Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa dell’URSS apriva i cancelli di Auschwitz, e ancora oggi la data è ricordata come simbolo delle vittime dei crimini del nazismo. Ma è legge inevitabile della storia che la memoria di certi eventi, o meglio il trasporto con cui li si ricorda e ci si approccia ad essi, vada sfumando man mano che questi diventano più lontani nel passato. La storia di Auschwitz e dei sei milioni di morti nei campi di sterminio non fa eccezione. Per quanto il pensiero possa turbarci, verrà il giorno in cui Auschwitz sarà studiata con la stessa indifferenza con cui abbiamo studiato gli innumerevoli massacri di innocenti di cui la storia è piena.
Non siamo già a quel punto, questo no. Il periodo storico in cui viviamo è forse una fase di passaggio. Il nostro immaginario è ancora quello della seconda guerra mondiale, così come chi era nato a inizio del secolo scorso aveva ancora in mente il Risorgimento italiano, che pure era ormai distante diversi decenni. Nel nostro immaginario storico l’incarnazione del male, tutt’oggi, è la figura di Hitler e non quella di Serse, Gengis Khan o Leopoldo II del Belgio. E a questo contribuisce non solo la vicinanza storica, ma anche il fatto che le vicende storiche del XX secolo vengano tutt’ora usate come clava nella politica attuale. Spesso anche in modo distorto, come quando “bella ciao” viene cantata da chi ha votato il Jobs Act contro i lavoratori facendo rivoltare nella tomba i poveri partigiani. Sono i misteri e le vergogne del nostro tempo. Ma è anche vero che le cose stanno cambiando e sarebbe da stupidi non capirlo: i giovani di oggi sono forse la prima generazione in assoluto a non avere una pregiudiziale antifascista nell’approccio alla politica. Il punto della riflessione non è questo, però.
Una serie di riflessioni è doverosa. La prima è che, in un periodo di chiaroscuro come il nostro, la manipolazione di una verità storica abbastanza recente da essere ancora parte dell’immaginario collettivo, ma abbastanza lontana affinché non ne derivi uno scandalo tale da rendere una necessità impellente denunciare questa manipolazione, può tramutarsi in uno strumento fortissimo nelle mani del potere. Il contenuto delle seguenti frasi, contenute in una risoluzione del Parlamento Europeo del 2019, sarà probabilmente ritenuto irricevibile o oltraggioso dai lettori meno giovani, eppure è quello che potrebbe essere insegnato nelle scuole tra pochi anni:
«…la Seconda guerra mondiale, il conflitto più devastante della storia d’Europa, è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop, e dei suoi protocolli segreti, in base ai quali due regimi totalitari, che avevano in comune l’obiettivo di conquistare il mondo, hanno diviso l’Europa in due zone d’influenza…».
Se chiedessimo ai nostri genitori com’è iniziata la seconda guerra mondiale, risponderanno che è stata la Germania nazista di Hitler a cominciarla. Lo sanno tutti… no? Ecco, negli ultimi anni l’elaborazione dell’ideologia ufficiale della UE è giunta a formulare questa nuova verità: la responsabilità della guerra è dei “totalitarismi”, nazista e comunista, tesi sostenuta con vere e proprie falsificazioni storiche sul carattere di alcuni eventi, come il trattato sopra citato. E questo è solo un estratto di quella risoluzione, divenuta famosa in Italia come la risoluzione dell’equiparazione tra nazismo e comunismo, votata anche dai deputati del PD. C’è poco da sorridere, perché è una visione che non tarderà ad affermarsi tra i giovanissimi di oggi, se verrà recepita nei testi scolastici, dagli insegnanti, dal sistema educativo nel suo complesso.
Dovrebbe apparire più chiara la ragione per cui, il 27 gennaio, in tanti a sinistra corrono il rischio di apparire come quelli un po’ antipatici e puntigliosi, ricordando non solo i morti di Auschwitz, ma anche che chi liberò i prigionieri di quel campo portava sul cappello una stella rossa e una falce e martello. È una verità storica che smonta la falsificazione ideologica che i padroni cercano di imporre come verità, che ricorda con un fatto molto concreto che i liberatori non erano uguali ai carnefici. Oggi si parla molto del Gulag, il sistema dei campi di lavoro sovietici, per sostenere la tesi dell’equiparazione e affermare che chi ha liberato Auschwitz e gli altri campi non fosse poi tanto meglio, perché in casa propria faceva lo stesso. Peccato che, tra il ’41 e il ’43, l’esercito della Germania aveva occupato un territorio dell’URSS in cui erano compresi decine di campi di lavoro previsti dal sistema penale sovietico, ma non trovarono nulla di paragonabile ad Auschwitz da “liberare” per dare voce alla propaganda di guerra. A testimonianza di come anche quando si parla di Gulag bisognerebbe pesare le parole. Del resto, lo stesso Primo Levi, che il lager nazista l’aveva vissuto, parlava molto chiaro sulla impossibilità di paragonare i due sistemi.
Se si comprende la portata che questo tipo di falsificazione storica può avere, si capiscono di più anche le parole di un grande regista come Mario Monicelli, che definì “una mascalzonata” le scene finali del film di Roberto Benigni, “La vita è bella”, in cui il campo di prigionia nazista viene liberato dagli americani. Il punto non è arrampicarsi sugli specchi, a posteriori, spiegando che alcuni campi furono effettivamente liberati dall’esercito USA, molto pochi in realtà a confronto della stragrande maggioranza liberata dall’URSS. Il punto è che nella memoria collettiva milioni di persone ricorderanno che Auschwitz è stata liberata dagli americani.
Se si trattasse solo di storia, ci sarebbe poco da prendersela. Ma appunto, non è solo storia. Se le vicende del XX secolo ci interessano ancora, è perché molte delle contraddizioni e delle contrapposizioni politiche del ‘900 sono ancora le contraddizioni del nostro tempo, per buona pace di tanti predicatori. L’ingiustizia di oggi dimostra quotidianamente l’insostenibilità di un sistema che persino nel pieno di una pandemia mette i profitti dei grandi capitalisti prima della salute di milioni di persone. La criminalizzazione del comunismo e l’equiparazione al nazismo, dal punto di vista dei padroni, sono il tentativo di chiudere i conti con il movimento che più di tutti ha minacciato il loro potere e li ha fatti tremare, e che rischia di tornare a inquietare i loro sonni in questi tempi di crisi.
E allora sì, ricordare che il nazismo e il comunismo non sono stati e non saranno mai la stessa cosa, diventa una verità rivoluzionaria. Il nazismo ricevette milioni dalle grandi banche, da industriali e padroni, da grandi multinazionali europee e americane. L’URSS era uno Stato operaio, un paese dato da una rivoluzione dei lavoratori. Il nazismo costruì Auschwitz, l’URSS la liberò. Chi cancella la storia non è mai in buona fede.