* di Lorenzo Vagni
L’autonomia universitaria, che ha progressivamente trasformato le università pubbliche in vere e proprie aziende, e il continuo definanziamento operato dai governi di qualsiasi colore politico hanno accentuato sempre più il carattere classista ed escludente della formazione universitaria nel nostro paese, a detrimento del diritto allo studio. Già prima della pandemia infatti si era assistito in Italia a un decremento delle immatricolazioni di centinaia di migliaia di unità nell’arco dell’ultimo decennio.
Lo scoppio dell’emergenza sanitaria e la crisi economica che le ha fatto seguito hanno accentuato questa tendenza, rendendo ancora più difficoltoso l’accesso, o il proseguimento, degli studi universitari per migliaia di studenti delle classi popolari.
Questa realtà è stata oggetto di inchiesta da parte degli studenti dell’Università di Roma La Sapienza, attraverso un questionario sulla condizione studentesca che è stato somministrato ad un campione di oltre 1200 iscritti all’ateneo, ossia una percentuale di oltre l’1% del totale. I risultati dello studio, promosso principalmente dai rappresentanti del FGC nelle Assemblee di Facoltà della Sapienza, i quali hanno ritenuto indispensabile interpellare gli studenti in un momento così complesso, mettono in luce una realtà disastrosa da molti punti di vista, tenendo inoltre conto del fatto, assolutamente rilevante, che la condizione economica degli studenti e delle rispettive famiglie è destinata ad aggravarsi ulteriormente nei prossimi mesi con lo sblocco dei licenziamenti, che priverà di tutela anche i lavoratori assunti con regolare contratto.
Per prima cosa il questionario intende indagare la provenienza sociale degli studenti, attraverso due fattori: la necessità di lavorare durante il proprio percorso formativo e l’afferenza o meno alla cosiddetta “no tax area“, ossia la fascia di reddito più bassa (individuata su base ISEE), esonerata dal pagamento delle tasse, ad esclusione di quelle regionali. Sulla base di quanto risposto, oltre un 40% degli studenti ha lavorato durante i propri studi. Ha senso ritenere che la grande maggioranza di questi studenti, se non una quasi totalità, potrebbe aver avuto questa necessità alla luce di difficoltà economiche o degli elevati costi di iscrizione all’università.
Di questi studenti ben oltre la metà, per l’esattezza il 58,8%, dichiarano che tale lavoro non prevedeva un regolare contratto o bando, ed era pertanto a nero. Questo dato risulta essere estremamente rilevante, e mostra chiaramente come una percentuale consistente degli studenti della Sapienza affronti problematiche di tipo economico e debba quindi lavorare, e che, inoltre, sia privo di garanzie sociali, in quanto non tutelato dal blocco dei licenziamenti disposto dal governo, e che comunque, è il caso di ribadire, sarà revocato nelle prossime settimane o mesi secondo le richieste della Confindustria, esponendo tutti i lavoratori al rischio di piombare nella disoccupazione.
Questa affermazione è testimoniata dal fatto che il 41% degli studenti che stavano lavorando nel periodo immediatamente precedente lo scoppio della pandemia, ha perso questo lavoro (percentuale non a caso coerente con quella del lavoro nero), mentre un ulteriore 24,3%, pur non perdendo il lavoro, ha visto peggiorare la propria condizione occupazionale, ad esempio attraverso la riduzione dello stipendio. Ne consegue che solamente uno studente-lavoratore su 3 ha mantenuto il proprio impiego a parità di salario e/o mansione.
Per quanto riguarda l’afferenza degli studenti alla no tax area, viene rilevato come il 31,2% di essi ne fa parte. Questo dato necessita di una precisazione: la Sapienza prevede una soglia per la no tax area di 24.000 €, più alta rispetto a quella nazionale di 20.000 €.
Ciò, pur non essendo una misura negativa, è dovuto non ad un’attenzione ai temi sociali o ai problemi degli studenti da parte dell’amministrazione dell’università, ma semplicemente alla considerazione che parte di quegli studenti che la Sapienza ha incluso nella no tax area avrebbero garantito introiti minimi, in quanto le tasse pagate da quelle fasce di reddito sono poco rilevanti rispetto al complesso delle tasse percepite dalla Sapienza, e che al contempo un maggior numero di iscrizioni non avrebbe comportato costi ulteriori per l’adeguamento della didattica e del rapporto docenti/studenti, specialmente durante la DaD. La perdita di queste tasse viene inoltre ammortizzata in parte dall’aumento delle quote del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) proporzionali al numero degli iscritti. Inoltre questo innalzamento della no tax area può essere spendibile anche sul piano dell’immagine della Sapienza.
Ciononostante dalle risposte degli studenti si evince come la pandemia abbia colpito anche gli studenti (o le rispettive famiglie) che non si trovano nella no tax area, ma appena al di sopra di essa. Infatti il 34,2% degli studenti affermano di aver avuto maggiori difficoltà a sostenere le spese per iscriversi all’università a seguito dello scoppio della crisi, a ulteriore riprova di come l’ISEE sia un parametro falsato e potenzialmente fuorviante rispetto alle reali condizioni di vita di una famiglia. Va notato come la differente percentuale di quanti dichiarano di essere nella no tax area mette in luce come una certa quota di studenti fatichi a sostenere anche le sole spese della tassa regionale, pagata anche dai redditi più bassi.
Nonostante l’innalzamento della no tax area e il prolungamento dell’anno accademico 2019-2020 fino a marzo 2021, che consentirà ai laureandi della sessione di marzo di vedersi rimborsato un ulteriore anno di tasse universitarie, la maggioranza degli studenti giudica la politica di gestione delle tasse universitarie attuata dalla Sapienza totalmente inadeguata (il 27,7%) o comunque inadeguata (il 26,4%) all’attuale fase di crisi economica, a testimonianza di come le misure messe in atto finora siano del tutto insufficienti a garantire il diritto allo studio.
Un’altra tematica affrontata dall’inchiesta è stata quella degli spazi. Per prima cosa il questionario, alla luce dei diversi mesi di lockdown e/o di quarantena vissuti dagli studenti, ha approfondito il tema dell’abitazione, ed in particolare la possibilità o meno di studiare al suo interno. Dai dati risulta come quasi uno studente su 4, il 23,9% per la precisione, dichiara di non avere in casa una stanza a propria disposizione dove poter studiare con continuità. Questi studenti in periodo di pandemia sono costretti a recarsi nella maggior parte dei casi in locali privati, pagando quindi per frequentarli, per sopperire alla chiusura dei locali universitari.
Questo dato è inoltre particolarmente rilevante dal punto di vista del rendimento accademico degli studenti, alla luce delle numerose ore di studio che un corso di studi universitario richiede. Per quegli studenti che non dispongono di spazi adeguati la chiusura dei locali dell’università ha impattato pesantemente dal punto di vista del profitto, considerando che il 20,2% degli studenti ritiene che la chiusura dei locali universitari pesi in maniera determinante, mentre un altro 25,8% afferma che impatti comunque molto.
La carenza di spazi a disposizione degli studenti e della didattica in realtà è un problema che non riguarda solo il periodo pandemico o gli studenti che vivono in condizioni più svantaggiate. Infatti, oltre due terzi degli studenti ritiene che la Sapienza soffrisse di una carenza di spazi messi a disposizione degli studenti. Molti sono gli spazi che in realtà non vengono resi disponibili, o vengono destinati a fini diversi da quelli della didattica o della vita universitaria, come ad esempio il Lucernario, uno spazio lasciato all’abbandono all’interno della Città Universitaria e occupato simbolicamente lo scorso 26 novembre per denunciare le politiche dell’ateneo.
Un altro tema su cui il questionario ha indagato è quello della didattica a distanza per quanto concerne qualità e accessibilità delle lezioni online. Un primo terreno di indagine è stato quello del possesso o meno di dispositivi atti a permettere di seguire in maniera adeguata i corsi. È risultato che ben il 92,8% degli studenti possiede un dispositivo personale. Un altro 6,6% ne utilizza uno condiviso con altre persone, mentre solamente lo 0,6% degli studenti è totalmente sprovvisto di strumenti con cui seguire la DaD.
Questo risultato, all’apparenza positivo, nasconde in realtà un dato, al contrario, estremamente significativo: infatti, oltre un quarto degli studenti che possiedono un dispositivo personale lo ha dovuto acquistare appositamente per seguire le videolezioni, perché senza il suo acquisto sarebbe rimasto escluso dalla frequenza dei corsi, andando a condizionare in maniera irreparabile la propria preparazione.
Si è voluto quindi indagare sul costo che ciascuno studente che si è dovuto dotare di un dispositivo ha sostenuto per il suo acquisto. In particolare, suddividendo i possibili costi in fasce di prezzo, si è messo in luce come solo il 2% degli studenti abbia speso meno di 150 €, il 26,8% ha speso tra 150 € e 400 €, il 36,7% tra 400 € e 700 € ed il restante 34,5% oltre i 700 €. Il bonus connettività studenti di 250 € disposto dalla Regione Lazio risulta essere una misura assolutamente insufficiente.
Un altro problema di grande rilievo è quello della connessione a internet, che, già necessaria per molti corsi di laurea anche durante la didattica in presenza, al pari di un computer, senza il quale, specialmente per i corsi scientifici, non è possibile frequentare i corsi, diviene ancor più indispensabile durante la DaD. Si riscontra come il 13,9% degli studenti per accedere a internet è costretto ad utilizzare la rete dati di un dispositivo, per il quale paga un abbonamento, mentre un 2,8% non dispone affatto di una connessione.
L’indisponibilità di una connessione stabile, o l’inefficienza di questa, e i malfunzionamenti dei dispositivi causano un danno notevole agli studenti nel seguire i corsi o perfino nel sostenere gli esami. Un 5,6% degli studenti dichiara che tali problemi si verificano sempre, compromettendo il loro accesso alla DaD, mentre il 19,8% dichiara che ciò accade comunque spesso.
In questo contesto la Sapienza ha stabilito come misura di agevolazione per gli studenti durante la DaD la messa a disposizione di 35.000 carte SIM da 100 GB. Tuttavia, le SIM sono state messe a disposizione solamente a partire dal mese di novembre. Proprio per questo il 47,5% degli studenti ritiene che le misure messe in campo dall’ateneo non siano state adeguate o tempestive, mentre il 19,3% degli studenti afferma di non esserne stato neanche a conoscenza.
La necessità di svolgere i corsi esclusivamente a distanza ha creato inoltre problemi nella formazione degli studenti iscritti ai corsi scientifici. In particolare, gli studenti iscritti principalmente alle due facoltà di Ingegneria e a quella di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali hanno riscontrato l’impossibilità di accedere ai laboratori. Gli studenti iscritti attualmente al secondo anno non hanno ancora avuto modo di frequentare un corso pratico in laboratorio, il che nuoce alle conoscenze che questi corsi dovrebbero fornire. Le modalità individuate per sopperire al mancato accesso ai locali non sono state giudicate affatto valide dalla maggior parte degli studenti.
Un giudizio ancora peggiore è stato dato sull’erogazione dei tirocini per i corsi che li prevedono. Questi, che già in passato consistevano spesso in vero e proprio lavoro gratuito e prevedevano mansioni dequalificanti, durante la pandemia hanno visto ulteriormente peggiorare il loro svolgimento, hanno visto decisivi ritardi o sono stati svolti in condizioni di scarsa sicurezza, come ad esempio quelli delle professioni sanitarie, il che ha portato ben il 49,8% degli studenti a darne un giudizio pessimo e un altro 20,1% a dare una valutazione comunque negativa.
Il questionario poi pone l’accento sugli studenti fuorisede e sull’accessibilità per questi agli studentati pubblici. In particolare, un dato interessante è che il 55% degli studenti fuorisede non prende in considerazione la possibilità di fare ricorso ad essi, preferendo rivolgersi direttamente a privati per l’affitto di stanze o appartamenti. La causa di questa alta percentuale può essere riscontrata nella fatiscenza, nella collocazione estremamente periferica, nella mancanza di collegamenti con la rete del trasporto pubblico, nel sovraffollamento o nella difficoltà di accesso. Un dato molto rilevante è invece legato al rapporto tra studenti effettivamente residenti in uno studentato (lo 0,9%) e gli idonei non beneficiari (l’8,6%). Risulta infatti che solo uno studente su 10 che possiede i requisiti per l’accesso a studentati pubblici riesce effettivamente a risiedervi, a testimonianza dell’insufficienza dei posti messi a disposizioni dagli enti locali.
In un periodo estremamente critico, che oltre a mettere seriamente a rischio il diritto allo studio può comportare rallentamenti, flessioni e difficoltà nel rendimento accademico degli studenti, si è riscontrato come ben oltre i due terzi degli studenti (il 72,6%) ritenga che il numero di appelli attualmente previsti dalla Sapienza sia insufficiente. Infatti, ad oggi è ad esclusiva discrezione dei singoli docenti la possibilità o meno di far prendere parte agli appelli straordinari anche gli studenti che non godano dei requisiti, ossia essere fuoricorso, part-time, ed altri simili.
Anche alla luce del fisiologico rallentamento nelle carriere di molti studenti che sono stati iscritti durante la pandemia, oltre che della crisi in atto, si è rilevato come una quota assolutamente maggioritaria degli studenti, ossia l’87%, riterrebbe necessario il blocco delle maggiorazioni nelle tasse per gli studenti iscritti durante il periodo di emergenza sanitaria che vanno fuoricorso.
L’inchiesta mette in luce come la situazione che stanno vivendo gli studenti delle classi popolari sia a dir poco critica sotto molti punti di vista. L’accesso e, soprattutto, il proseguimento degli studi universitari diventa sempre più un privilegio, e gli ostacoli che si pongono davanti agli studenti sono sempre più insormontabili. Infatti, come elemento finale, il questionario individua quanti studenti abbiano valutato di abbandonare gli studi alla luce della condizione in cui versa attualmente l’università. Il dato è assolutamente preoccupante, e raggiunge il 29,9% degli studenti.
Tra le ulteriori segnalazioni di problemi nella sezione aperta del questionario vengono messi in luce ulteriori criticità, tra cui la mancata assicurazione di misure di sostegno psicologico agli studenti, il problema dei mezzi pubblici per gli studenti pendolari e quello degli affitti per gli studenti fuorisede che hanno continuato a pagare anche durante i mesi di lockdown o di didattica a distanza.
Alla luce dei risultati emersi dall’inchiesta gli studenti della Sapienza hanno chiamato diverse mobilitazioni negli ultimi mesi, fino ad incontrare la rettrice Antonella Polimeni lo scorso 13 gennaio. Le richieste degli studenti non sono state recepite con le dovute attenzioni dall’amministrazione dell’ateneo, motivo per cui in un’assemblea pubblica nella giornata di ieri gli studenti hanno rilanciato le mobilitazioni, a partire dalla data del 29 gennaio, in occasione dello sciopero generale indetto dal SI Cobas e dall’Assemblea Nazionale dei Lavoratori e delle Lavoratrici Combattivi.