di Giorgio Pica
L’aborto è finalmente legge in Argentina. 30 dicembre 2020, sono le 4:10 del mattino a Buenos Aires, le 8:10 qui in Italia, quando dopo quasi 12 ore di dibattito parlamentare il Senato argentino si esprime sul disegno di legge promosso dal governo del peronista Alberto Fernandez che dà il via libera alla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza: 38 voti a favore, 29 contro e 1 astensione, il Senato approva la legge già approvata alla Camera. L’Argentina diventa il terzo stato dell’America Latina, dopo Cuba e l’Uruguay (quest’ultimo nel 2012), a riconoscere alle donne il diritto all’aborto.
Un risultato storico ottenuto dopo anni e anni di grandi mobilitazioni di piazza del movimento per l’aborto legale, denominato “la marea verde” per l’ormai famoso (fazzoletto verde) che ha assunto come simbolo, di cui fanno parte numerose organizzazioni femministe, sociali e di classe, a dimostrazione ancora una volta che solo la lotta paga. “Oggi si materializza la sintesi di tanti anni di lotta del movimento femminista. In questa lotta noi comunisti, in ogni passo della nostra storia, abbiamo messo tutto il corpo e la forza per garantire il diritto a decidere”, così in un comunicato la Federazione Giovanile Comunista dell’Argentina, “È il risultato di anni di lotta che abbiamo sostenuto e che si scontra direttamente contro il nucleo più duro del conservatorismo neocoloniale sostenuto nella nostra regione e nel mondo” afferma Solana López, responsabile delle questioni di genere del Partito Comunista dell’Argentina.
Lo scorso 11 dicembre la Camera dei deputati argentina aveva approvato la proposta con 131 voti favorevoli, 117 contrari e 6 astenuti relegando così la decisione definitiva al Senato. Il timore era però che si ripetesse una situazione analoga a quanto accaduto due anni fa quando, dopo l’approvazione della Camera di una proposta di legge simile ma di iniziativa popolare durante il governo Macri, seguì poi la bocciatura del Senato con 38 voti contrari e 31 favorevoli dando luogo a grandi proteste di massa da parte del movimento per l’aborto legale3. Le cose però sono però andate diversamente questa volta.
In Argentina, secondo una normativa che si rifaceva al codice penale del 1921, l’aborto era fino a ieri considerato reato penale e punibile quindi col carcere. L’eccezione all’autorizzazione dell’aborto nei soli casi di stupro e di pericolo per la vita della madre venne introdotta solo nel 2015 sulla base di una sentenza della Corte Suprema del 2012, anche se in molte aree del paese spesso anche in questi casi l’aborto veniva ostacolato. Una situazione che costringeva le donne a ricorrere all’aborto in clandestinità rischiando così la vita e il carcere: a rimetterci erano soprattutto le donne delle classi popolari e con minori risorse economiche, che non potendosi permettere cliniche private erano costrette ad abortire in situazioni molto precarie aumentando così esponenzialmente i rischi. “Le donne ricche abortiscono, le donne povere muoiono”, è questo quello che si legge su alcuni cartelli delle donne presenti nelle piazze, sottolineando come la legalizzazione dell’aborto non sia solo un diritto civile ma sia profondamente anche un’importante atto di giustizia sociale.
Secondo i rapporti della Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito, movimento nato 15 anni fa a cui aderiscono più di 300 organizzazioni e tra i principali sostenitori della legalizzazione dell’aborto, ogni anno nel paese avvenivano tra i 370 e i 520 mila casi aborti clandestini, di questi sono circa 50mila le donne che venivano ricoverate annualmente per complicazioni5, mentre si calcola che le donne morte a causa di aborti clandestini dal 1983 siano più di tremila. Inoltre solo dal 2019 sono più di 800 i casi di processi penali avviati contro donne che hanno abortito. La legge approvata garantirà invece un diritto all’aborto legale, gratuito e sicuro fino alla 14esima settimana di gestazione, mentre nei casi di stupro e pericolo della vita della madre si potranno superare anche le 14 settimane. Tuttavia la legge presenta aspetti più arretrati rispetto a quella bocciata nel 2018 che secondo molte organizzazioni rischiano di impedire nei fatti in molte aree del paese, soprattutto quelle più conservatrici, l’esercizio effettivo del diritto all’aborto: è prevista infatti la possibilità di obiezione di coscienza non solo per personale sanitario e non ma anche per le istituzioni sanitarie. Il che concretamente significa che molti ospedali, soprattutto quelli vicini alla Chiesa, che si dichiareranno obiettori non garantiranno l’esercizio del diritto all’aborto. Un problema quello dell’obiezione di coscienza che purtroppo conosciamo molto bene anche nel nostro paese dove attualmente il 70% dei ginecologi è obiettore di coscienza così come il 47,5% degli anestesisti e il 45% del personale non medico, con un’ampia variazione regionale, in particolare al Sud, dove le percentuali possono anche arrivare al 90%.
Tornando all’Argentina, è la Chiesa Cattolica, che in quel paese ha infatti un profondo peso sulla politica e la vita pubblica paragonabile a quello che aveva in Italia nel secondo dopoguerra, che è stata sempre in prima fila nell’ostacolare l’approvazione della legge, presentata per nove volte alla Camera negli ultimi anni, approvata solo due e oggi finalmente approvata anche al Senato. Anche in questa occasione infatti le organizzazioni anti-aborto cosiddette “pro-vita”, che nelle loro apparizioni pubbliche si contraddistinguono dall’uso fazzoletti azzurri in opposizione a quelli verdi, hanno ricevuto il supporto diretto della Conferenza episcopale locale. Lo stesso Papa Francesco, argentino, che sembra essere diventato il nuovo idolo del centro-sinistra nel nostro paese, è intervenuto sulla questione schierandosi apertamente contro l’aborto in una lettera in cui esprimeva il proprio supporto al gruppo antiabortista delle “Mujeres de las villas” affermando che “il Paese è orgoglioso di avere donne così” sostenendo il solito dogma religioso per cui l’aborto sarebbe un omicidio. Non è d’altronde la prima volta che il Papa si scaglia contro il diritto delle donne di decidere sul proprio corpo, in altre occasioni infatti aveva definito l’aborto un crimine paragonato a “quello che fa la mafia” o addirittura all’assumere un sicario.
Le cose sono cambiate però rispetto a due anni fa, da oggi l’aborto è finalmente legge in Argentina e ciò potrebbe avere un impatto dirompente anche in tutti gli altri paesi dell’America Latina dove il movimento per l’aborto argentino ha da tempo espanso la sua influenza. “Educazione sessuale per decidere, contraccettivi per non abortire, aborto legale e sicuro per non morire”, da oggi queste parole d’ordine lanciate nel 2005 dalla “Campaña” sono finalmente legge ma, come sappiamo bene anche in Italia, la legalizzazione formale è solo il primo passo per l’esercizio sostanziale di un diritto, per cui la lotta per il diritto all’aborto gratuito e sicuro non può esaurirsi, né in Argentina né in Italia, con l’approvazione di una legge ma deve continuare giorno per giorno contro l’obiezione di coscienza, l’oscurantismo religioso e ogni ostacolo di natura classista che impedisce a questo diritto di essere effettivamente garantito.