Turni massacranti a trasportare e montare mobili, a volte neanche il tempo della pausa pranzo, giorni di ferie e riposi negati con minacce di licenziamento. Questo è il quadro descritto da otto facchini che lavorano nello stabilimento di Mondo Convenienza di Settimo Torinese (TO), che hanno denunciato le proprie condizioni di lavoro procedendo per vie legali.
Azienda attiva in Italia del settore della grande distribuzione di mobili, Mondo Convenienza conta 43 punti vendita in 12 regioni del paese. Come recita lo slogan aziendale, «La nostra forza è il prezzo»: mobili a basso costo, con comode rateizzazioni, una politica aziendale che punta tutto sugli accessori domestici come beni di consumo. Se i prezzi bassi dei prodotti vengono giustificati tramite le logiche della GDO (la grande distribuzione), la ricostruzione fatta dagli otto facchini dello stabilimento piemontese ci fa comprendere come realmente l’azienda possa garantire tali cifre ai suoi clienti.
Innanzitutto, il servizio di consegna a domicilio e di montaggio mobili – quello in cui operano gli otto lavoratori – è esternalizzato, quindi non gestito direttamente da Mondo Convenienza. La cooperativa a cui il servizio è assegnato è la Tsl Service. Come descritto su Repubblica, le condizioni di lavoro sono all’insegna di sfruttamento, precarietà ed estrema flessibilità. Non solo non venivano concesse ferie, riposi e giorni di malattia, ma gli stessi tempi di consegna erano impossibili da rispettare: gli intervistati hanno confermato che, in caso di spedizioni troppo lente, venivano previste perfino decurtazioni dal salario. Come testimoniato anche da Voriel – uno degli otto lavoratori – la minaccia più utilizzata era quella del licenziamento: in questo modo Tsl Service fa leva sulle difficoltà che migliaia di persone vivono quotidianamente, specialmente nell’attuale periodo di pandemia. I lavoratori confermano anche trattamenti differenziati nei confronti di lavoratori italiani e immigrati, con frequenti insulti razzisti e xenofobi. Nota a margine, il tutto era già stato denunciato all’Ispettorato del lavoro, che non aveva mai preso alcun provvedimento.
Quanto emerge dalla vicenda dei lavoratori di Settimo Torinese non è un’eccezione. Negli anni diverse sono state le segnalazioni di casi di sfruttamento negli stabilimenti di Mondo Convenienza, come dimostrano le proteste del 2017. Il filo conduttore, da quanto affermato da lavoratori e sindacati, è sempre lo stesso: l’azienda scarica tutte le responsabilità sulle imprese a cui esternalizza le diverse fasi del processo produttivo che non gestisce direttamente. Al di là della realtà di Mondo Convenienza – ribattezzata da alcuni “Mondo Sofferenza” – queste situazioni sono all’ordine del giorno. Il mondo del lavoro costruito dal Jobs Act (e dalle leggi precedenti in materia) si fonda sulla precarietà, sulla ricattabilità di chi lavora, sullo sfruttamento della forza-lavoro. Non è un caso che nelle scuole e nelle università si cerca costantemente di far passare l’idea che la “flessibilità” è la nuova frontiera, che i contratti a tempo indeterminato sono “roba da Novecento”.
L’attuale crisi economica – i cui effetti sono stati accelerati dalla pandemia – vede i diritti dei lavoratori attaccati ogni giorno, con la disoccupazione che aumenta (specialmente quella femminile), con la Confindustria che preme per lo sblocco dei licenziamenti. Quanto accaduto a Settimo Torinese è la “normalità” delle condizioni di lavoro in questo sistema, quella normalità a cui i padroni vogliono ritornare. Come disse anni fa Warren Buffett, «la lotta di classe esiste e la stiamo vincendo noi». Vogliamo davvero lasciarli vincere?