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Il fondo Pino Rauti, tra mistificazioni e omissioni

di Emiliano Tessitore

Con la pubblicazione da parte della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma dell’inventario d’archivio del Fondo Pino Rauti avvenuta il 19 Novembre, si sono verificate pratiche nel migliore dei casi di omissione storica e nel peggiore di mistificazione del soggetto produttore, che nell’insieme costituiscono l’ennesimo sintomo in campo archivistico di una mai avvenuta cesura dell’Italia con il proprio passato fascista.

Per cominciare intanto spieghiamo che il Fondo Pino Rauti è un archivio di persona. Una delle caratteristiche di questa tipologia di archivi è senza dubbio l’esposizione a manomissioni, scarti preventivi di materiali “scomodi” da parte del soggetto produttore, disattenzioni talvolta dolose da parte di chi ha raccolto e donato il materiale documentario, e mille altri fattori che impediscono al fondo in questione di restituire in maniera veritiera l’immagine della persona fisica che ha prodotto o acquisito quei documenti.

All’orecchio di una qualunque persona dotata di spirito critico il primo allarme scatta sapendo che il fondo, dichiarato di interesse storico particolarmente importante nel 2017 dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio, è stato donato nel 2018 da Isabella Rauti, figlia del soggetto produttore e Senatrice della Repubblica Italiana eletta con il partito di destra Fratelli d’Italia. Va da sé che il legame famigliare, ma soprattutto la quasi totale continuità politica tra chi ha consegnato il fondo e il soggetto produttore, rendano plausibile che le carte siano state oggetto di pratiche archivistiche “poco ortodosse” prima della donazione.

Se consideriamo poi che Pino Rauti è stato un personaggio costantemente coinvolto in dinamiche torbide, oltre che ben consapevole, come lui stesso dichiara in un documento (tra l’altro citato sul sito della BNCR), del potere di un archivio, capiamo che il quadro è particolarmente complicato e meritevole di attenzioni.

In un certo senso tutto ciò fa parte del gioco, se si considera l’effettiva impossibilità di regolare la conservazione e la gestione dei documenti archivistici di privati cittadini, e ci si deve fare i conti, sapendo che il fondo non rispecchia il soggetto produttore, ma sé stesso.

Le criticità che sono emerse nel dettaglio riguardano le responsabilità del soggetto conservatore in campo informativo e divulgativo inerente all’archivio in questione.

La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma non ha dato infatti i minimi segnali di voler fornire gli strumenti per un’interpretazione critica dei contenuti del Fondo Pino Rauti nei suoi limiti, ma al contrario si è mossa nella direzione opposta.

E’ stata infatti inviata agli utenti della biblioteca una e-mail a dir poco vergognosa, in cui oltre a comunicare che non si sarebbe svolto l’evento di presentazione del fondo (sarebbe stato divertente assistervi per vedere fino a dove si sarebbe spinto il loro “revisionismo” storico), si presentava un profilo del soggetto produttore totalmente fuorviante e adulatorio.

Nel testo si legge infatti di un Pino Rauti intellettuale “organizzatore, pensatore, studioso, giornalista […] Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”, e praticamente nessun riferimento al suo ruolo nella repressione delle bande partigiane durante la Resistenza, dei suoi legami con l’estrema destra eversiva, quella stessa che in Italia organizzava stragi di civili, se non per dei velocissimi e poco esaustivi passaggi scritti dallo stesso. Il tutto poi viene condito sul finale dalle dichiarazioni strappalacrime della già citata Isabella Rauti, sviando ulteriormente l’attenzione da quella che è stata la reale natura del soggetto produttore.

Tutto ciò è senza dubbio preoccupante, se si considera il trattamento criminale che storicamente è stato applicato a documenti inerenti al fascismo e all’estrema destra in Italia, come ad esempio il nascondimento di fascicoli legati alle stragi dei nazi-fascisti durante la guerra nel cosiddetto “armadio ella vergogna”, o all’eliminazione fisica di interi faldoni riguardanti l’organizzazione paramilitare “Gladio” il giorno stesso in cui ne veniva denunciata l’esistenza.  Sicuramente il Fondo Pino Rauti non è il frutto di pratiche tanto indecenti quanto le due citate, ma senza dubbio nelle modalità con cui si è articolato va a comporre quel grande mosaico di pratiche che nel nostro paese tentano di sdoganare il fascismo cercando di modificarne la memoria. Gesti come la goffa e poco tempestiva censura da parte del ministro Franceschini della pagina pubblica riguardante l’archivio non bastano a cambiare questo fatto.

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