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Uccisi due volte: la strage di Viareggio e il valore della giustizia borghese

di Daniele Bergamini

La Corte di Cassazione si è pronunciata due giorni fa sulla strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009.

La sentenza emessa ha fatto decadere in seguito alla prescrizione le condanne per i reati di omicidio colposo e violazione delle norme relative alla sicurezza sul lavoro. Non solo, i dirigenti delle Ferrovie dello Stato e delle altre società coinvolte, tra cui Gatx e Jungenthal, saranno giudicati dalla Corte d’Appello di Firenze esclusivamente per il reato di disastro ferroviario colposo, salvo Mauro Moretti che avendo rinunciato alla prescrizione sarà giudicato anche per il reato di omicidio colposo.

La strage e il processo

Il 29 giugno 2009, alle ore 23:48, un treno merci, che trasporta cisterne (di proprietà dell’impresa americana Gatx) contenenti GPL, deraglia durante il passaggio alla stazione di Viareggio. L’impatto fa esplodere la prima cisterna, innescando una reazione a catena con il resto del carico: l’incendio si diffonde subito a tutta la  stazione di Viareggio. Mentre i macchinisti riescono a mettersi in salvo – grazie alla relativamente bassa velocità del convoglio – nell’immediato muoiono 11 persone, vittime delle fiamme o del crollo degli edifici, altri moriranno in seguito a causa delle ustioni e delle ferite riportate. Il bilancio ufficiale recita 32 morti e 25 feriti, senza tenere però conto delle due persone morte di infarto per lo shock dell’evento.

Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Lucca e la relazione della Commissione Ministeriale di Indagine del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti confermano quanto sostenuto le perizie di parte dei familiari delle vittime. La causa del deragliamento è da addebitarsi alla mancata manutenzione di un componente dell’assile del primo carrello del primo carro cisterna, rottosi per usura. Non solo, il componente in questione era già difettoso quando l’officina tedesca Jungenthal (responsabile della sicurezza delle cisterne) lo avrebbe inviato in Italia per essere installato. La prima cisterna si squarciò poi a causa dell’urto contro un picchetto di regolamentazione della curva. Questo picchetto non doveva essere là, dal momento che la Rete Ferroviaria Italiana dal 2001 aveva provveduto a sostituirli con tecnologie informatiche. Tutti e 33 gli imputati al processo sono stati accusati, a vario titolo, di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali. I primi due gradi di giudizio, rispettivamente presso il Tribunale di Lucca e la Corte d’Appello di Firenze, hanno confermate le seguenti condanne: 7 anni e 6 mesi di carcere a Michele Mario Elia (amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana) e a Vincenzo Soprano (ex ad di Trenitalia e FS Logistica), 7 anni di carcere a Mauro Moretti (amministratore delegato di Ferrovie dello Stato). Pene più elevate – nonostante la Procura le avesse richieste anche per i vertici delle ferrovie italiane – sono state comminate ai dirigenti dell’americana Gatx e della tedesca Jungenthal. 

La sentenza della Cassazione: l’ultimo passo di un processo a difesa dei padroni

Quanto stabilito dalla Corte di Cassazione è particolarmente grave. I dirigenti imputati risultano intoccabili, e la responsabilità relativa ai 32 morti (più i feriti e gli sfollati) non è stata accertata dal momento che i responsabili verranno processati solo per il disastro ferroviario, con l’eccezione di Moretti.

La Cassazione ha quindi ribaltato ciò che era stato stabilito dal Tribunale di Lucca e dalla Corte d’Appello di Firenze nelle udienze che si sono tenute negli anni per accertare le responsabilità e le pene. Questa sentenza si inserisce già nel quadro di un processo estremamente favorevole ai dirigenti e ai padroni. Da un lato, infatti, Moretti e gli altri vertici del sistema ferroviario italiano avevano già ottenuto pene dimezzate (7 anni) rispetto alle richieste della Procura (15 anni e 6 mesi). Dall’altro lato, il valore di questo dimezzamento va associato alle pene più elevate comminate ai padroni della Gatx e della Jungenthal. L’operato del Tribunale di Lucca e della Corte d’Appello di Firenze andava in una direzione chiara: puntare il dito sui problemi meccanici. Infatti, la Gatx era l’azienda che aveva affittato il carro cisterna alle FS e la Jungenthal l’azienda responsabile della sicurezza della manutenzione. In questo modo si è distolta l’attenzione dalle gravi responsabilità da imputare al processo di ristrutturazione del sistema ferroviario italiano. Dal 1985, anno in cui divenne amministratore straordinario Mario Schimberni, FS è stata improntata a tagliare i costi, aumentare le tariffe di viaggio e indirizzare gli investimenti a maggiore profitto: l’organico FS sotto la sua gestione è passato da 224 mila lavoratori a soli 68 mila. Negli anni FS ha proceduto nel solco tracciato da Schimberni, con la diminuzione soprattutto di quel personale di stazione che – secondo la Procura – se presente nelle stazioni di Forte dei Marmi e Pietrasanta avrebbe potuto intuire il problema meccanico del convoglio.

La prescrizione dell’omicidio colposo plurimo – stabilita dalla Cassazione – deriva dalla mancata applicazione della legge 81/08 che regola la sicurezza sul lavoro e comporta il proscioglimento dalla responsabilità per le società amministrative, mentre le varie associazioni sindacali costituitesi parte civile saranno escluse da qualsiasi rimborso oltre a essere condannate a pagare le spese processuali.

Gli unici a subire conseguenze sono stati i macchinisti che non hanno più guidato un treno da allora. Il  ferroviere Riccardo Antonini è stato addirittura licenziato perché l’azienda non ha tollerato la sua vicinanza alle vittime, specialmente la sua collaborazione con gli inquirenti per stabilire la verità su quanto accaduto.

I familiari delle vittime hanno criticato duramente quanto stabilito dalla sentenza (video il Corriere) . Oltre alla massiccia reazione sui social network, nella serata stessa dell’8 gennaio alla stazione ferroviaria di Viareggio, ha avuto luogo un presidio di protesta e sono stati attaccati vari striscioni in città.

La sentenza della Corte di Cassazione è l’ultimo tassello di un processo che dimostra come i rapporti di forza tra le classi sono più importanti del diritto, che l’amministrazione della giustizia rispecchia quei rapporti di forza, al di là di ogni discorso sull’autonomia del potere giudiziario. Non si tratta solamente dell’ennesimo schiaffo delle istituzioni alle vittime e ai loro familiari. Siamo di fronte a una sentenza politica che sancisce che il profitto privato vale più della vita.

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