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La polizia a Londra attacca la fiaccolata per Sarah Everard

di Giovanni Ragusa

L’ondata repressiva che sta attraversando tutta Europa, dalla Francia all’Italia passando per la Grecia, ha toccato anche il Regno Unito. Lo scorso sabato la fiaccolata organizzata in ricordo di Sarah Everard, 33enne britannica tragicamente deceduta a seguito di violenze commesse da un agente di Scotland Yard (la polizia inglese) di nome Wayne Couzens, si è trasformata però nell’ennesimo episodio di violenza poliziesca.

La morte della giovane britannica è già un evento di una certa gravità, come ben si può capire. Sparita la sera del 3 marzo a Brixton e ritrovata solo una settimana dopo nel Kent, ad 80km da lì, la sua morte ha subito mobilitato l’opinione pubblica. Couzens, infatti, era già stato accusato due volte di atti osceni in luogo pubblico, ma non era mai stato sanzionato per proteggere la sua personalità dato l’incarico che ricopriva nel servizio di sorveglianza presso le ambasciate. 

Immediatamente si sono attivate diverse realtà per organizzare un momento di raccoglimento, culminante in una veglia funebre per ricordare Sarah e tutte le vittime di femminicidio, per sabato 13 marzo. Scotland Yard si è però opposta, vietando la manifestazione ufficialmente per rispettare le norme anti-covid, con una decisione che lascia però intendere un chiaro intento di evitare che si parlasse troppo dell’accaduto. Gli organizzatori però hanno deciso di scendere comunque in strada, recandosi presso il parco di Clapham Common, e qui è avvenuto il peggio.

Quella che si profilava in tutto e per tutto come una commemorazione pacifica è stata infatti interrotta in maniera veemente dalle forze dell’ordine britanniche, che hanno ritenuto necessario usare la violenza contro una massa che fino a quel momento non aveva dato alcun segno di voler effettuare gesti fuori dal comune. La colonna di poliziotti che ha deciso di irrompere tra la folla è stata immediatamente bersagliata da frasi di sdegno come “Shame on you” e “How many more?”, a cui non ha impiegato molto a reagire: sono diversi i video che ritraggono alcuni agenti impegnati a spintonare, strattonare e malmenare alcuni presenti, per la maggioranza donne. Quella che sarebbe dovuta essere una serata di cordoglio si è così tramutata in occasione di repressione ed autoritarismo, con l’arresto di 4 donne e svariate multe comminate.

Sono risultate molto discutibili le dichiarazioni rilasciate nell’immediata prossimità del corteo come anche domenica. Helena Ball, alta funzionaria della polizia metropolitana, ha ad esempio affermato che la polizia si è ritrovata di fronte ad una “decisione molto difficile” dovendo garantire la sicurezza delle persone dal contagio del Covid-19. A quanto pare una decisione così difficile da legittimare l’uso incondizionato della forza contro dei manifestanti pacifici, descrivendola come “l’unica scelta responsabile da fare”. Altrettanto grave la posizione della commissaria della polizia londinese Cressida Derrick: questa ha affermato che la veglia era inizialmente “pacifica e tranquilla”, ma che gli agenti hanno poi ritenuto “piuttosto legittimamente” di dover disperdere il ritrovo, descritto come “illegale”, per preservare la salute pubblica. L’incoerenza della dichiarazione salta palesemente agli occhi laddove la manifestazione venga qualificata come pacifica e tranquilla, ma evidentemente non abbastanza da non meritare un trattamento repressivo da parte delle forze dell’ordine. Al contempo non può certamente essere considerata adeguata la dichiarazione del segretario del Labour Party, Keir Starmer, che si è limitato ad affermare con molta cautela ed una certa tiepidezza: “Non è un buon metodo per mantenere l’ordine”. Si tratta di una non-presa di posizione, che ricorda molto la frase di Biden a seguito degli eventi del Black Lives Matter, quando l’attuale presidente disse che bisognava insegnare ai poliziotti a sparare alle gambe invece di uccidere. Una mezza misura dunque, che ci conferma quanto il Labour resti un partito che modera “bene” i propri interventi, senza sbilanciarsi troppo con frasi come questa che non vanno a criticare la struttura stessa del sistema repressivo.

Il movimento “Reclaim These Streets” lì presente, dal canto suo, ha voluto evidenziare come il rischio di veicolare il contagio è stato causato proprio dagli agenti di polizia, che hanno creato agitazione, rendendo l’atmosfera tesa e concitata. In protesta contro l’accaduto, già domenica un corteo di circa mille persone si è mosso dalla sede di Scotland Yard fin davanti al Parlamento inglese, seppur questa volta le forze dell’ordine non sono intervenute, forse attenzionate dal polverone che già si era alzato intorno alle vicende del giorno prima. I manifestanti hanno richiesto a gran voce le dimissioni della Derrick, ma soprattutto hanno voluto alzare la testa contro la proposta di legge avanzata recentemente dai Conservatori, con cui si vorrebbe conferire maggior potere di reprimere le proteste come quella di sabato alla polizia ed al Ministro dell’Interno (attualmente Priti Patel, Conservative Party). Se la proposta di legge dovesse passare, la Patel si vedrebbe affidato il potere di creare leggi ad hoc contro ciò che riterrà “gravi disagi” per la comunità, con la possibilità di impiegare in maniera discrezionale la polizia molto più facilmente di quanto già non venga fatto, andando a limitare ulteriormente il diritto di sciopero e di manifestazione delle classi popolari inglesi. 

I manifestanti hanno voluto attaccare anche questo elemento poiché gli stessi Conservatori hanno provato a “rigirare la frittata”, sostenendo la necessità di questa misura proprio per evitare atti di violenza come quelli di cui è stata vittima Sarah Everard. Amanda Milling, co-presidente del Partito Conservatore, è arrivata addirittura ad affermare che l’opposizione a questa legge equivale a limitare le possibilità di difendere le donne da stupri e violenze domestiche.

Come un canovaccio che ultimamente si ripete sempre più spesso, anche in Inghilterra bisogna dunque osservare come le classi borghesi rinsaldano sempre più le loro posizioni repressive, cercando di giovarsi del clima costrittivo dovuto al Covid-19 per ampliare le loro capacità di limitare il diritto di sciopero e di manifestazione e, più in generale, di comprimere le spinte di protesta delle classi subalterne, sfociando anche in queste forme di violenza gratuita.

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