* di Luna Brizzi
Sono moltissimi i dispositivi medici di vario tipo che ogni anno vengono impiantati nel corpo dei pazienti: pacemaker, protesi al seno, valvole cardiache. Questi dispositivi dovrebbero essere sicuri, certificati, sottoposti a numerosi controlli per garantire un miglioramento del tenore di vita di chi li indossa. Invece spesso sono la causa della morte di tantissime persone. Questo perché anche nella sanità, dove al primo posto dovrebbe esserci soltanto la salvaguardia delle vite umane, spesso al primo posto vengono messi gli interessi delle imprese.
Alla fine del 2018 un’inchiesta giornalistica mondiale, Implant File, condotta dal consorzio ICIJ, ha portato alla luce il business incontrollato che sta dietro all’industria sanitaria e alla produzione di dispositivi medici.
Un potente strumento è nato da questa inchiesta: l’International Medical Device Database, una banca dati che raccoglie informazioni sui dispositivi fallati segnalati in qualunque parte del mondo (con decine di migliaia di voci). Tramite questo database si è visto che le massime produttrici di dispositivi difettosi sono proprio le principali aziende di impianti medici a livello mondiale: un commercio che conta 350 miliardi di euro l’anno.
Prima in classifica per le vendite a livello mondiale è l’azienda Medtronic, prima anche nei problemi di sicurezza e nelle violazioni (con all’attivo più di 1800 casi di morte negli USA)[1]: accordi illeciti contro la concorrenza, evasioni fiscali, uso di prodotti non autorizzati, di frodi milionarie alla salute pubblica, presunte corruzioni e pagamenti a medici e scienziati per orientare gli studi clinici e ottenere dati favorevoli in più di uno stato.
Nei registri pubblici statunitensi, i device della Medtronic sono associati, solo nel 2017, a 1.828 casi di morte e 71.444 lesioni fisiche dei pazienti. Il colosso americano è molto attivo anche in Italia, dove non entra negli ospedali solo come fornitore ma anche come gestore di centri di cura dei pazienti. Nel 2014 la MedTronic ha acquistato la lombarda Ngc Medical, che ha in portafoglio i più ricchi appalti lombardi per i «service» cardiaci. Un successo non ostacolato dall’arresto per corruzione del suo fondatore, Eugenio Cremascoli, condannato nel 2005 a Torino, dove ha confessato di aver pagato tangenti, per tutto il decennio precedente, a famosi chirurghi in Piemonte e a faccendieri della politica in Sardegna. Tra il 2013 e il 2014 la stessa azienda ha riottenuto senza problemi i maxi-contratti per i centri di emodinamica dei grandi ospedali milanesi Niguarda e Sacco-Fatebenefratelli.
Un grande problema nasce dal fatto che in Europa i dispositivi medici, per essere prodotti e considerati “a norma”, necessitano soltanto della certificazione CE, certificazione che è competenza esclusiva del fabbricante e che, nella maggior parte dei casi, viene rilasciata da enti privati.
Possiamo facilmente immaginare a quale tipologia di problematiche possa portare una situazione simile.
Un esempio è dato dal caso del 2010 della Poly Implant Protheses – ai tempi tra i maggiori produttori mondiali di protesi al seno. L’azienda, una volta ricevuta la certificazione dell’ente privato tedesco Tüv Rheinland, ha impiantato a più di 300.000[2] donne protesi realizzate con silicone di scarsa qualità, acquistato dalla ditta produttrice a costi 10 volte inferiori a quelli di mercato e prodotto con sostanze utilizzate per la produzione di carburanti, gomma, computer, mai sperimentati né ovviamente approvati per usi clinici. Solo dopo 11 anni dalla messa in commercio (12 dalla prima lettera della Food and Drug Administration riguardante i gravi difetti di fabbricazione dei prodotti PIP), dopo la morte di alcune donne per una rara forma di cancro al seno probabilmente causata dalle protesi e numerosi casi di infiammazioni ad altre problematiche, sono stati presi provvedimenti tra cui la chiusura della società, l’arresto del fondatore Jean-Claude Mas, e un risarcimento “morale” per le donne di 1300 euro a testa.
Va messo però in luce che le criticità relative alle certificazioni non sono relative soltanto al settore privato: il problema delle certificazioni false riguarda infatti anche il pubblico, ed in questo caso è emblematico il caso dell’Italia, dove la certificazione CE viene rilasciata da 7 enti, di cui 6 privati. L’unico ente pubblico a rilasciare questa certificazione è l’Istituto Superiore di Sanità, che è stato per anni al centro di un’inchiesta proprio perché sei funzionari avrebbero attestato il falso sulla conformità di pacemaker e stimolatori cardiaci, a testimoniare la forte compenetrazione tra interessi privati e gestione pubblica della sanità.
Tutto ciò purtroppo non stupisce. Nel sistema capitalistico persino la sanità e gli ambiti ad essa connessi, come la produzione di dispositivi medici, sono pensati per garantire il massimo arricchimento privato possibile. Di conseguenza la ricerca del risparmio a tutti i costi, anche sacrificando la qualità dei prodotti, l’utilizzo di merci scadenti, la corruzione, fanno parte del gioco. Un gioco in cui purtroppo qualcuno perde la vita e qualcun altro invece guadagna.
—
https://www.bbc.co.uk/news/world-europe-38692678
[1] https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2018/11/25/news/implant-files-%20medtronic-device-miglia-incidenti-affari-italia-corruzione-1.328966
[2] https://www.reuters.com/article/us-breast-implants-idUSTRE7BM14420111224