In Portogallo la dittatura militare era stata instaurata già nel 1926 tramite un golpe, dopo una breve parentesi repubblicana; l’economista e professore universitario Antonio de Oliveira Salazar, già ministro delle finanze, assume la guida del governo nel 1932, plasmando lo stato sul modello dei nascenti regimi fascisti europei. Cardini dell’ Estado Novo da lui proposto erano l’organizzazione corporativa dell’economia, il sostegno della Chiesa, dei latifondisti e del grande capitale in funzione antioperaia e l’esaltazione del vasto e secolare impero coloniale. Fra alterne vicende, il Portogallo salazarista esce incolume dagli sconvolgimenti del secondo conflitto mondiale, finendo addirittura per diventare uno dei paesi fondatori della NATO: con l’affacciarsi del nuovo nemico ad Est, un alleato in più (per quanto fascista), faceva comodo all’Occidente. Il regime, nel secondo dopoguerra, appare inscalfibile, ma Salazar non era riuscito ad uniformare l’intero paese: permanevano infatti consistenti sacche di resistenza, in particolare tra i lavoratori e negli ambienti intellettuali, soprattutto grazie all’attività clandestina del Partito comunista portoghese, unica forza di opposizione con un certo seguito ed effettivamente radicata nella società. Ma a incrinare maggiormente le fondamenta dell’Estado Novo, più che le agitazioni operaie e gli intellettuali democratici, saranno i cambiamenti della società portoghese nel corso del secondo dopoguerra. Innanzitutto la crescita economica dovuta ad un consistente invio di risorse col piano Marshall, aveva favorito l’espansione e di conseguenza la forza politica della classe operaia, diminuendo il peso del latifondo; il nuovo capitale industriale inoltre inizia a sentirsi soffocato da un corporativismo non più necessario al mantenimento dell’ordine capitalistico. Infine, l’evoluzione della società verso un contesto pienamente capitalistico-occidentale che si accompagna allo sviluppo economico fa sì che il clima repressivo diventi sempre più insopportabile, specie tra le giovani generazioni e in particolare dopo che l’ondata della contestazione studentesca del ’68 si abbatte anche sul Portogallo, provocando la nascita di una miriade di gruppi e gruppuscoli di ispirazione maoista e marxista-leninista. Ma l’evento che più di tutti assesta un colpo mortale al salazarismo è la lunga guerra coloniale che a partire dal 1961 l’esercito lusitano combatte contro i movimenti nazionalisti di Angola, Guinea-Bissau e Mozambico. Un conflitto sporchissimo, nel quale viene inghiottita un’intera generazione di giovani portoghesi, che nelle giungle e nelle praterie africane si misura faccia a faccia con la ferocia dell’imperialismo. Per molti sarà proprio questa guerra ad accendere la scintilla dell’impegno politico e a far sì che, dopo gli operai e gli studenti, anche i militari inizino ad organizzarsi in gruppi e comitati di opposizione: nel 1973, infatti, viene fondato il Movimento delle Forze Armate da un gruppo di ufficiali subalterni di idee socialiste.
Saranno proprio i soldati del MFA nelle prime ore del 25 aprile del 1974, sulle note di una canzone del cantautore José Afonso diventata in seguito celebre (Grandola vila morena), ad abbattere definitivamente il fascismo in Portogallo: uomini e mezzi militari prendono possesso di Lisbona e dei punti strategici del paese, mentre Marcelo Caetano, che aveva sostituito Salazar dopo la sua morte, viene arrestato insieme ai principali esponenti del governo e della polizia segreta. La folla in festa, nonostante le raccomandazioni di restare a casa, accompagna per le strade i giovani soldati con i garofani rossi infilati nelle canne dei fucili, che immediatamente diventano il simbolo della Rivoluzione e il nome con la quale viene ancora oggi ricordata.
La presidenza del governo provvisorio e della Repubblica viene affidata al generale Antonio de Spìnola, non un uomo di sinistra ma in rotta da tempo con il precedente regime, mentre il Primo maggio a Lisbona si svolge un’oceanica manifestazione alla presenza, tra gli altri, del segretario del PCP appena rientrato da decenni di esilio, Alvaro Cunhal. La forza dei lavoratori e in generale della sinistra, man mano che si procede con la democratizzazione del paese, spaventa i settori moderati e il capitale nazionale, che se pure avevano accettato la caduta di un fascismo ormai obsoleto non erano disposti ad accettare una svolta di tipo socialista. In particolare sorgono contrasti sul destino delle colonie tra Spìnola, fautore di una politica federalista, e i settori radicali delle Forze armate che vogliono invece l’indipendenza totale. Dopo aver tentato, fallendo, di indire una manifestazione della “maggioranza silenziosa”, il generale è costretto alle dimissioni. Vasco Gonçalves, colonnello vicino al PCP, assume la carica di Primo ministro, e il Portogallo si accorda con Mozambico, Guinea e Angola in vista dell’indipendenza, primi segni della imminente svolta a sinistra. La situazione accelera bruscamente allorché un colpo di Stato reazionario cerca, nel marzo 1975, di rovesciare il governo provvisorio. Da questo momento la tanto temuta “svolta marxista” sarà completa e si rifletterà sia nelle elezioni per l’Assemblea Costituente, dove il Partito socialista e il PCP raccolgono in totale quasi la metà dei voti, sia nel clima generale del paese. Nell’estate del 1975 sembra davvero che il socialismo sia a portata di mano: scioperi, occupazioni e assemblee tra operai, studenti e lavoratori agricoli si diffondono a macchia d’olio, sostenuti dal PCP e dal sempre più influente Movimento delle Forze Armate, mentre banche e industrie vengono nazionalizzate. E’ quello che sarà chiamato Processo Revolucionário em Curso. Nelle discussioni sul nuovo assetto dello Stato c’è addirittura chi propone l’instaurazione di un regime di tipo consiliare, sognando una nuova Cuba all’estremità dell’Europa. In questa “estate calda” inoltre, centinaia di giovani da tutto il continente, in massima parte militanti della Nuova sinistra, arrivano a Lisbona per sostenere materialmente e raccontare la Rivoluzione dall’interno. In Italia è Lotta Continua in particolare che fa del Portogallo una vera e propria bandiera, simbolo delle speranze rivoluzionarie in Occidente.
Ma l’Occidente non poteva certo accettare che un paese europeo, membro della Nato per giunta, scivolasse impunemente verso il comunismo; dopo essersi appoggiati ai gruppi apertamente reazionari, Stati Uniti e potenze europee capiscono che bisogna agire d’astuzia. Il Partito socialista di Mario Soares, che non aveva mai realmente appoggiato le agitazioni del ’75, viene scelto come interlocutore, mentre la Comunità Europea e la stessa Internazionale socialdemocratica si muovono in favore di una “normalizzazione” del processo rivoluzionario. Occorre qui aprire una parentesi sulla posizione tenuta dal Partito comunista portoghese: se il PCP nei discorsi ufficiali si pronuncia per un approfondimento in senso socialista della rivoluzione e per la difesa del ruolo dei militari, nei fatti la sua forza organizzata funge spesso da elemento frenante. Per non compromettere l’unità con le forze antifasciste ma anche per “legittimarsi” agli occhi dell’opinione pubblica, il Partito comunista portoghese sceglie di mantenere la mobilitazione dei lavoratori entro livelli “accettabili”. Ciò si inscrive in una tendenza comune dei partiti comunisti a livello europeo, in quel periodo impegnati nella discussione sull’eurocomunismo (tendenza alla quale il PCP non aderì). Sia il PCI sia il PCF infatti (non senza resistenze interne più o meno forti), si schiereranno contro eventuali fughe in avanti del processo rivoluzionario.
Complici la stanchezza generale, l’atteggiamento ambiguo del PCP e il fallimento di un tentativo di “golpe rosso” da parte dell’ala sinistra del Movimento delle Forze Armate (prontamente condannato dallo stesso Cunhal), la Rivoluzione si conclude nel novembre del 1975. I militari tornano nelle caserme, l’iniziativa passa gradualmente nelle mani dei politici e il 25 aprile del 1976 il PS di Soares vince le elezioni politiche, traghettando definitivamente il Portogallo nel sistema di mercato e nell’Occidente.
La Rivoluzione dei garofani perderà in seguito gran parte della carica ideologica iniziale, e nelle riforme costituzionali degli anni ’80 verranno eliminati del tutto i riferimenti al socialismo. Eppure, nonostante la normalizzazione e nonostante si annoverino nel solco delle transizioni democratiche di metà anni ‘70, gli eventi della Rivoluzione dei garofani continuano a costituire una parte fondamentale dell’identità politica della sinistra portoghese. A conti fatti si è trattato dell’ultima volta, perlomeno in Occidente, in cui sia stato materialmente messo in discussione lo “stato di cose presenti”.
Riferimenti:
Fernando Tavares-Pimenta, Storia politica del Portogallo contemporaneo, Le Monnier, 2011.
Giulia Strippoli, Lotta Continua e il processo rivoluzionario portoghese, in Estudos italianos em Portugal, n° 9, 2014.
Sandro Moiso, Riti di passaggio, https://www.carmillaonline.com/2009/07/15/riti-di-passaggio-parte-1/.