di Giacomo Canetta
È notizia di questi giorni la revoca, da parte del governo italiano, delle licenze per l’export di bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU). In particolare questa revoca ha colpito una azienda, la RWM (parte del gruppo tedesco Rheinmetall) che possiede uno stabilimento produttivo a Domusnovas, nel sud della Sardegna. La RWM aveva una serie di licenze che, rilasciate tra il 2016 e il 2018, le permettevano di produrre bombe ed esportarle verso Arabia Saudita ed EAU, appunto.
Tali concessioni erano state oggetto di forte polemica negli ultimi due anni, visto l’utilizzo che veniva fatto del materiale bellico da parte dei paesi importatori. Entrambi, l’Arabia Saudita in particolare, sono infatti impegnati nel conflitto civile che dilania lo Yemen dal lontano 2015. Un conflitto che in questi anni ha provocato centinaia di migliaia di morti (molti dei quali civili), milioni di sfollati ed una crisi umanitaria di dimensioni terrificanti, che interessa ormai la quasi totalitá della popolazione yemenita. Già dal 2015 era (quasi) alla luce del sole l’export italiano di bombe verso l’Arabia Saudita. Un fatto già alquanto problematico, visto che la legge italiana vieterebbe l’export di armamenti verso paesi coinvolti in conflitti e guerre. Poi, negli anni successivi, diverse inchieste (quali ad esempio quella condotta dal New York Times nel 2017, o quella di TPI del 2019) hanno anche dimostrato che queste bombe venivano effettivamente sganciate dagli aerei sauditi sulla popolazione yemenita.
Insomma, già si sapeva. Ma nel frattempo, a conflitto inoltrato, i governi in carica (Renzi nel 2016, Gentiloni e Conte I nel 2018) autorizzavano esportazioni di materiale bellico per centinaia di milioni di euro. È solo nel luglio 2019 – dopo svariate inchieste (che avevano appunto sollevato l’indignazione pubblica) e proteste, tra le quali spiccano senza dubbio quelle dei portuali di Genova, che hanno bloccato più volte le navi cargo che cercavano di trasportare materiale bellico verso l’Arabia Saudita – che il governo Conte I si è visto costretto a sospendere la concessioni per 18 mesi. Proprio in questi giorni, scaduto il termine della sospensione, il governo uscente Conte II ha appunto proceduto alla revoca delle concessioni.
Subito è montata l’indignazione dei padroni fabbricatori di morte, che annunciano un ricorso contro la decisione del governo: «Siamo di fronte ad un provvedimento “ad aziendam”, che di fatto colpisce duramente solo RWM Italia» ha annunciato Fabio Sgarzi, amministratore delegato dell’azienda. «Pur riconoscendo la complessità della situazione yemenita, il periodo 2019-2020 ha registrato molti passi concreti nella direzione di una stabilizzazione e pacificazione dell’area, contrariamente a quanto accaduto negli anni precedenti. Troviamo, quindi, la decisione del Governo contraria alla verità dei fatti». Ovviamente l’unica cosa che sta a cuore a RWM è continuare la loro opera di beneficenza verso quei lavoratori a cui viene gentilmente “dato” il lavoro: «a sopportare le conseguenze di tutto questo, insieme all’azienda, sono le centinaia di lavoratori del territorio e le loro famiglie». Sgarzi ha annunciato che il ricorso è «anche a tutela delle centinaia di lavoratori dell’azienda, molti dei quali già finiti in cassa integrazione».
Le conseguenze di questa decisione potrebbero essere significative per i lavoratori della zona, in un’area del paese che certamente non brilla per livelli occupazionali. A detta della RWM, dopo la sospensione delle concessioni nel 2019 è seguito un calo della produzione e una riduzione del personale, passato dagli oltre 300, con punte di 400 in alcuni periodi, agli attuali 129 tra i 99 diretti e 30 i somministrati.
Ancora una volta il solito ricatto padronale, insomma: o accetti di produrre bombe che verranno sganciate sui civili inermi di un paese lontano, oppure resta senza lavoro e nella povertà. Le solite rime di sempre. Devi lavorare per vivere? Allora fallo in questo impianto che produce scorie tossiche e che ti farà morire 15 anni prima del dovuto. Allora accetta di lavorare senza diritti, accetta di ignorare gli standard di sicurezza, accetta (oggi) di contagiare i tuoi cari. Le rappresentanze sindacali dell’azienda si sono espresse contro la revoca. Ma è una posizione arretrata, perché non esce dalla trappola del concepire in modo isolato gli interessi immediati dei lavoratori della singola fabbrica, in contrapposizione con quelli che sono all’esterno. Bisognerebbe, piuttosto, chiedere la tutela dei posti di lavoro senza se e senza ma, assieme a una riconversione della fabbrica per scopi civili.
Nel loro piccolo, un bell’esempio negli ultimi anni è venuto invece dai lavoratori portuali di Genova, che più volte hanno scioperato rifiutando di scaricare o caricare navi saudite che trasportavano armamenti destinati alla guerra in Yemen. La lotta per il controllo operaio e popolare sulla produzione, e affinché questa risponda davvero agli interessi della collettività e dei popoli del mondo, è davvero più attuale che mai. Vogliamo il pane, ma vogliamo anche la pace.