All’alba di oggi, 21 lavoratori della TNT di Piacenza hanno subito perquisizioni in casa e sono stati condotti in Questura. La loro colpa è di aver resistito per 13 giorni in sciopero, nonostante le pressioni e le cariche delle forze dell’ordine. 13 giorni di lotta che si sono tradotti in una vittoria degli scioperanti con conseguente ritiro dei 300 licenziamenti previsti. In totale, 21 sono gli indagati, 5 sono sottoposti a divieto di dimora, diversi hanno ricevuto provvedimenti di revoca dei permessi di soggiorno e due coordinatori locali del Si Cobas sono agli arresti domiciliari.
Nello specifico, i reati contestati sono «resistenza aggravata a pubblico ufficiale», «lesione personale aggravata» e «violenza privata», da ricondursi ai fatti della sera tra l’1 e il 2 febbraio, quando le forze dell’ordine provarono a rompere il picchetto dei lavoratori in sciopero. Una grande azione di solidarietà da parte dei lavoratori degli stabilimenti vicini e degli abitanti del territorio consentì allo sciopero di resistere pur con un bilancio finale di decine di lavoratori portati in ospedale per le ferite, a rappresentare tutta la violenza utilizzata dalla polizia.
La repressione giudiziaria che subiscono oggi i lavoratori e i sindacalisti della TNT di Piacenza non rappresenta una novità. Negli ultimi anni la repressione statale contro chi lotta per i propri diritti è stata all’ordine del giorno. Non è un caso che lo Stato abbia cercato di spezzare la resistenza operaia. TNT-FedEx, colosso del settore logistico, già da tempo ha annunciato un piano di 6.000 esuberi in Europa. I primi a essere colpiti furono i 672 di Liegi, in Belgio. In Italia, la lotta dei lavoratori dell’azienda va avanti da tempo. A maggio 2020 i 66 licenziamenti annunciati nello stabilimento di Peschiera Borromeo (MI) avevano portato a uno stato di agitazione diffuso anche fuori dai confini della Lombardia. Nello sciopero dello scorso 29 gennaio, i lavoratori TNT erano stati in prima fila nella giornata di lotta.
È questo il contesto in cui si inseriscono i fatti di questa mattina. Lo Stato, dopo non esser riuscito a piegare lo sciopero, utilizza la repressione giudiziaria per colpire gli elementi più coscienti e combattivi dello stabilimento piacentino. Si tratta di una vera e propria azione antioperaia e antisindacale, volta a tutelare gli interessi dei padroni che vogliono massimizzare i propri profitti durante un contesto di pandemia globale, tramite azioni di ristrutturazione economica e produttiva (come il piano di esuberi di TNT-FedEx). Un fatto che avviene a pochi giorni dalle lotte – nelle piazze e nei luoghi di lavoro – dell’8 marzo, in occasione dello sciopero convocato per la Giornata Internazionale della Donna. Uno sciopero, quello appena citato, attaccato dal Garante Scioperi, che lo aveva revocato per il settore scuola, facendo appello al principio di “rarefazione oggettiva” introdotto con la firma di CGIL-CISL-UIL negli anni Novanta. Il tutto accade mentre si avvicina la fine del blocco dei licenziamenti, che Confindustria invoca da mesi.
La guerra dello Stato contro chi lavora continua.