di Giovanni Ragusa
La pandemia da Covid-19, che ormai da un anno imperversa sul pianeta, ha messo sotto gli occhi di tutti le grandi contraddizioni che si dipanano nella società odierna. In particolare nel settore della sanità, e l’Italia non fa eccezione. Dallo scoppio dei primi casi è emerso immediatamente un limite strutturale nel nostro Sistema Sanitario Nazionale, incapace di soddisfare le immense necessità che il virus ha messo all’ordine del giorno: assenza di posti letto, terapie intensive e soprattutto personale; mancanza di strutture ospedaliere, visto lo spropositato numero di chiusure di ospedali e reparti degli ultimi 20 anni. Una tendenza che oggi emerge particolarmente in una regione, la Calabria, divenuta teatro paradigmatico dello scontro tra interessi privati e necessità sociali nel settore della sanità.
Una recente notizia ci informa che la giunta regionale ha accettato di far processare i tamponi per i 4 ospedali hub calabresi a 10 laboratori privati del territorio. Una scelta che non lascia spazio ad interpretazioni: viste le enormi difficoltà del pubblico a svolgere queste operazioni, una volta di più, in Calabria come in tutto il territorio nazionale, si lascia il diritto alla salute nelle mani di chi lucra sulle spalle delle classi popolari. La situazione è paradossale poiché, ad oggi, la Regione è sprovvista di un nomenclatore dei costi delle varie prestazioni, dovendo quindi affidarsi a quelli ministeriali che, in sintesi, fissano il prezzo orientativo di un tampone e della sua processazione intorno ai 160€. Si tratta di una spesa che verrà demandata alla Regione, la quale farà affidamento ai fondi emergenziali stanziati dal governo per rimborsare ogni singola prestazione.
Proprio qui emerge chiaramente la contraddizione: nonostante negli ultimi 20 anni la sanità privata abbia ricevuto un’infinità di fondi dallo Stato, che ha tagliato ben 37mld€ al pubblico nello stesso periodo, si continua a delegare ai laboratori privati un’attività tanto essenziale quanto dispendiosa come quella dell’elaborazione dei tamponi ospedalieri. Il tutto con soldi pubblici, frutto delle tasse pagate principalmente dai lavoratori, non certo da quei grandi industriali che sobbalzano sulla sedia solo a sentire la parola “patrimoniale”.
Anche nel mezzo della più grande crisi economica e pandemica dell’ultimo secolo vediamo quindi riconfermata una verità storica a noi ben nota: le necessità reali della società vengono sempre dopo il profitto dei padroni. Il nostro lavoro, che ha mantenuto in piedi un paese in condizioni di sfruttamento e repressione sindacale ottocentesche, viene ricompensato così, vedendoci sottrarre il nostro diritto alla salute da quel comitato d’affari della classe borghese che è lo Stato italiano e, più in piccolo, la giunta regionale calabrese, che oggi decide di favorire per l’ennesima volta chi ha lucrato sulle nostre disgrazie. Il tutto mentre sulla Calabria continua a pesare un piano di rientro dal debito pubblico regionale che costa alle classi popolari lo 0,30% in più di Irpef, con costi maggiorati su accise e ticket, per un totale di 30.7mln€ annui sborsati dalla Regione ad un tasso annuo sul debito del 5.89%: in poche parole, un’usura legalizzata in cui lo Stato è il cravattaro dei lavoratori calabresi. Come se non bastasse, mentre vengono elargiti nuovi fondi ai privati, si continuano a tenere chiusi circa 20 ospedali, attrezzati e pronti ad operare per il territorio: troppo rischioso riaprirli, toglierebbero una fetta di profitto immensa ai padroni della sanità privata.
A chi obietta che in questo momento, viste le mancanze del pubblico, i privati possono dare una grossa mano, ricordiamo che se oggi il pubblico versa nella situazione a noi tutti nota (appena 3,2 posti letto ogni 1000 abitanti, pari a 191mila posti totali in tutto il paese, erano 530mila nel 1981; 2545€ a persona per la sanità pubblica a fronte di una media OCSE pari a 3038€) la colpa è di precise scelte politiche che hanno distrutto un Sistema Sanitario Nazionale costruito dalle lotte dei lavoratori negli anni ’70. Passare da quel modello, esempio di eccellenza e gratuità (seppur un modello che presentava palesi limiti e contraddizioni), al triste scenario odierno fatto di privatizzazioni e aziendalizzazione, ci deve far riflettere su quanto le conquiste della classe lavoratrice siano provvisorie se non mantenute con la lotta. Una lezione fondamentale, da ricordare in questo momento in cui la classe padronale sta lanciando una nuova offensiva contro i lavoratori, tentando di strappare fino all’ultima tutela rimastaci, fino all’ultimo centesimo ancora nelle nostre tasche.