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Il conflitto in Nagorno Karabakh e gli interessi in gioco

di Gabriele Cinotti e Raffaele Timperi

Nelle ultime settimane sono ripresi i combattimenti tra Armenia e Azerbaijan per il controllo della regione a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh, lo scontro militare tuttavia in pochi giorni si è esteso ben al di fuori della regione contesa con bombardamenti aerei incrociati nei rispettivi paesi e scontri nelle zone del confine settentrionale. Per comprendere le ragioni di questo conflitto è utile prima di tutto comprendere come questo si integra nel contesto più generale dello scontro inter-imperialista e quali sono gli interessi immediati e strategici in gioco nella competizione tra monopoli nella regione.

Il contesto storico del conflitto

Durante il XIX secolo il Caucaso è stato terreno di scontri tra i tre imperi Ottomano, Persiano e Russo [1] che, in costante competizione tra loro, non si sono fatti scrupoli nel fomentare le differenze etnico-religiose tra le diverse popolazioni della regione, al fine di ottenerne il controllo.

L’impero ottomano vide negli armeni, di religione ortodossa come i russi, una fonte di instabilità, perciò mise in atto una brutale repressione. [2] Parallelamente gli zar cominciarono una campagna di “russificazione” dei territori turcofoni conquistati nell’attuale Azerbaijan, cercando di usare la propria influenza sulle minoranze che abitavano i territori avversari per aizzare l’odio e destabilizzarsi a vicenda. [3]

Con il collasso dell’impero ottomano, in seguito alla Prima guerra mondiale, il popolo armeno e quello azero entrarono a far parte dell’Unione Sovietica. [1] Si aprì per la regione un lungo periodo di pace e sviluppo sociale, in cui vennero sostanzialmente messe da parte le differenze etnico-religiose.

Gli effetti di centinaia di anni di scontri nella regione riemersero in superficie sul finire degli anni ’80 del XX secolo. Il Nagorno-Karabakh, pur essendo un territorio a maggioranza armena, rimase all’interno della RSS Azera, pur con un elevato livello di autonomia. Nel periodo di incertezza e di collasso economico ed istituzionale, che ha caratterizzato la reintroduzione dell’economia di mercato durante la Perestroika, in URSS si riaccesero gradualmente i conflitti etnici, ed in seguito ad alcuni incidenti tra le due popolazioni nel 1988 il parlamento locale del Nagorno-Karabakh chiese la scissione dalla RSS Azera e l’incorporazione alla RSS Armena, che venne però negata dal Soviet Supremo dell’URSS. [5] Rapidamente si generò il caos. Le tensioni diventarono scontri, avvennero espulsioni forzate di massa su base etnica da entrambe le repubbliche [6][7] e, una volta scomparsa l’URSS e dichiarata l’indipendenza di Armenia ed Azerbaijan, si scatenò subito una guerra per il possesso del Nagorno-Karabakh. I combattimenti provocarono decine di migliaia di morti, anche secondo le stime più caute, tra cui migliaia di civili, e durarono fino al 1994. [8] La guerra si concluse con un cessate-il-fuoco che sancì una sostanziale vittoria dell’Armenia e dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh (oggi formalmente chiamata repubblica dell’Artsakh). Infatti, la regione si dichiarò uno stato indipendente, ma passò di fatto sotto controllo armeno, continuando però a venire considerata a livello internazionale come parte dell’Azerbaijan. [9] Dal 1994 gli scontri non sono mai cessati, anche se non sono sfociati in una vera e propria guerra.

Gli sviluppi recenti

L’escalation degli ultimi giorni si inserisce in un periodo di accese tensioni tra i due schieramenti: da una parte l’Azerbaijan, sostenuto dalla Turchia, e dall’altra l’autoproclamata repubblica di Artsakh (che di fatto controlla gran parte del territorio del Nagorno-Karabakh, formalmente parte dell’Azerbaijan) e l’Armenia.

Durante lo scorso Luglio una pesante serie di scambi di colpi di artiglieria ed attacchi con droni al confine Armeno-Azero nel distretto di Tovuz durato 4 giorni ha provocato almeno 17 morti, tra cui un maggiore generale Azero. Entrambe le parti hanno rivendicato la vittoria in seguito a queste schermaglie, ma di fatto non ci sono stati cambiamenti territoriali. [10][11]

Le ostilità sono riprese in maniera decisamente più netta il 27 settembre, stavolta nella zona di confine tra la repubblica di Artsakh e l’Azerbaijan. È difficile capire chi tra le due parti abbia attaccato per prima ma, a differenza degli scontri di luglio, questa volta si è da subito assistito all’utilizzo non solo di armi indirette, quali artiglieria e droni, ma anche di mezzi corazzati e fanteria, oltre che dalla deliberata volontà di entrambi gli schieramenti di colpire strutture civili.

Già dal primo giorno di scontri sono infatti state attaccate con colpi di artiglieria sia la capitale dell’Artsakh, Stepanakert, sia numerosi villaggi azeri situati in prossimità del confine, con alcune vittime civili. [12][13][14] Inoltre per la prima volta dal 2016 e per la seconda volta dal 1994 vi sono stati degli spostamenti della linea di confine, con la rivendicazione della conquista da parte dell’Azerbaijan di sette villaggi nel Nagorno-Karabakh. [15]

Il 28 settembre Armenia e Artsakh hanno dichiarato la legge marziale e la mobilitazione totale della popolazione, mentre l’Azerbaijan ha dichiarato la mobilitazione parziale. Nei giorni successivi gli scontri si sono estesi alla zona di confine diretto tra Armenia ed Azerbaijan ed entrambe le parti hanno rivendicato la distruzione di numerosi assetti militari dell’avversario. [14][16][17] Gli scontri sembrano aver assunto le dimensioni di un vero e proprio conflitto. Per la prima volta nella storia delle tensioni inoltre la Turchia, paese membro della NATO ed unica potenza ad appoggiare formalmente il conflitto e a non esortare un cessate il fuoco, è passata dall’essere il principale sponsor dell’Azerbaijan ad un ruolo decisamente più attivo. Il presidente Erdoğan ha infatti dichiarato che “è giunto il momento di porre fine alla crisi nella regione, iniziata con l’occupazione (armena, NDR) del Nagorno-Karabakh”. [18][19] Appare confermato l’utilizzo di droni turchi nell’attacco di numerose postazioni militari armene, oltre che l’impiego di mercenari filoturchi dell’Esercito Libero Siriano, trasferiti in segreto dalla zona di Idlib. [20] La Russia invece, che mantiene i propri interessi nella regione principalmente tramite l’Armenia, è il principale fornitore di armi di entrambi gli eserciti, e già prevede di riuscire a concludere numerosi contratti nel prossimo futuro. [21]

Al 29 settembre, dopo soli tre giorni di combattimenti l’Artsakh dichiara 85 soldati uccisi e più di 120 feriti, mentre Armenia ed Azerbaijan riportano solo il numero di soldati nemici uccisi, rendendo difficile dare una stima precisa.

Numerosi abitanti civili delle zone di confine, nell’ordine delle decine, hanno perso la vita a causa dei bombardamenti di artiglieria. [22][23] Al momento si sta delineando il più vasto spargimento di sangue nella regione dalla fine della guerra del 1992-1994.

Nei giorni successivi vengono abbattuti droni azeri di fabbricazione turca e israeliana nello spazio aereo armeno, in prossimità della capitale Yerevan [24]. Contestualmente l’Armenia ritira il proprio ambasciatore in Israele proprio per il ruolo di primo piano di fornitore militare all’Azerbaijan che ha assunto. [25]

L’importanza strategica del Caucaso meridionale

La regione del Caucaso meridionale è di importanza strategica per il mercato di distribuzione delle risorse energetiche del Mar Caspio e dai paesi dell’Asia Centrale verso l’Europa, per questo sin dagli anni ’90 la regione è terra di scontro di diversi centri imperialisti sia regionali (Turchia e Israele) che mondiali (Gran Bretagna, Usa, Italia, Russia).

La situazione del Caucaso meridionale è definita non solamente dalla posizione geo-strategica della regione, di confine tra la zona d’influenza russa ed il medio-oriente, ma soprattutto dal complesso di strutture di distribuzione delle risorse energetiche costruite negli ultimi 30 anni nella regione, che hanno portato l’Azerbaijan ad essere la terza via di approvvigionamento energetico per l’Europa, assieme al Nord Africa e alla Russia. Per capire gli equilibri e i rapporti di forza nella regione è importante quindi capire in quale contesto si è arrivati alla situazione attuale.

Nel 1994 viene firmato il primo contratto tra l’azienda di stato azera, la SOCAR, e un consorzio di aziende petrolifere gestito dal monopolio britannico BP (British Petroleum) per la cessione dei diritti di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti petroliferi azeri nel Mar Caspio. L’interesse strategico è chiaramente quello utilizzare le risorse energetiche azere per diversificare l’approvvigionamento energetico europeo, limitando l’esportazione russa di idrocarburi verso l’Europa.

È utile ricordare che la Federazione Russa è un paese fortemente dipendente dall’esportazione di idrocarburi, che rappresentano più della metà delle esportazioni russe. Nel 2018 su un valore complessivo di esportazioni di circa 430 miliardi di dollari, circa 240 sono ascrivibili alle esportazioni di idrocarburi. Più del 55%.

Dalla metà degli anni ’90 la regione del Caucaso meridionale è stata uno dei centri di maggiore attività e quindi di tensione tra i monopoli del settore energetico. Nel 1997 viene costruito l’oleodotto che collega i pozzi azeri alla città russa di Novorossijsk, gestito da SOCAR e dal monopolio russo del settore Transneft. Un anno dopo viene invece ultimata la costruzione dell’oleodotto Baku-Supsa (gestito da BP), che quindi ne diversifica la distribuzione verso un Paese, la Georgia, che già nella seconda metà degli anni ’90 vedeva aumentare progressivamente la presenza di monopoli europei e americani a discapito di quelli russi e che già nel 1994 aderì al programma della NATO “Parnership for Peace”, che aveva l’intento dichiarato di essere “un percorso che porterà all’adesione alla NATO”1 , per usare le parole del presidente USA Bill Clinton. Nel 2005 la Georgia avvierà ufficialmente la procedura di adesione alla NATO.

Nel 1999 viene scoperto da BP il giacimento di gas naturale Shah Deniz, contenente 1.200 miliardi di metri cubi di gas (per dare un ordine di grandezza: il fabbisogno complessivo italiano di gas si aggira attorno ai 72 miliardi di metri cubi l’anno). Il giacimento entra in funzione nel 2006/2007 orientato al mercato regionale, con una produzione limitata all’approvvigionamento energetico domestico e a forniture a Georgia e Turchia. Nel 2006 viene costruito l’oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan) con terminale sulla costa meridionale della Turchia. L’operatore della struttura è ancora una volta il monopolio britannico BP e i principali clienti sono i monopoli energetici europei. In particolare quelli italiani, le forniture azere di petrolio grezzo verso l’Italia passano da un valore complessivo di poco più un miliardo di dollari l’anno nel 2005 ai 2,3 miliardi nel 2006, 3 miliardi nel 2007 e 6,4 nel 2008. La costruzione del BTC consolida in maniera definitiva la posizione dell’Italia come principale importatore dall’Azerbaijan, attualmente infatti i monopoli italiani cubano oltre il 30% del totale delle esportazioni azere, seguite da Turchia (10%) e Israele (7%), anch’esse servite dall’oleodotto BTC che si rileva strategico per il sostentamento energetico israeliano che nel 2018 dipende per oltre il 50% dalle forniture di petrolio provenienti da Turchia e Azerbaijan.

Questo spiega efficacemente perché parte dei droni azeri operanti in questi giorni sul territorio armeno siano di fabbricazione israeliana o utilizzino componenti tecnologiche importate da Israele.

L’elemento più rilevante per comprendere come l’importanza strategica del Caucaso Meridionale graviti attorno al controllo della distribuzione delle risorse petrolifere e di gas naturale azere e dell’Asia Centrale (Turkmenistan, Kazakistan, Iran) è la seconda fase dello sfruttamento del giacimento di Shah Deniz. Questa fase è identificata nel periodo 2015-2020, nel pieno dell’intervento imperialista in Siria e dello scontro tra fazioni in Libia.

La Libia prima del 2011 esportava più dell’80% delle proprie risorse energetiche verso l’Europa, per dare un ordine di grandezza nel biennio 2010-2011 le importazioni italiane di idrocarburi dalla Libia sono diminuite da un valore di 43 miliardi a 14 (-70%). Un grosso danno per i monopoli italiani dell’energia, soprattutto ENI che ha strategicamente puntato su un aumento dello sfruttamento e del trasporto di idrocarburi dall’Asia centrale (le importazioni dal Kazakistan sono aumentate del 300% nel 2010-2018).

La seconda fase dello sfruttamento del giacimento di Shah Deniz ruota attorno al progetto del Corridoio meridionale del gas (SGC – Southern Gas Corridor), sostenuto dalla UE con il beneplacito degli USA nella sua funzione di limitare l’operatività dei monopoli energetici russi sia in Europa sia in prospettiva strategica nell’Asia centrale. Il progetto si compone di due gasdotti che attraverso la Turchia e l’Adriatico possano trasportare il gas azero in Europa, diminuendo considerevolmente le capacità commerciali verso l’Europa dei monopoli iraniani e qatarioti (protagonisti su fronti opposti dello scontro imperialista in Siria).

I due progetti sono il TANAP (ultimato nel 2018) e la TAP (che dovrebbe entrare in funzione alla fine di quest’anno).

  

La TAP e la posizione italiana sulla questione Armenia-Azerbaijan

Per comprendere la posizione italiana e l’atteggiamento del Governo italiano nel conflitto azer-armeno è fondamentale comprendere quali sono gli interessi dei monopoli italiani nella regione, come ENI, SAIPEM, e SNAM (principale azionista con il 20% di TAP, alla pari con il monopolio azero SOCAR e a quello britannico BP).

Eni ha un interesse strategico nella regione, come già detto ha spinto progressivamente l’Italia verso una forte dipendenza dalle risorse energetiche azere e kazake (per entrambi i paesi l’Italia è il primo paese per valore di esportazioni) in quanto ha costruito nella regione una forte presenza, possedendo numerosi diritti di estrazione oltre ai diritti di importanti quote delle infrastrutture di trasporto dall’Asia centrale verso l’Europa.

Le pressioni del Governo italiano per la costruzione della TAP cominciano quasi simultaneamente alla visita del presidente del consiglio Renzi nel 2014 in Kazakistan e Turkmenistan, dove sono stati rafforzati i rapporti bilaterali e la posizione dell’ENI nella regione. I monopoli russi nella regione, in diretta competizione con quelli italiani e cinesi, hanno progressivamente perduto posizioni e influenza, che comunque rimane forte e preminente per evidenti ragioni geo-strategiche.

L’interesse principale di ENI nella regione è quello di costruire infrastrutture e negoziare accordi politico-commerciali per collegare più efficacemente le risorse energetiche kazake e turkmene al “rubinetto azero”, cioè a quel complesso di gasdotti/oleodotti che portano direttamente all’Italia e, attraverso l’Italia, all’Europa centrale. L’interesse della politica estera italiana è quindi quella di mantenere ottimi rapporti con il governo azero, necessari per completare un disegno modellato sugli interessi di ENI, utilizzando la convergenza con gli interessi strategici degli altri partner alla pari nella North Caspian Operating Company (NCOC), Exxonmobil (USA), Shell (Gran Bretagna e Olanda) e Total (Francia) che puntano a ridurre la dipendenza energetica europea dal gas russo per conquistare nuove quote di mercato (stimabile tra i 100 e i 150 miliardi di dollari ogni anno).

A dimostrazione dei buoni rapporti tra Italia e Azerbaijan durante la visita di stato del Febbraio scorso il Presidente della Repubblica Mattarella ha dichiarato:

“Per l’Italia l’Azerbaijan è un Paese amico ed è un partner fondamentale nella regione […] Con la conclusione dei lavori del Trans Adriatic Pipeline (TAP), non soltanto si intensifica la collaborazione tra Azerbaijan e Italia, ma è anche un contributo alla stabilità e allo sviluppo delle relazioni tra l’aerea del Caspio e l’area del Mediterraneo”. (Per il testo completo vedere [29])

La posizione della Federazione Russa

La crisi armeno-azera avviene evidentemente in un’area di influenza contesa anche dalla Russia, che ha importanti investimenti in entrambi i paesi. I monopoli russi partecipano alla spartizione dei diritti di estrazione di gas e petrolio assieme ai monopoli europei e sono fornitori militari di entrambe le parti. La posizione internazionale dell’Azerbaijan è di cooperazione militare attiva con la NATO, durante la guerra in Afghanistan e Iraq ha fornito infatti supporto logistico smarcandosi sensibilmente dall’influenza strategica della Federazione Russa.

I rapporti tra Federazione Russa e Armenia sono di maggiore dipendenza economica e strategica, anche se per nulla stabili dopo il 2018. Nel 2018 la cosiddetta Rivoluzione di Velluto ha portato al governo l’attuale primo ministro Nikol Pashinyan (all’epoca leader delle proteste), con grande plauso di USA e UE, allontanando dalla scena politica l’ex presidente Serž Sargsyan, indicato come molto più vicino agli interessi del governo russo. Il governo russo si trova quindi nella delicata posizione di dover difendere gli interessi dei monopoli russi in Azerbaijan, dove nei piani europei gli azeri dovrebbero, nel medio periodo, sostituire le forniture russe in Europa, e contestualmente appoggiare il governo di un paese strategico nel Caucaso meridionale come l’Armenia, che negli ultimi anni si stava progressivamente allontanando dalla sfera economica russa. Non c’è dubbio che uno degli obiettivi dell’intervento diplomatico, economico ed eventualmente militare russo nel conflitto armeno-azero sia quello di riportare stabilmente l’Armenia nella propria sfera di influenza strategica ed economica. Sradicare quindi la crescente influenza economica e politica europea e americana in Armenia, sostenerne gli sforzi senza però danneggiare i forti interessi economici dei monopoli russi in Azerbaijan.

Non è certamente un caso infatti che l’oligarca russo molto vicino al Cremlino e presunto proprietario della società di sicurezza russa WAGNER, Yevgeny Viktorovich Prigozhin, in un’intervista rilascia al quotidiano nazionalista turco Aydinlik  (riportato dall’agenzia stampa russa REGNUM) abbia dichiarato che:

“Dopo la rivoluzione arancione del 2018, cioè con l’ascesa al potere di Pashinyan, un numero molto elevato di ONG americane è apparso sul territorio dell’Armenia. Questo è il nocciolo del problema”, aggiungendo che “I turchi hanno il pieno diritto legale di intervenire nel conflitto del Karabakh a meno che non attraversino il confine armeno”. [26][27]

Per completezza di informazioni è bene menzionare che tra il 21 e il 26 settembre (il giorno precedente all’inizio dei combattimenti) nella zona si sono svolte le esercitazioni russe legate a “Kavkaz-2020” (Caucaso 2020) a cui hanno partecipato formazioni militari terrestri e navali di Armenia, Bielorussia, Cina, Myanmar, Pakistan e Iran. Le esercitazioni si sono concentrate nel Caucaso settentrionale, nel Mar Caspio e in Armenia (con l’attività delle sole forze russe e armene).[28]

La posizione della Turchia

La posizione del governo turco sullo scontro militare di questi giorni è stata sin da subito quella di sostenere gli sforzi militari del governo azero, è l’unico infatti che non ha ufficialmente richiamato ufficialmente la possibilità di aprire tavoli di negoziato. Questo perché i monopoli turchi hanno l’evidente necessità di alterare lo status quo nell’area, acquisire un maggiore peso politico-economico in Azerbaijan, anche da far valere su altri scenari (Libia e Mediterraneo orientale).

La posizione acquisita dalla Turchia con la realizzazione dei gasdotti TANAP-TAP (uno dei risultati diretti del protagonismo turco nel contesto dell’intervento imperialista in Siria dal 2012 ad oggi) è indubbiamente una posizione di una certa forza negoziale rispetto al confronto con i monopoli europei (soprattutto italiani e britannici) e con quelli russi.

Il primo ministro Erdogan ha dichiarato negli scorsi giorni che “la Turchia resterà con ogni mezzo accanto all’amico e fratello Azerbaigian”, e l’abbattimento armeno di almeno un caccia turco e la notizia della presenza al fianco delle truppe azere di milizie islamiste legate all’organizzazione dei Fratelli Musulmani (SFA e altri gruppi provenienti da Cecenia e Daghestan) lasciano pochi dubbi su un forte coinvolgimento diretto del governo turco.

La necessità immediata e dichiarata dei monopoli turchi oggi è di ottenere il riconoscimento di diritti estrattivi nel mediterraneo orientale nella ZEE, per incassare la sicurezza di una loro integrazione almeno parziale al sistema di trasporto energetico del cosiddetto “corridoio meridionale del gas” e non rimanere escluso dai progetti di realizzazione del gasdotto EastMed che avrà la funzione di diversificare ulteriormente le fonti di approvvigionamento europeo e che oggi rappresenta la base delle recenti ottime relazioni tra Grecia, Israele ed Egitto.

La strategia energetica turca infatti prevede che il paese diventi un protagonista delle rotte commerciali del gas, non solamente attraverso il corridoio del gas meridionale ma anche attraverso il Turkstream appena realizzato con cui i monopoli russi possono inserirsi nella rete di distruzione verso l’Europa con una capacità di 31 miliardi di metri cubi l’anno, senza passare per i gasdotti ucraini.

Risulta quindi centrale nella strategia dei monopoli turchi non essere esclusi dall’eventuale realizzazione del progetto EastMed o addirittura minarne la fattibilità, e mantenere rapporti stabili con i paesi chiave della regione, come appunto l’Azerbaijan, rafforzando la propria influenza politica e la presenza economica in quei paesi.

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Fonti

[1]: https://www.britannica.com/topic/history-of-Transcaucasia

[2]: https://www.britannica.com/event/Armenian-Genocide

[3]: https://bakucity.preslib.az/en/page/wJy7ikz4Is

[4]: https://journals.openedition.org/pipss/1623

[5]: https://www.britannica.com/place/Nagorno-Karabakh

[6]: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/01/nagorno-karabakh-30-anni-fa-il-pogrom-di-baku-simbolo-di-una-guerra-cristallizzata-nel-tempo-non-ci-arrenderemo-mai/5642693/

[7]: https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/X2H-Xref-ViewHTML.asp?FileID=11283&lang=EN

[8]: https://en.wikipedia.org/wiki/Nagorno-Karabakh_War

[9]: https://en.wikipedia.org/wiki/Political_status_of_Nagorno-Karabakh

[10]: https://www.lordinenuovo.it/2020/07/16/si-riaccende-il-confronto-militare-tra-armenia-e-azerbajdzan/

[11]: https://www.arkansasonline.com/news/2020/jul/17/border-fight-heats-up-in-south-caucasus/

[12]: https://www.bbc.com/news/world-europe-54314341

[13]: https://oc-media.org/breaking-stepanakert-shelled-as-azerbaijan-launches-counter-attack/

[14]: https://www.thedrive.com/the-war-zone/36777/everything-we-know-about-the-fighting-that-has-erupted-between-armenia-and-azerbaijan

[15]: https://www.trtworld.com/asia/azerbaijan-kills-over-a-dozen-armenian-servicemen-in-karabakh-fighting-40084

[16]: https://tass.com/world/1206705

[17]: https://www.bangkokpost.com/world/1993707/heavy-losses-claimed-as-armenia-azerbaijan-fighting-rages

[18]: https://www.trtworld.com/turkey/erdogan-to-armenia-end-occupation-of-karabakh-40109

[19]: https://www.hurriyetdailynews.com/turkey-to-support-azerbaijan-with-all-its-means-against-armenias-attacks-158629

[20]: https://www.theguardian.com/world/2020/sep/30/nagorno-karabakh-at-least-three-syrian-fighters-killed

[21]: https://militarywatchmagazine.com/article/russian-aiding-armenia-to-boost-its-air-force-also-offers-advanced-mig-35-jets-to-azerbaijan

[22]: https://www.reuters.com/article/armenia-azerbaijan-casualties-int/three-armenian-civilians-killed-in-nagorno-karabakh-town-armenian-state-media-idUSKBN26L23T

[23]: https://www.b92.net/eng/news/world.php?yyyy=2020&mm=09&dd=28&nav_id=109331

[24]: https://www.rbc.ru/politics/01/10/2020/5f762e899a7947b4f9476c3a.

[25]: https://lenta.ru/news/2020/10/01/posol/

[26]: https://aydinlik.com.tr/haber/wagner-in-sahibi-olarak-gosterilen-prigojin-aydinlik-a-konustu-karabag-sorununa-mudahale-turkiye-nin-hakki-219560-1

[27]: https://regnum.ru/news/polit/3078837.html

[28]: http://eng.mil.ru/en/mission/practice/all/kavkaz-2020.htm

[29]: https://www.quirinale.it/elementi/44390

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