di Riccardo Sala e Sebastian Pelli
Era il 18 marzo 1978. Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci uscivano dal centro sociale che frequentavano, il Leoncavallo di Milano, per tornare a casa e mangiare assieme, come ogni sabato sera. Ad aspettarli in una via lì vicino c’erano tre ragazzi, uno con il cappotto marrone e due con addosso un impermeabile chiaro e dei sacchetti di plastica in mano. Fausto e Iaio vennero uccisi a colpi di calibro 38, sparati attraverso quei sacchetti bianchi affinché non fossero rinvenuti i bossoli sul luogo del delitto. La notizia corse veloce tra i compagni milanesi. Meno di un’ora dopo sul posto si trovarono in migliaia ad esprimere solidarietà e rabbia per i due militanti uccisi dall’agguato fascista.
Fausto e Lorenzo stavano indagando a fondo sui traffici di eroina e cocaina nei loro quartieri, da Casoretto a Lambrate e Città Studi, e sui legami tra la malavita organizzata che li gestiva e l’estrema destra milanese. Si è tentato in tutti i modi di insabbiare la questione, arrivando a farla passare per un regolamento di conti legato allo spaccio. Il caso è stato archiviato senza indicare colpevoli, nonostante siano state diverse le organizzazioni neofasciste ad aver rivendicato apertamente l’omicidio. Tra queste, spiccano sicuramente i Nuclei Armati Rivoluzionari, gli stessi che due anni dopo uccisero a Roma Valerio Verbano, anche lui alle prese con una indagine sulla gestione dei legami tra il traffico di stupefacenti nella capitale e la destra fascista.
Come tanti altri episodi in quegli anni, la stretta collaborazione tra lo Stato e l’estrema destra ha nascosto e protetto i responsabili dei delitti compiuti in nome della “Strategia della tensione”. Si pensi anche ai responsabili di Piazza Fontana, o della Strage dell’Italicus. Per quanto il neofascismo provi a presentarsi come alternativa, la storia ci ha mostrato quanto esso sia funzionale al mantenimento del capitalismo. Sono numerosi infatti, in quegli anni, gli attentati portati avanti da queste organizzazioni, con la protezione e benedizione dello Stato italiano, per colpire il movimento operaio e portare a un’escalation del conflitto sociale, in modo da giustificare leggi speciali che permettano di sedare i movimenti di lotta di quegli anni. Per comprendere meglio il clima di quel periodo dobbiamo contestualizzare il momento storico in cui si consumò l’uccisione dei due compagni milanesi: il 16 marzo dello stesso anno, appena due giorni prima, ci fu il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. In tutta Italia le forze di polizia e dei carabinieri perquisirono le case di centinaia di militanti comunisti e operai. Anche l’omicidio di Fausto e Iaio divenne strumento per cercare di dividere il movimento alimentando sospetti e divisioni per rompere la solidarietà tra compagni. Nonostante tutto questo, nei giorni seguenti il luogo dell’uccisione in via Mancinelli divenne punto di ritrovo per molti, sommerso di messaggi, poesie e pensieri in segno di solidarietà ai familiari, mentre in tutta la città e nel paese si svolsero cortei e manifestazioni di protesta.
Il 22 marzo si tennero i funerali dei due compagni, una folla immensa, con delegazioni operaie da tutte le fabbriche della città e non solo, tra cui la Fiat Mirafiori, a portare l’ultimo saluto a Fausto e Iaio.
Oggi, a più di quarant’anni dalla morte di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, le responsabilità del loro omicidio sono state completamente affossate. Ciò dipende anche al tentativo da parte delle forze politiche borghesi di trattare la questione come un lutto per l’intera città di Milano, e non come un fatto di carattere eminentemente politico. Chi porta avanti questa narrazione svuota completamente la vicenda delle sue connotazioni di classe, appiattendola ad un discorso che nasconde la responsabilità dello Stato e il ruolo che quelle stesse forze giocano oggi nel legittimare le organizzazioni neofasciste.
Ricordare oggi Fausto e Iaio significa dunque portare avanti la lotta contro un sistema che ne ha causato la morte. Significa opporsi all’espansione dei neofascisti, costruendo una cellula comunista in ogni luogo di studio e di lavoro. Significa opporsi alla repressione che lo Stato borghese ancora oggi continua a portare avanti nei confronti del movimento operaio. La gioventù comunista ricorda.