Se il figlio di Beppe Grillo e i suoi amici sono colpevoli, devono pagare. Se non lo sono, la forte attenzione mediatica sulla vicenda e la sua notorietà aiuteranno a cancellare l’onta dell’accusa molto più di quanto possano sperare di solito le persone accusate ingiustamente che poi vengono assolte. Tutto questo, ovviamente, ammesso che la giustizia davvero faccia il suo corso. In Italia non è scontato, specie quando gli imputati sono figli di papà. Ma non è questo il punto.
Il video di Beppe Grillo è odioso, perché per difendere il figlio da un’accusa di stupro attinge a (quasi) tutto il repertorio con cui da sempre si tenta di giustificare gli stupri. «Una ragazza che viene stuprata, poi il pomeriggio va a fare kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia, è strano». No, non è strano. Innanzitutto perché l’elaborazione di un trauma è diversa da persona a persona. Tantissime vittime di stupro denunciano dopo diverso tempo, e le ragioni sono anche note. L’Italia di oggi è cambiata ancora troppo poco da quella del processo per stupro trasmesso nel 1979 dalla Rai (qui il video completo), che sconvolse l’opinione pubblica italiana mostrando come nei tribunali fosse la prassi trasformare le vittime di stupro in imputati, in un clima di colpevolizzazione della vittima. Tutti dovrebbero vedere quel documentario almeno una volta nella vita prima di aprire bocca sul tema.
Se tante ragazze non denunciano subito uno stupro, è perché allo stato di shock si somma il timore di dover affrontare i giudizi, il “te lo sei cercata”. Gli stupratori invece sono sempre dei bravi ragazzi, che hanno fatto una ragazzata e che rischiano di essere rovinati da una che “poteva pensarci prima”. «Sono quattro coglioni, non quattro stupratori», dice Grillo.
Che faccia notizia che il figlio di un personaggio famoso rischi il rinvio a giudizio per stupro, è abbastanza normale. Molto meno normale è il modo in cui Grillo ha scelto di difendere il figlio utilizzando la propria visibilità, e gli argomenti che ha voluto utilizzare scagliandosi contro una presunta vittima. Un’occasione per stare zitto.