(4). Appare chiaro che, come nella migliore tradizione gentiliana, chi esce da un liceo avrà più facilità d’ingresso all’università.

Un altro elemento che non bisogna lasciarsi sfuggire è che il metro di giudizio dei candidati alla maturità in alcun modo può essere omogeneo in tutti gli istituti e in tutte le classi. Basterebbe prendere in considerazione questo punto per far emergere tutta l’assurdità di questo criterio d’ammissione. Docenti, dirigenti e commissioni d’esami, nel pieno della loro autonomia professionale valutano percorso di studi e prove d’esame a loro totale discrezione; come pensa il rettore Priolo di poter garantire una “competizione” equa a tutti gli studenti che proveranno ad iscriversi a Unict?

Su queste basi migliaia di studenti si vedranno preclusa la possibilità di studiare all’università. Per fare degli esempi, al Dipartimento di Economia e Impresa su 1819 richieste di immatricolazione, i posti disponibili sono solo 765; allo stesso modo, al Dipartimento di Scienze Umanistiche sono stati messi a disposizione solo 1570 posti a fronte di 2705 richieste; o ancora ai corsi di laurea del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali accederanno solo 340 studenti tra i 2071 che hanno fatto richiesta. Alla luce di questi numeri bisogna chiarire una cosa: non esiste in questo sistema un modo migliore di altri per escludere studenti dai livelli più alti di istruzione. Il concetto di meritocrazia è un concetto fallace nel momento in cui non si parte tutti dalle stesse condizioni. Abbiamo visto come in alcuni casi (i test a medicina e professioni sanitarie) il numero chiuso all’università sia funzionale a tagliare su alcune voci di spesa pubblica destinata ai servizi sociali (sanità), o come in altri le immatricolazioni bloccate siano dovute a carenze strutturali dell’università italiana, specie per quanto riguarda l’edilizia e le assunzioni di personale docente e amministrativo. Servono seri investimenti sull’istruzione, a tutti i livelli, per abbattere le barriere di classe che tutt’oggi escludono centinaia di migliaia di giovani dagli studi universitari.

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