di Francesca Antonini
Sin dall’inizio della pandemia è stato chiaro che uno strumento fondamentale per il contrasto al covid-19 sarebbe stato il vaccino. È una tappa fondamentale nella gestione di un’emergenza sanitaria come questa, e oggi diventa fondamentale affermare la necessità di un’ampia campagna di vaccinazioni, che non lasci indietro nessuno e che sia accessibile a tutta la popolazione. Questa innegabile verità medica e scientifica, che resta tale per buona pace dei no-vax, non cancella le profonde contraddizioni che oggi emergono attorno alla questione dei vaccini e che sono il prodotto della gestione capitalistica della pandemia che è sotto i nostri occhi.
Da una settimana la campagna di vaccinazione anti COVID-19 è iniziata in tutta Europa: 9750 dosi di vaccino Pfizer-Biontech sono state spedite dal Belgio all’ospedale Spallanzani di Roma per l’avvio simbolico della campagna, in cui il vaccino è stato somministrato ai primi operatori sanitari. A questo seguirà l’invio di 470.000 dosi ogni settimana, che verranno somministrate alla popolazione sul territorio nazionale in accordo con i criteri definiti nel “Piano strategico per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19”.
Durante questi mesi abbiamo assistito ad una corsa contro il tempo per la produzione di un vaccino che fosse in grado di arginare la diffusione del covid-19. Sono 6 le case farmaceutiche protagoniste degli accordi firmati da Bruxelles: Pfizer BioNTech, AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sanofi\GSK, CureVac e Moderna. All’Italia spetta nel complesso il 13,46% dei vaccini acquistati dall’Ue, cioè 202,573 mln di dosi che potrebbero costare circa 1,5 miliardi di euro. Attualmente l’unico vaccino approvato dall’EMA è quello di Pfizer-Biontech a cui dovrebbe seguire anche Moderna, mentre per le altre aziende produttrici il via libera non è ancora stato programmato.
È notizia di pochi giorni fa che la Germania ha deciso di acquistare una quota aggiuntiva di vaccini Pfizer-Biontech, oltre a quella già assicurata da Bruxelles; con 30 milioni di dosi in più la Germania potrà contare su 136,8 milioni di vaccini a gennaio.
Eloquente in questo contesto è l’appello lanciato da Ugur Sahin, il capo della startup tedesca BioNTech che produce il vaccino con Pfizer: le dosi non basteranno perché la UE, che si attendeva l’arrivo di altri vaccini, ne ha ordinate poche. Un modo elegante per dire alla UE che avrebbe dovuto scommettere di più sul loro vaccino e sborsare diversi milioni in più, cosa che probabilmente avverrà.
Un elemento altrettanto allarmante sono i dati emersi da una ricerca della “People’s Vaccine Alliance” secondo cui oltre la metà dei prodotti vaccinali è stata già acquistata dai Paesi più ricchi, dove vive il 14% della popolazione mondiale. Secondo queste stime 9 persone su 10 in paesi poveri rischiano di non vaccinarsi. Il 96% delle dosi Pfizer, infatti, è stato acquistato da paesi ad alto reddito e anche il vaccino Moderna andrà esclusivamente nei Paesi più ricchi; almeno 189 nazioni hanno già chiesto aiuto all’Oms.
Dunque, mentre Stati Uniti ed Europa iniziano le campagne di immunizzazione, molte altre nazioni attualmente non possono permettersi di comprare dosi di siero sufficienti per l’intera popolazione: almeno 67 Paesi a medio e basso reddito rischiano di poter vaccinare solo un numero esiguo di abitanti. Inutile dire che la proposta di una moratoria sui brevetti nel periodo della pandemia, che anche alcuni governi avevano formulato e che avrebbe consentito la produzione libera del vaccino, è caduta nel vuoto. L’unico vaccino che promette di essere distribuito nelle regioni a basso reddito è quello di AstraZeneca, più accessibile in termini di costi. Il rimedio, realizzato dall’Università di Oxford con l’azienda svedese, non è stato ancora approvato dall’Ema poiché i dati rilevati dai trials clinici appaiono non sufficientemente consistenti dal punto di vista dell’efficacia, mentre ha ottenuto il via libera dall’India.
I dati sopra riportati non possono che aprire a delle riflessioni: la produzione del vaccino è stata completamente demandata ai grandi monopoli del settore farmaceutico, che dalla distribuzione hanno ottenuto numerosi vantaggi sul mercato.
I monopoli farmaceutici, a fronte della massiccia iniezione di finanziamenti pubblici nella ricerca, hanno imposto agli stati forzature nelle condizioni e l’assunzione di responsabilità. In un mondo in cui le regole del profitto gestiscono ogni aspetto della vita umana, ecco vedere trasformata la salute in una merce che, tanto quanto il vaccino, è dotata di un proprio valore di scambio ed è soggetta alle tempistiche dettate dal mercato; una merce garantita in modo direttamente proporzionale alla potenza economica degli Stati. Il vaccino, in una situazione di emergenza mondiale (81.159.096 casi confermati nel mondo dall’inizio della pandemia), dovrebbe essere un bene gratuito, garantito per tutti e slegato dalle logiche del profitto. Emerge, in altre parole, la profonda irrazionalità del sistema capitalista e della anarchia della produzione che lo caratterizza, che fa sì che anche dinanzi a un’emergenza globale la gestione venga demandata all’attività dei grandi monopoli invece che essere riportata sotto il controllo collettivo.
Durante il periodo di pandemia sono emerse più forti che mai le contraddizioni sistemiche della fase attuale. Le carenze dal punto di vista strutturale del SSN hanno giocato un ruolo importante nella colpevole impreparazione e nella carente gestione dell’emergenza: frutto di tagli trentennali alla sanità pubblica, al campo della ricerca e di ridimensionamenti nella medicina di prossimità; si è optato per risparmiare in finanziamenti, personale, posti letto, servizi di prevenzione e territoriali, puntando a privatizzare una quota sempre maggiore di assistenza sanitaria. Quello che davvero è mancato è una programmazione socio-sanitaria volta a garantire il diritto alla salute attraverso una rete di servizi integrati.
In questo contesto il vaccino è da intendersi nel suo valore di prevenzione primaria: come un elemento che, se inserito all’interno di un piano più ampio di potenziamento dell’assistenza sanitaria, è in grado di esercitare un ruolo rilevante nell’arginare la pandemia. Non è di certo questo il messaggio che lascia intendere l’intensa operazione mediatica scatenata intorno alla produzione del vaccino, che è stato fatto passare come l’unica soluzione -e perdipiù definitiva- alla diffusione del virus, relegando ad un ruolo puramente secondario e marginale le grandi mancanze del nostro Sistema Sanitario. La realtà risiede nel fatto che le carenze strutturali sono funzionali all’apertura di settori di mercato che servono a mercificare elementi, come il vaccino e la salute in generale. Si sceglie di non intervenire per colmare le carenze dei servizi essenziali, come quelli relativi alla salute, in modo da lasciare spazio ad opportunità di profitto, sia che questo si concretizzi nell’apertura del nostro SSN ai privati sia che si concretizzi in una gara al miglior offerente per la disponibilità del vaccino.
Un caso a parte, slegato dalle logiche di competizione del mondo capitalistico, è rappresentato da Cuba che, pur sottostando ad un embargo economico che ha subito notevoli irrigidimenti durante l’ultima amministrazione Trump, in modo del tutto autonomo è stata in grado di produrre due vaccini che stanno raggiungendo le ultime fasi di sperimentazione: il Soberana 1 e il Soberana 2. Il vaccino cubano, che dovrebbe essere disponibile entro la prima metà del 2021, sarà gratuito e disponibile per tutti. “Cuba produce in casa 8 dei 12 vaccini che entrano nel programma nazionale di immunizzazione” – ha affermato in merito il ricercatore italiano Fabrizio Chiodo, che sta collaborando alla produzione dei vaccini cubani, in un’intervista rilasciata a “Il Manifesto”. Dunque, anche dal punto di vista della ricerca, Cuba rappresenta un punto di riferimento e lo fa affidandosi ad Istituti ed industrie biotecnologiche avanzate, pubbliche e slegate dalle logiche del profitto. In un sistema sanitario realmente pubblico come quello cubano, in cui si riscontra il più alto tasso di medici per singolo abitante a livello mondiale, non sono emerse criticità nelle prime fasi di tracciamento della diffusione del virus: dato che ha contribuito in maniera importante ad una percentuale di guarigione che supera il 98%. Questo potrebbe essere l’esempio lampante della perfetta coesione tra medicina di prossimità e sviluppo farmacologico, in cui il secondo si innesta su un substrato già stabilizzato di servizi integrati, di investimenti nell’assistenza sanitaria, nella ricerca e nella formazione.
È evidente che oggi si pone in tutto il mondo, Italia compresa, la questione di quali criteri orienteranno la somministrazione dei vaccini in ciascun paese. Le prime dosi verranno somministrate, giustamente, ai lavoratori della sanità e alle persone anziane. Ma già ora emergono le prime contraddizioni; ad esempio, gli specializzandi nella sanità saranno vaccinati solo dopo i dipendenti. Una “priorità” che sembra fissata non in base al rischio di esposizione effettiva al contagio, ma piuttosto dettata dalla diversa situazione giuridica. Nei mesi seguenti, e verrebbe da dire per tutto il corso del 2021, la rivendicazione di un vaccino gratuito e garantito a tutta la popolazione dovrà essere una battaglia fondamentale, e parte integrante della nostra lotta contro la gestione padronale della pandemia e della crisi economica. Chi parla di “libertà di non vaccinarsi” e di rinunciare a una prestazione sanitaria che oggi va al contrario garantita a tutti, rischia davvero di diventare utile a chi sarebbe ben contento di limitare l’accesso delle classi popolari alle prestazioni sanitarie e vincolare anche quelle essenziali come questa alla logica del profitto.