di Francesca Antonini
La giunta regionale delle Marche si scaglia contro il diritto all’aborto esprimendosi a maggioranza contro la possibilità di somministrare la pillola Ru486 in day hospital e nei consultori della regione. L’argomentazione fornita dal capogruppo di Fratelli d’Italia a supporto di questa scelta ha dell’inverosimile: si paventa il rischio di una presunta “sostituzione etnica” qualora la pillola abortiva venisse concessa liberamente. Come se la pillola rappresentasse una minaccia per la natalità del paese. Senza entrare nel merito della sterile propaganda xenofoba e razzista che i settori reazionari della politica italiana utilizzano come se fosse la panacea per tutti i mali, rimane il fatto che non c’è alcun collegamento tra IVG farmacologica e calo demografico.
Se in Italia riscontriamo da anni un decremento delle nascite le cause e le responsabilità sono da ricercare in decenni di politiche antipopolari, nei tagli alla spesa sociale, nella disoccupazione che cresce, nell’incertezza perpetua di un presente precario, nella difficoltà di pensare ad un futuro stabile e dignitoso. Sono da ricercare nelle tutele inesistenti per la maternità, negli asili nido a pagamento, nei costi dell’istruzione che hanno raggiunto livelli da esclusione sociale. Diciamolo: servirebbe molto più impegno nel cercare di creare le condizioni per rendere davvero desiderabile l’avere figli e molto di meno nell’ostacolare il diritto di poter interrompere gravidanze indesiderate.
L’interruzione volontaria di gravidanza per via farmacologica risulta la pratica più sicura, meno invasiva e meno traumatica a livello fisico e psicologico per le donne che si trovano a dover operare questa dolorosa scelta, come riconosciuto dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. Basta diffondere visioni mistificatorie secondo cui alla Ru486 si ricorra oggi con leggerezza ed incoscienza. Basta con gli esercizi di retorica che parlano di pillola abortiva come se fosse una droga smerciata agli angoli delle strade. La scelta di interrompere una gravidanza per una donna non è mai una decisione presa a cuor leggero, ma è il risultato di un percorso complesso, dietro cui spesso si celano violenze, paura e mancanza di possibilità materiali.
In Italia solo il 60% degli ospedali con reparti di ostetricia offre il servizio di IVG e la percentuale di medici obiettori di coscienza impiegati nel settore pubblico sfiora il 70%. Le carenze dell’assistenza sanitaria pubblica nel garantire il diritto all’aborto hanno come effetto quello di porre maggiori difficoltà di fronte alla libertà di una scelta tutt’altro che facile, aumentando sempre più spesso il ricorso a pratiche clandestine realmente rischiose per la salute. A risentire di queste carenze sono soprattutto le donne delle classi popolari, impossibilitate nel rivolgersi a cliniche private per avere la certezza di poter usufruire di un servizio rapido, efficiente e sicuro.
Già in Umbria e in Piemonte il centro-destra aveva contestato le linee guida del Ministero, provando ad argomentare con illazioni del tutto infondate dal punto di vista scientifico il tentativo di bloccare la somministrazione della pillola abortiva: una manovra che, a tutti gli effetti, si concretizza in un ulteriore ostacolo volto a limitare in modo sostanziale la garanzia di un diritto conquistato con anni di lotte. Non si tratta dunque di un caso unico, ma di una strategia politica messa in atto dalla destra, mirata a compiacere i peggiori settori conservatori, oscurantisti e clericali.
“Ritengo che un popolo abbia la sua dignità, da manifestare attraverso la sua identità e la sua capacità di riproduzione.” È il commento aggiunto dal capogruppo di Fratelli d’Italia nel tentativo di giustificare la decisione della Giunta Regionale.
Guadagnare consensi in determinati settori della Chiesa Cattolica e dei movimenti pro-life con misure propagandistiche fatte sulla pelle e sulla libertà delle donne: questo è il vero obiettivo della misura presa nelle Marche. Di dignitoso non ha proprio nulla.